martedì 12 aprile 2016

Il matrimonio in Tunisia ( 1° parte)


Fino ad una quindicina di anni fa il matrimonio veniva combinato, per ragioni economiche, tra i genitori degli sposi, ma oggi i ragazzi arabi si frequentano nelle scuole, hanno la possibilità di innamorarsi e potersi scegliere, tanto che le vecchie donne del paese, come quasi ovunque nel mondo, lamentano che tutto sia cambiato e che i giovani facciano quello che vogliono.
Nei paesi del sud della Tunisia può cambiare, nel corso degli anni, la mentalità, nella quotidianità possono mutare le esigenze e le mode, importate dalle immagini televisive del mondo occidentale, ma le tradizioni restano sempre le stesse e non si osa trascurarle e farne a meno. In Tunisia, come in molti altri posti, se due ragazzi si conoscono e si piacciono, decidono di frequentarsi per un po' di tempo. Ma solo dopo che anche le famiglie si sono conosciute, si organizza il fidanzamento ufficiale. La festa del fidanzamento ufficiale è bellissima: la ragazza indossa un abito ricchissimo e c'è uno scambio di anelli, come si usa anche nei matrimoni. Tutti ballano e mangiano a casa della futura sposa.
Mentre il fidanzamento però dura un giorno, il matrimonio dura quasi una settimana.
Il colore dominante del costume della sposa deve essere il rosso, come rossa è la henna che porta tatuata alle mani e ai piedi; i parenti della sposa non badano a spese per dare alla figlia il vestito più dignitoso e costoso possibile, adornato e decorato con ornamenti e gioielli d'oro massiccio, che la sposa porta con sè in dote e mostra a tutti nel giorno del matrimonio.
In compenso il giovane sposo deve pensare alla casa, ai mobili, ai tappeti.
I genitori iniziano a costruire la casa per il figlio fin dall'età di quattordici anni e quando la casa è completata, iniziano la costruzione di un'altra per il secondo figlio da sistemare. 
Si va nella casa dei futuri sposi per pulirla e renderla pronta ad essere abitata qualche giorno prima del matrimonio. Le sorelle e le cugine della sposa ci vanno anche la vigilia del matrimonio per preparare il letto nuziale.
La dote, che è stata preparata dalla madre della sposa da quando la bambina è nata, si porta nella nuova casa. Era stata conservata fino a quel momento proprio per questo scopo. Nella nuova casa si porta di tutto: dalle cose più pregiate come lenzuola e tessuti fatti a mano a tutto ciò che è utile in casa, persino i saponi… E intanto anche le persone si preparano. Il terzo giorno prima del matrimonio viene chiamato "bienna": gli uomini della famiglia dello sposo vanno in visita alla famiglia della sposa e il padre dello sposo dà al padre di lei una somma di denaro, come prezzo simbolico della sposa, che verrà tolta al padre. Gli uomini leggono il Corano e pregano per la riuscita del matrimonio. Due giorni prima del matrimonio c'è il "giorno della henna", il giorno in cui si fanno gli inviti e della colorazione della henna sulle mani e sui piedi della sposa; la henna, a seconda delle diverse tradizioni, viene applicata per due o tre notti consecutive, di modo che il colore divenga il più scuro possibile. Sia gli uomini che le donne vanno nell' hamman, il bagno turco, dove si lavano, si profumano e festeggiano…anche lì! La sposa viene portata al bagno turco insieme a tutte le sue amiche, sorelle, cugine, familiari. Viene accompagnata a piedi portando un profumo tra grandi festeggiamenti. Per la sposa, nell' hamman, c'è appositamente una donna a sua disposizione per lavarla, asciugarla, curarla, farle la ceretta, passarle gli olii sul corpo. Questa donna viene chiamata hennena, perché è anche colei che fa l'henna. L'henna è una pianta di cui si seccano le foglie. Una volta sbriciolate le foglie secche, si mischiano con acqua di rose (o acqua) e si fa una pasta rossa. Le donne usano questa pasta per disegnare meravigliosi ricami sul palmo della mano o sotto la pianta del piede. Questi disegni, che in pochi giorni diventeranno neri, sono di ottimo augurio. L'henna rimasto alle donne, dopo tre giorni viene portato dai familiari della sposa a casa dello sposo. Gli uomini invitati però si sporcano solo il mignolo, dopo aver dato in regalo dei soldi allo sposo. Sporcarsi il dito mignolo è simbolo di virilità. Durante questi giorni di festa si danno banchetti, sia a casa dello sposo, sia a casa della sposa.


mercoledì 30 marzo 2016

Il matrimonio in Tunisia (2° parte)



Il giorno della cerimonia la ragazza indossa l'abito tradizionale, che varia da regione a regione, ma che di solito è ricchissimo e adornato con tantissimo oro cucito addosso, tanto che per quanto è pesante e per la temperatura interna che raggiunge (40 gradi!!!), la sposa fa fatica a muoversi. L'oro cucito sul vestito è il regalo della madre della madre alla sposa. In certe città, la sposa si veste con sette tuniche che toglie successivamente per farle ammirare le une dopo le altre durante la festa che ha luogo prima della sua partenza dalla casa paterna. L’ultima tunica, la più sontuosa sarà quella con la quale si presenterà al marito a casa sua. Il corteo dello sposo giunge a destinazione presso la casa della sposa, la quale sta a guardare davanti alla casa, vestita in abiti tradizionali e circondata da donne. Dopo di che le due parti degli sposi si separano e continuano i festeggiamenti ognuna per conto suo. La notte prima del matrimonio la sposa danza per un'ora da sola con gli abiti del matrimonio, davanti alle altre donne. A casa dello sposo si svolge uno spettacolo diverso: all'aria aperta sotto il cielo stellato e la luna, molte donne siedono a terra urlando, questa volta dietro le ragazze più giovani. Dalla parte opposta ci sono molti uomini. Questo è un altro modo per amoreggiare a distanza con la donna dei sogni senza essere visto e sognare nuovi e futuri matrimoni. Amici e parenti danno doni e soldi allo sposo, un modo gentile per aiutarlo a riparare le spese sostenute per la costruzione della casa. In questa notte i parenti delle famiglie riuniti ognuno nelle rispettive case, ballano, cantano, di solito sulla terrazza della casa; viene sparso l'incenso e, mentre un'orchestra suona musica popolare, tra i balli e le urla di gioia, anche allo sposo viene messa ad una mano un po' di henna. Il giorno dopo è il giorno effettivo delle nozze e viene chiamato "djefa", ovvero la sedia, posta sopra il cammello, con il quale viene trasportata la sposa dallo sposo. Esso viene decorato con palme, foglie e simboli porta fortuna come il pesce, l'occhio e la mano di Fatima. La sposa aspetta lo sposo nel cortile della sua famiglia, seduta su un trono come una regina, vestita con il costume rosso del matrimonio, imbellettata e ricoperta di oro, con la henna rossa sulle mani. Ripetutamente copre e scopre il viso con le mani tatuate come simbolo di addio verso la casa paterna e verso la sua giovinezza. Arrivato lo sposo, si siede vicino a lei per lo scambio degli anelli, il segno dell'avvenuta sanzione del vincolo del matrimonio. Dopodichè la sposa viene trasportata con il cammello decorato per tutto il villaggio al suono della canzone tradizionale "pip, pip 'l 'arusa jet!!", ovvero "pip, pip arriva la sposa!!", fino alla porta della nuova casa degli sposi. Questo è il momento in cui la sposa varca per la prima volta la soglia della sua nuova casa e come poco prima nella casa dei suoi genitori, si siede su un trono decorato, per indicare il suo stato di nuova padrona e il passaggio dalla sua vecchia casa alla nuova. Sul suo trono la sposa viene ammirata dalle donne della sua nuova famiglia, che la circondano ai suoi piedi insieme ai regali donati il giorno prima benedetti con cuscini rossi decorati con mano di Fatima dorate; poco dopo viene servito il couscous che precede il momento solenne che sta per arrivare. Improvvisamente si sente il ritmo di darbuka che suonano la marcia della sposa, velocemente le donne lasciano la stanza, la sposa entra, la porta viene serrata e gli sposi vengono lasciati soli per la prima notte di nozze. Per le prime notti la madre della sposa resta nella casa della figlia, nei tempi passati invece gli amici dello sposo rimanevano fuori della casa, in attesa che lo sposo uscisse per attestare la verginità della sua nuova moglie. La coppia di sposini un tempo doveva rimanere nella loro stanza da letto per otto giorni, ricevendo le visite degli ospiti in questa camera durante il giorno. Tre giorni dopo il matrimonio la sposa, alla presenza delle donne del villaggio, punta un'unghia nel cortile della sua nuova casa, questo è il segno della sua rimanenza lì. Tutti si recano sulla terrazza e danzano sulla musica di una darbuka con la sposa. Poi i regali vengono lodati e cosparsi di incenso da alcune donne, che chiedono benedizione e scartano i pacchi pieni di ogni sorta di cosa. Nei giorni che hanno preceduto questa grande festa, tutti nel paese hanno contribuito a cucinare, a portare bibite, biscotti, dolci…

http://www.donnamed.unina.it/rito_tunis.php

lunedì 22 febbraio 2016

Chefchaouen



Chefchaouen è una piccola città a sud-ovest di Tangeri, nel cuore della catena montuosa del Rif. Ha una ricca storia, uno splendido ambiente naturale e una architettura meravigliosa, ma ciò che più la rende famosa è il suggestivo e vivace colore blu delle pareti di molti degli edifici situati nella "città vecchia", o medina. Questa pittoresca cittadina di montagna, fondata dagli spagnoli nel 1471 lungo la rotta commerciale che collegava Tetouan e Fez, è suddivisa in una parte orientale (medina), e una metà occidentale (Ciudad Nueva, o città nuova). Il cuore della medina è Plaza Uta el-Hammam, con la sua inconfondibile kasbah. Qui gli uomini vagano per le strade con lunghe vesti con cappucci a punta conosciuti come jellabas e le donne tessono tappeti marocchini fatti a mano  con lana, pelo di cammello, fibra di cactus, e coloranti naturali dalle montagne circostanti.
Dichiarata dall’Unesco Patrimonio Mondiale dell’Umanità, Chefchauoen è rimasta fuori dalle principali rotte turistiche del Marocco  per lungo tempo; nella città infatti, per secoli considerata sacra, era persino proibito l’ingresso agli stranieri. Solo negli anni ’50 le cose sono cambiate, motivo per cui ora Chefchaouen si è rivelata al mondo ed è divenuta una meta turistica, ma ancora al riparo dal turismo di massa. Ma a cosa è dovuto il blu delle pareti degli edifici? Secondo alcuni risale al 1930, ad opera di rifugiati ebrei che dipinsero tutto di blu per rappresentare il cielo e il paradiso; altri invece sostengono che il colore sia nato per allontanare le zanzare, rievocando la tinta dell’acqua cristallina; sta di fatto che la città è spesso chiamata "la perla blu del Marocco.”

https://www.youtube.com/watch?v=T4kY0gH9PpA



sabato 30 gennaio 2016

Le donne e la Sharì'a



I diritti di una donna in una grande città sono regolati dagli Statuti personali riformati e dalle leggi spesso abbastanza laiche dello Stato, ma a poche centinaia di chilometri dai grandi centri, nelle piccole comunità, nei villaggi, nelle tribù e nei paesi integralisti, la Sharì'a' acquista una grande forza. Lo status, i diritti, il ruolo della donna variano moltissimo a seconda che intervenga il pensiero sunnita, sciita, o le diverse scuole coraniche nei vari Paesi. Probabilmente è nella famiglia che si nota, secondo la Sharì'a', la più grande differenza tra l'uomo e la donna, una famiglia spesso patriarcale retta da regole e consuetudini arcaiche e rigidissime, in cui come ai tempi degli antichi romani, il pater familias aveva diritto di vita e di morte.
La patria potestà spetta esclusivamente al padre e secondo la Sharì'a' il marito ha il ta' dib', ossia un vero e proprio diritto di correzione sulla propria moglie, che gli consente anche mezzi coercitivi violenti. In alcuni stati questo diritto, è stato abolito dalle leggi laiche, ma resiste nelle campagne. Nei confronti della donna, soprattutto poco istruita, spesso analfabeta, la coercizione più forte è forse quella psicologica, di violare qualcosa di sacro e di essere esclusa dalla Umma, cioè dalla comunità dei credenti e quindi anche dai mezzi di sostentamento che il più delle volte appartengono all'uomo. Se la donna appartiene alla comunità Sciita i figli maschi stanno con lei fino a due anni e le femmine fino a sette anni. Una legge recente, ma contestata, permette di tenerli più a lungo, ma se la donna si risposa perde il diritto ai figli e questi le sono tolti.
Un tempo, alla morte del padre, quando venivano oltrepassati detti termini di età dei figli,e la madre li aveva in custodia, gli stessi dovevano andare con i parenti del padre, non dalla madre, ma durante la guerra Iran-Iraq, visto il gran numero di vedove fu concesso il diritto di tenere i figli e la reversibilità dello stipendio del marito, senza che i parenti di questo, almeno legalmente potessero interferire. Questo diritto è oggi riconosciuto a tutte le donne che perdono il marito.
Nella comunità sunnita prevale il diritto della madre su quello del padre, almeno in teoria, in caso di figlio maschio la madre può occuparsene fino a sette o nove anni, se è una femmina fino alla maggiore età della stessa. Un donna egiziana ottiene in genere l'affidamento dei figli salvo che il marito dimostri che non è adatta oppure se si risposa.
I tribunali tunisini valutano caso per caso.
In Algeria la custodia dei figli spetta in genere alle madri e i padri hanno diritto di visita. Al compimento dei dieci anni i maschi vanno a vivere col padre, mente le figlie rimangono con la madre fino al matrimonio. In caso di morte del coniuge le donne algerine hanno automaticamente diritto alla custodia dei figli. Però nel mondo musulmano, come spesso da noi, le donne che ottengono la custodia dei figli difficilmente riescono a farsi pagare dall'ex marito l'assegno di mantenimento per se stesse e spesso anche per i figli. La madre decade dalla custodia dei figli se si risposa con un uomo proibito (ossia un non musulmano), infatti mentre un uomo può sposare una donna del Libro, la Bibbia, ossia una donna cristiana o ebrea ciò non è ammesso per la donna che deve sposare un musulmano, per far si che i figli siano educati nella religione musulmana. E’molto difficile, in un paese islamico, che una donna non musulmana possa ottenere l'affidamento dei figli, sempre per il timore che non li educhi nella religione islamica o, come spesso accade, voglia tornare nel suo paese di origine. Il padre rimane comunque sempre il tutore legale per tutte le decisioni riguardanti i figli e va ricordato che raramente il Governo Italiano ha la possibilità di intervenire nelle diatribe, spesso pesanti, circa la possibilità della madre occidentale di vedere i figli, in quanto vi sono Stati islamici che non hanno ratificato le convenzioni internazionali. Sarebbe opportuno tentare di prevenire queste penose situazioni, soprattutto con un'informazione corretta dei diritti che spetteranno o meno a ciascun coniuge. Le persone di religione diversa spesso si sposano con troppa leggerezza senza essere informate che in caso di fallimento del matrimonio vi possono essere, soprattutto per la donna, problematiche molto pesanti.

venerdì 8 gennaio 2016

La differenza tra sunniti e sciiti

sunniti e sciiti che pregano in moschea in due gruppi separati
Subito dopo la morte del Profeta, la maggior parte dei credenti riteneva che egli non avesse designato alcun successore e che fosse compito della comunità islamica eleggerlo, mentre una minoranza sosteneva che Mohammad avesse già scelto il suo successore nella persona di Alì, suo cugino e genero. Il primo gruppo, seguendo le regole dei costumi tribali, affidò l'elezione ad un'assemblea di saggi, che designò Abu Bakr, con il titolo di "primo califfo" (Khalifah). Mentre questo avveniva, il secondo gruppo, minoritario, continuava a sostenere Alì, ritenendo illegittima l'elezione del nuovo califfo e considerando Abu-Bakr un usurpatore del diritto di Alì.
Questo momento segnò l'inizio della scissione nell'Islam, una scissione che persiste fino ai giorni nostri. I musulmani si dividono infatti in due principali rami: sunniti e sciiti. I sunniti costituiscono l’85 % della popolazione complessiva di musulmani nel mondo. Gli sciiti costituiscono il restante 15 % e si trovano soprattutto in Iran, Pakistan, Arabia Saudita, Bahrein, Libano, Yemen, Siria.
Il termine sunnita deriva dall'arabo Ahl al-Sunnah che significa “il popolo delle tradizioni dei detti (ahadith) di Maometto” I sunniti ritengono di essere la scuola di pensiero più ortodossa e tradizionalista dell'Islam.
Il termine sciita deriva dall'arabo Shi'atu Ali, ovvero “sostenitori del partito di Alì”. Molte scuole di pensiero sunnite ritengono che gli sciiti siano i peggiori nemici dell’Islam in quanto vengono accusati di venerare il loro Imam Ali e i suoi discendenti.
Le principali differenze che troviamo tra le due scuole di pensiero riguardano:
  • I pilastri del culto che per i sunniti sono 5 mentre per gli sciiti sono 10, infatti alla testimonianza di fede (al-shahada); alla preghiera rituale (al-salah); all’elemosina (al-zakah); al digiuno durante il Ramadan (sawm); e  al pellegrinaggio a Mecca (hajj), si aggiungono, fra gli altri, tawalla, dove si esprimere l’amore per il bene e tabarra, dove si esprime l' odio per il male.
  • I sunniti celebrano solo due feste: l’Eid al-Fitr, che segna la fine del mese di digiuno, e l’ Eid al-Adha, festa del sacrificio, alla fine del pellegrinaggio (hajj) alla Mecca. Gli sciiti, invece festeggiano soprattutto l’Ashura ove si commemora il martirio dell’ imam Hussein ibn Ali, decapitato nel 680 DC durante il massacro di Karbala, in cui vennero uccisi anche 72 suoi familiari. Secondo gli sciiti, ad Hussein, figlio di Alì (rispettivamente nipote e genero di Maometto) sarebbe spettata la successione al profeta nella guida dell’Islam, ai loro occhi usurpata invece dai sunniti.
  • I sunniti pregano con le mani congiunte all’altezza del diaframma e per la Professione di fede si ripete la formula: «Testimonio che non c’è divinità se non Iddio, e Muhammad è il suo Profeta». Gli sciiti invece aggiungono «e Ali ibn Abi Talib è amico di Dio» inoltre pregano con le mani in parallelo rispetto al corpo, davanti alle cosce. Finiscono poi  pronunciando tre volte il takbir («Allahu akbar).
  • Per quanto riguarda il cibo e le bevande non vi sono differenze tra i sunniti e sciiti (vietati l’alcol e la carne di maiale).
  • Il velo (hijab) è obbligatorio per entrambi in base a due sure del Corano.
  • Fra i sunniti non c’è clero. L’imam è colui che guida la preghiera. Lo sciismo invece, ha un clero organizzato, preparato in università specifiche di scienze islamiche.

sabato 26 dicembre 2015

I venti sahariani

Khamsin egiziano
Senza il vento, probabilmente la vita nel deserto sarebbe impossibile, infatti a volte può abbassare la temperatura recando sollievo a uomini e piante, e trasporta semi e pollini generando nuove vite.
Il simùn, l' harmattan, il khamsin e il ghibli sono i venti del Sahara più conosciuti.
Il nome khamsin deriva dall’arabo “khamsun” o “hamsin“, e significa cinquanta, che è il numero di giorni consecutivi in cui il vento, secondo la tradizione, spirerebbe con una certa costanza. Compare tra il tardo inverno e l'inizio estate (da aprile a giugno la frequenza più alta) e porta caldo e sabbia in tutta la zona orientale del Nordafrica, specialmente in Egitto e sulla penisola araba. Può diventare piuttosto burrascoso ed impetuoso, con raffiche di oltre i 70-80 km/h, sollevando dai deserti egiziani un ingente quantitativo di polvere e pulviscolo desertico che determinano intensi “haboob” (tempeste di sabbia) in grado di oscurare anche la luce del sole e di offuscare anche i cieli della Turchia meridionale, della Siria, del Libano, di Israele e dei territori palestinesi. E’ un vento caldo che fa alzare la colonnina di mercurio di 10° /12°gradi.
Il simun soffia in Algeria e, dato che proviene dal deserto, presenta alta temperatura ed estrema secchezza. Similmente allo scirocco, è causato da alte pressioni desertiche e basse pressioni esistenti sul Mediterraneo. Se supera il mare diventa umido.  E’ un vento forte, secco e polveroso che soffia nel Sahara, in Algeria, in Palestina, in Giordania, in Siria e nel deserto arabo . La sua temperatura è molto elevata (generalmente al di sopra di 40 °C, ma può superare anche i 54 °C) e la sua umidità può scendere sotto il 10%. Il vento si muove in cicloni di forma circolare sollevando nuvole di polvere e sabbia e modificando la forma delle dune; per questo motivo il simun produce su uomini e animali un senso di soffocamento. Questa particolarità gli è valsa l'appellativo di "vento velenoso", che è appunto il significato della parola simun. L'elevata temperatura di questo vento lo rende estremamente pericoloso, in quanto può facilmente provocare colpi di calore. Generalmente il Simun soffia da metà giugno a metà agosto, anche se il mese di picco è solitamente luglio. Il Simun venne descritto da Erodoto come un vento rosso che soffia nel Sahara, e che uccide e seppellisce ogni cosa che incontra. 
harmattan
L’ harmattan è un vento secco e polveroso che soffia dal Sahara al Golfo di Guinea, tra novembre e marzo (invernale). È considerato un disastro naturale. Passando sul deserto, raccoglie fini particelle di polvere. Quando soffia forte, può spingere polvere e sabbia addirittura fino in Sud America. In alcuni paesi dell'Africa Occidentale, il grande quantitativo di polveri nell'aria può limitare severamente la visibilità e oscurare il sole per diversi giorni, risultando paragonabile alla nebbia fitta. L'effetto delle polveri e delle sabbie rimescolate da questi venti è noto come harmattan haze, e costa ogni anno milioni alle linee aeree in voli annullati e dirottati. Nel Niger, la gente attribuisce all'harmattan la capacità di rendere uomini e animali sempre più irritabili, ma oltre a questa brutta reputazione, l'harmattan può talvolta risultare fresco, portando sollievo dal calore opprimente. A motivo di ciò, si è guadagnato il soprannome di I”l Dottore”.
Il ghibli è un vento caldo e secco che soffia dall'entroterra verso le coste della Libia prevalentemente in primavera e inizio estate. Tale vento provenendo dal deserto, trasporta polvere e sabbia. Localmente il termine ghibli assume numerosi varianti, quali gebli, gibleh, gibli, kibli. Questo vento può soffiare per giorni e rendere la vita difficile ed è quindi temuto dagli abitanti del deserto del Nord Africa.  Il ghibli può avere profondi effetti sul paesaggio spostando grandi quantità di sabbia.

sabato 10 ottobre 2015

Il matrimonio in Turchia



Anche se la maggior parte della popolazione della Turchia è musulmana, il paese ha una lunga tradizione di laicità che si ritrova in molte pratiche differenti tra cui il matrimonio. Ad esempio nel modo di vestire. Sia gli uomini turchi che le donne turche hanno adottato stili occidentali durante la cerimonia nuziale. Per gli uomini, questo include smoking e abiti eleganti, mentre per le donne abiti da sposa bianchi. Inoltre i matrimoni turchi sono presieduti da autorità civili, piuttosto che imam o altre autorità religiose. Spesso, i passaggi tradizionali del Corano non vengono letti durante la cerimonia e per questo motivo i matrimoni islamici in Turchia sono molto più brevi degli stessi matrimoni officiati altrove. Se in molti paesi musulmani, avere più di una moglie è un evento comune, in questo paese la pratica è praticamente estinta e le donne musulmane sono autorizzate a dare il consenso alle condizioni negoziate nel contratto di matrimonio. Nonostante la forte vocazione verso la laicità, in Turchia vi sono ancora diverse pratiche islamiche tradizionali presenti nella cerimonia di nozze, sia prima del matrimonio che durante le celebrazioni. I matrimoni tra musulmani e quelli che non aderiscono alla fede sono scoraggiati.  Un uomo musulmano può prendere una donna ebrea o cristiana come sua moglie, e lei non è tenuta a convertirsi all'Islam, ma  alle donne musulmane non è permesso sposare un uomo di altra fede. Le nozze sono consentite solo se il futuro sposo si converte all'Islam. Questo perché la religione musulmana è tramandata attraverso la linea maschile. I matrimoni combinati avvengono ancora, anche se la dote non è così importante in Turchia, come in altre nazioni musulmane. Come  in molti paesi musulmani, vi è una grande disparità quando si tratta di pratiche religiose e cerimonie tra le persone che vivono in città e coloro che vivono nelle aree meno sviluppate. Come regola generale, i matrimoni rurali sono più tradizionali. Ad esempio i ricevimenti si svolgeranno, nel primo caso presso hotel o ristoranti, mentre nel secondo caso avranno luogo presso la casa della famiglia dello sposo. Durante questi ricevimenti, anche se la segregazione dei sessi si verifica, non è così estrema come in alcune nazioni molto musulmane tradizionali. Si canta e si balla nella stessa stanza, ma ci si separa per le danze popolari tradizionali.

sabato 12 settembre 2015

La famiglia islamica


I principi generali della Shari’a (Legge Sacra non elaborata dagli uomini, ma posta da Dio) regolano la vita delle famiglie musulmane di tutto il mondo in materie come il matrimonio,il divorzio, il mantenimento, l’affido dei figli, la paternità e la maternità. Ma ciò non significa che queste materie siano regolate in tutto il mondo islamico allo stesso modo, rilevanti differenze derivano da molti fattori, come le disuguaglianze teologiche tra le varie comunità islamiche, le disparate usanze locali e le diverse politiche nazionali. E’ dunque piuttosto difficile fare un discorso generale sulla famiglia islamica. In Medio Oriente, ad esempio, la famiglia rimane l’elemento fondamentale dell’organizzazione economica e sociale. La famiglia di nascita di ciascun musulmano sarà per tutta la sua vita il più importante raggruppamento sociale di cui egli farà parte e gli darà formazione, nutrimento , casa, protezione e onore. Frequentissimi sono i matrimoni tra cugini, all’interno di una stessa famiglia. Un elemento fondamentale della vita familiare è l’educazione dei giovani, a cui vengono inculcati fin dai primi anni di vita il rispetto per gli anziani, l’obbedienza e la deferenza dovute al capofamiglia e ai membri più anziani del gruppo. A loro volta i membri anziani considerano una loro responsabilità la cura e il sostegno dei membri più giovani. Da parte delle donne della famiglia ci si aspetta che siano deferenti e rispettose nei confronti non solo del padre, ma anche dei fratelli, degli zii, dei cugini e così via, che a loro volta hanno il dovere di proteggerle e rispettarle. L’identità femminile è vista in relazione alla famiglia di appartenenza: le donne, fin dal primo nome, sono identificate anzitutto come mogli e madri di questo o quell’uomo. Le donne non sposate e senza figli sono un’eccezione, e sono considerate una disgrazia per la propria famiglia. Ciò vale in un certo senso anche per gli uomini in quanto l’Islam incoraggia fortemente il matrimonio. Il Corano accetta la poligamia anche se limita a quattro il numero delle mogli che ciascun uomo può avere simultaneamente, a patto che possa fare ciò “senza arrecare ingiustizia a nessuna di loro”. Nel diritto islamico, questa “ingiustizia”  è vista principalmente come un fatto privato tra marito e moglie, ma in caso di abusi evidenti la donna ha il diritto di intentare una causa di divorzio contro il marito di fonte ad una corte islamica. Molto più facile la procedura di divorzio se a volerla è il marito, cui basta dire per tre volte “io ti ripudio”, indipendentemente dal consenso della moglie. L’adulterio è punito con pene molto dure: cento frustate se l’adultero o l’adultera non sono sposati, addirittura lapidazione se invece si tratta di persone sposate. La pena di chi accusa falsamente qualcun altro di adulterio è di ottanta frustate.

mercoledì 5 agosto 2015

Musica e danze tradizionali negli Emirati Arabi


   
La musica e la danza sono arti ben radicate nella tradizione culturale araba e anticamente erano forme di intrattenimento per i manovali e i pescatori di perle. 
Si narra che una figura professionale di mastro cantore, il nahaán, fosse assegnata a bordo dei daw per intrattenere i tuffatori impegnati nella pesca delle perle, il quale dava il via al canto e l’equipaggio vi si univa mentre lavorava. Strumenti musicali tradizionali come il dumbek, fatto di ceramica e pelle di capra, fungevano da percussioni che accompagnavano quasi tutte le danze, mentre l’oud era uno strumento a corda molto utilizzato negli accompagnamenti musicali.
Ad Abu Dhabi la musica e la danza, così come in molte altre culture del mondo, erano la tradizionale espressione di gioia e celebrazione durante occasioni come i matrimoni, i festeggiamenti in onore di vittorie e raccolti proficui di perle
L’ayallah è una tradizionale forma di danza che simula scene popolari di battaglia che viene eseguita ancora oggi dai giovani del luogo, soprattutto in occasioni speciali come i matrimoni o particolari anniversari e addirittura durante certi convegni; i partecipanti alla danza si dispongono in 2, 3 o 4 file brandendo dei bastoni a mo’ di spade e, in file alterne, si muovono avanti e indietro a simboleggiare la vittoria e la sconfitta. Harbiyah è un’altra danza tradizionale che raffigura la vittoria e celebra l’orgoglio del potere e del coraggio e viene talvolta eseguita da giovani del luogo per dare inizio a dei festeggiamenti o inaugurare un convegno.


mercoledì 15 luglio 2015

Eid ul-Fitr in Pakistan


L'ultima notte di Ramadan, quando si avvista la luna nuova 'Chaand Raat' (Notte della Luna) inizia il trambusto di Eid ul-Fitr chiamato anche Choti Eid (Small Eid) o meethi Eid (Sweet Eid), in quanto più breve di Eid al-Adha. Decorati con luci multicolori, i negozi sono aperti tutta la notte per permettere alle persone di comprare vestiti e scarpe nuovi per l’Eid. L'atmosfera è molto eccitata e le ragazze scelgono braccialetti di vetro da abbinare ai loro abiti. In questa notte le donne e le ragazze usano decorare le mani con intricati disegni all’henné (mehndi) prima di andare a letto. Gli abiti della famiglia vengono stirati e disposti in ordine pronti per essere indossati la mattina. Uomini e donne, vestono il tradizionale shalwar kameez, bianco per gli uomini, mentre le donne e le ragazze preferiscono colori vivaci. I vestiti sono una parte essenziale della celebrazione, e le bambine possono indossare un lengha colorato (top tunica con ampia gonna, o pantaloni a gamba larga).
Quando arriva il mattino, tutti si svegliano presto e, prima di andare a pregare, la famiglia si siede per una colazione tradizionale pakistana che comprende un piatto di sevian (vermicelli dolci cotti nel latte con noci e cardamomo). I bambini piccoli attraversano il quartiere portando ciotole di sevian per i loro vicini di casa, salutando tutti con "Eid Mubarak!”.
Le preghiere si tengono spesso all'aperto, sotto tende bianche disposte in modo da accogliere tutta la folla. Dopo le preghiere si fa visita a parenti e vicini gustando un altro piatto di sevian. I giovani si riuniscono attorno agli anziani felici di ricevere il loro "Eidi" (un dono tradizionale di denaro). L’ Eidi è data anche dai fratelli alle loro sorelle più giovani di qualsiasi età. I bambini possono accumulare una quantità impressionante di Eidi! Famiglie allargate si riuniscono per il pranzo che è una festa enorme. I piatti preferiti variano da famiglia a famiglia, ma potrebbero includere biryani (riso speziato con carne), pollo bhuna, spiedini di agnello, rasmalai (piatto latteo dolce), mithai (dolci) e kheer (dolce di riso). Il giorno dopo l'Eid si riaprono scuole, università e luoghi di lavoro ma i Pakistani prolungano la celebrazione mangiando il cibo delizioso della festa con amici e colleghi.

martedì 16 giugno 2015

Ramadan nel mondo : Pakistan

Ramadan in Pakistan Awaiting Iftar at Mosque

Suscita sempre una grande emozione scorgere la luna che segna l’inizio del mese di Ramadan. Le strade si affollano e c'è trambusto fino a notte fonda. La gente provvede a fare scorta degli elementi essenziali per il mese di digiuno e gli uomini si dirigono verso la moschea per le preghiere Taraweeh, mentre le donne, indaffarate, preparano il sehri,  pasto che si consuma prima dell’alba.
Per essere certi che tutti siano svegli per il sehri, un uomo gira, prima dell’alba,  per i diversi quartieri della città, picchiando forte su un tamburo o, sbattendo su una lattina vuota. L’importante è che il rumore sia abbastanza forte da svegliare anche i più dormiglioni. Le moschee uniscono gli sforzi per garantire la radiodiffusione di canzoni islamiche, nasheeds, in tutta la città,e il conto alla rovescia dei minuti che segnano la fine del sehri. La maggior parte dei pakistani preferisce mangiare cibi sostanziosi per la prima colazione, come la paratha (burrosa focaccia), servita con un piatto al curry di loro scelta o i  Jalebis, dolci fatti di pastella fritta in forma di pretzel o a forma circolare, che vengono poi inzuppati nello sciroppo di zucchero. Qualunque sia la scelta per la colazione, si termina sempre con una tazza di tè.
Ramadan è anche il mese delle buone azioni. In questo periodo ci si ricorda delle persone che vivono in povertà e che non sanno mai se avranno abbastanza cibo per il pasto successivo. Questo è il motivo per cui è chiamato anche “mese della carità”.
Negozi di alimentari e ristoranti generalmente sono aperti durante il periodo sehri per poi chiudere in giornata e riaprire intorno al tramonto quando è l’ora del iftari, pasto per rompere il digiuno.
Il normale orario di lavoro viene cambiato in modo che la gente possa andare a lavorare prima del solito per tornare in tempo per iftari. Gli scolari amano questo mese perché le lezioni terminano alle 12.30 ed hanno quindi libero  il resto della giornata.
I preparativi per iftari pasto della sera cominciano già a metà giornata. In ogni casa non mancano le pakora (frittelle di verdure fritte) che servono per romper il digiuno - infatti iftari sarebbe incompleta senza di loro! La gente inoltre ama gustare frutta chaat (macedonia speziata di frutta), Dhai bhaley (gnocchetti piccanti in yogurt), e samosa.
Dopo il pasto iftari gli uomini vanno in moschea per le preghiere Taraweeh, mentre le donne si possono riunire in qualche casa per pregare insieme. Poi tutti tornano ai propri domicili per finire la giornata con un buon  tè.




lunedì 1 giugno 2015

La circoncisione islamica


Adottata dai musulmani dopo l'avvento dell'Islam, la circoncisione è un rito circondato da un ricco cerimoniale degno del simbolismo dell'atto .
Oltre alle sue virtù di salute e igiene, ora clinicamente dimostrate, la circoncisione sancisce il passaggio solenne del ragazzo dalla tappa dell'infanzia a quella dell’uomo, è l'atto che attesta che il giovane è pronto per la vita adulta, dimostra la capacità del ragazzo di sopportare il dolore e firma la sua appartenenza ad una comunità che lo fa distinguere dai bambini di altre nazioni, non musulmani.
Il periodo consigliato per eseguire l'intervento va comunque dai 7 giorni di vita a prima della pubertà. L'atto "chirurgico" è praticato generalmente dal parrucchiere (hajjam) o barbiere, il  cui successo delle operazioni precedenti attesta la sua abilità chirurgica.
Consigliata prima del periodo di caldo, la circoncisione avviene generalmente in primavera e si svolge nella maggior parte dei casi, la mattina presto, con una conseguente festosa cerimonia in cui sono invitati i membri della famiglia, vicini, parenti e amici che assistono all'operazione e ai quali viene offerta una ricca colazione preparata per l'occasione. Per coprire le grida del bambino, si “affitta” un gruppo di musicisti.
Durante l'atto chirurgico della circoncisione, la madre del bambino, in mezzo alle grida di gioia da parte di familiari e vicini di casa, immerge i piedi in una vasca di acqua ghiacciata con un pezzo di metallo o oro. L'atto simbolico è quello di alleviare la tensione, infatti l'acqua fredda serve per calmare gli spiriti mentre il metallo simboleggia la forza e la resistenza che servono per superare la paura e l’ansia che assillano la madre del circonciso. 
Una volta circonciso, il bambino è attorniato dall’affetto di tutti e da una vasta gamma di giocattoli e caramelle. Per quanto riguarda l’abbigliamento , il giovane indossa di solito un "tchamir" ampio, una "tarbouch" ricamata (tipo fez) e un paio di "cherbil" o "belgha" ( ciabatte). Tutti questi abiti tradizionali, tra cui i "seroual" (pantaloni) sono realizzati in anticipo e devono essere molto ampi per consentire al bambino di muoversi con relativa facilità senza essere ostacolato dalla ristrettezza del tessuto. 
Il rito della circoncisione conduce, inoltre, ad atti di carità e di solidarietà che in genere beneficiano le famiglie più povere. Famiglie benestanti iniziano, infatti, a sostenere, in occasione della circoncisione dei loro figli, i bambini provenienti da ambienti svantaggiati, al fine di ottenere "baraka" e attuare gli ideali di solidarietà e di reciproca assistenza ancorate nella tradizione della società marocchina.

sabato 9 maggio 2015

I sufi


I Sufi sono i mistici dell' Islâm, divisi in più confraternite a seconda delle correnti interpretative della mistica via dell' ascesa a Dio.
Il Sufismo è esistito fin dall'inizio della storia dell’uomo, essendo esso in ogni era e luogo, Dio ha inviato i Profeti per condurre l'umanità alla conoscenza di Lui, e il Sufismo è la Via dei Profeti. Il grande Maestro del 9° secolo, Bayazid Bastami, descrive la storia del Sufismo affermando che, "I suoi semi furono piantati al tempo di Adamo, germogliarono sotto Noè e fiorirono con Abramo. Si fecero uva al tempo di Mosè e maturarono al tempo di Gesù. Al tempo di Mohammad, si sono trasformati in puro vino”.
La parola "Sufi" ha una triplice etimologia:
1) gli "ahl us-Suffa" erano "quelli della veranda", i Compagni del Profeta Maometto, che avevano lasciato tutto pur di vivere quanto più vicino al Profeta. Risiedevano sotto una veranda fuori della casa di Aisha. Quando il Profeta usciva erano i primi ad incontrarlo, quando riceveva un dono lo divideva con loro. Il Profeta mostrò per loro i suoi poteri miracolosi facendo moltiplicare il contenuto di un bicchiere di latte che fu sufficiente per tutti.
Vivevano senza possedere nulla ed in continui digiuni e devozioni.
2) "Suf" vuol dire lana. I Sufi dei primi secoli erano asceti che vivevano nei deserti vestiti di una lunga tunica di lana, loro unica proprietà, insieme al secchiello per l'acqua. Questa tunica era ovviamente logora e rattoppata. Queste toppe, cento come i nomi di Allah menzionati nel Corano, in epoca più tarda divennero colorate, fino a diventare il "costume" tipico del "Dervish" (poverello) del medioevo.
3) "Safa" vuol dire purezza: i Sufi sono i Puri. Per questo se chiedete a uno se é un Sufi, non sentirete mai dire di sì, perché chi lo é, per modestia non lo dice. I Sufi quindi sono parte integrante della Storia delle religioni, nati al tempo del Profeta. 




mercoledì 8 aprile 2015

La Moschea di Hassan II a Casablanca



Opera dell’architetto francese Michel Pinseau, la Moschea di Hassan II è un tempio grandioso che sembra galleggiare sulle onde. Nella realizzazione di questa opera colossale hanno partecipato più di 6000 artigiani marocchini che, venuti da tutto il paese, hanno prestato la loro opera per i lavori di intaglio, dei rilievi in stucco, delle decorazioni zellij, delle tessiture di tappeti, ecc.. Le misure sono di per sé eloquenti: dall’ingresso principale, alleggerito da raffinate decorazioni, si accede ad un complesso architettonico di ben 90.000 metri quadrati. La sala della preghiera può ospitare ventimila fedeli, altri ottantamila possono riunirsi sul piazzale e dal minareto, alto duecentocinquanta metri, un laser visibile da 35 chilometri indica La Mecca. Nella sua costruzione sono state utilizzate notevoli innovazioni tecnologiche; per esempio è stato realizzato un riscaldamento a pavimento che dona ai fedeli scalzi una piacevole sensazione di calore nei periodi invernali ed un immenso tetto scorrevole apribile costituito da 1100 tonnellate di legno di cedro, che nei periodi caldi, durante i grandi assembramenti religiosi, permette un’areazione naturale. All’interno della moschea giochi di luce esaltano gli intarsi e gli ornamenti realizzati dai più qualificati artigiani marocchini. Il marmo bianco di Carrara e i ricchissimi lampadari di Murano ne accentuano la bellezza.
Il tempio, oltre alle grandi sale per la preghiera e per le abluzioni, ospita una biblioteca, un museo e un garage sotterraneo.
La moschea fortemente voluta dal sovrano di cui porta il nome, fu inaugurata il 30 agosto 1993. I lavori iniziati nel 1980, terminarono infatti 13 anni più tardi e furono finanziati da una sottoscrizione nazionale. L’idea di costruire questa moschea venne al re negli anni ’80 pensando di voler costruire un edificio che rappresentasse l’Africa del nord, come la Statua della Libertà rappresenta gli Stati Uniti.

giovedì 12 marzo 2015

Il velo islamico


Il velo islamico o hijab, non può considerasi un simbolo religioso ma un oggetto di manifestazione di appartenenza al credo musulmano. Il velo assume il significato di esprimere, persino nell’abbigliamento, la propria vocazione religiosa. Quando parliamo del velo, hijab, intendiamo quel foulard, di vari colori e grandezze, che copre il capo nascondendo i capelli. L’obbligo di portare il velo è legato ai momenti rituali e all’ingresso nei luoghi sacri. La scelta di estendere questo obbligo a tutti gli altri aspetti dell’esistenza è un fatto personale che riguarda esclusivamente la donna. L’atto simbolico di velarsi, così come per l’uomo quello di portare l’abito tradizionale, rappresenta la volontà di esprimere anche esteriormente la propria vocazione religiosa. L’abbigliamento è quindi un simbolo e ha una precisa corrispondenza con la propria disposizione interiore. Il velo fu introdotto durante il regno di Habibullah, che lo impose alle duecento donne del suo harem, in modo tale da non indurre in tentazione gli uomini quando esse si fossero trovate fuori dalla residenza reale. Divenne così un capo indossato dalle donne dei ceti superiori, ma successivamente, quando le più abbienti smisero di farne uso, si diffuse e divenne un capo ambito nei ceti più poveri. La “velatura” della donna, finalizzata al non indurre in tentazione gli uomini, è prevista dal Corano: "O Profeta, di' alle tue spose, alle tue figlie e alle donne dei credenti di coprirsi dei loro veli, così da essere riconosciute e non essere molestate . Allah è perdonatore, misericordioso" (Sura 33:59). Non si parla esplicitamente della copertura del capo o del viso ma di coprire i propri “ornamenti” cioè le bellezze femminili, le forme del corpo:
"E di’ alle credenti di abbassare i loro sguardi ed essere caste e di non mostrare, dei loro ornamenti, se non quello che appare; di lasciar scendere una copertura (hijab ) fin sul petto e non mostrare i loro ornamenti ad altri che ai loro mariti, ai loro padri, ...... "  “Sura XXIV An Nur (La Luce).
Anche nell'ambito cristiano si parla del velo delle donne. L'apostolo Paolo infatti prescrive:
"Ma ogni donna che prega o profetizza senza avere il capo coperto fa disonore al suo capo, perché è come se fosse rasa. Poiché, quanto all'uomo, egli non deve coprirsi il capo, essendo immagine e gloria di Dio; ma la donna è la gloria dell'uomo; perché l'uomo non viene dalla donna, ma la donna dall'uomo.” (1Corinzi 11:6)
In termini più semplici: la chioma viene considerata un attributo di bellezza femminile e come tale deve essere per modestia coperta anche per non distrarre gli uomini dal raccoglimento religioso. Non viene però prescritto al di fuori della pratica religiosa. Nell'ambito islamico invece si è diffuso generalmente il suo uso anche perché la donna n on doveva mostrarsi in pubblico e quando lo faceva si doveva coprire il più possibile. Abbiamo però una varietà di veli: alcuni coprono semplicemente i capelli, altri che coprono anche il corpo (chador iraniano) e altri ancora coprono completamente tutto il capo (burqa afgano). Il problema è nella interpretazione del significato del velo: per alcuni la prescrizione coranica viene interpretata come un semplice invito alla modestia del vestire delle donne e non propriamente come una tassativa prescrizione religiosa e il velo viene visto semplicemente come una tradizione ormai da superare. Per altri invece il velo è una prescrizione fondamentale.

http://host.uniroma3.it/progetti/cedir/cedir/Relazioni10/Simboli%20Islam.pdf