domenica 15 dicembre 2013

Le fondamentali differenze tra islamismo e cristianesimo


L’islam ed il cristianesimo sono due religioni che hanno molti aspetti comuni, ma hanno anche fondamentali differenze. Ciò che le accomuna è il fatto che sono entrambe religioni monoteiste che fanno risalire le proprie radici ad Abramo. Ambedue credono nella rivelazione, nei messaggeri (apostoli), nelle scritture, nella profezia, nella risurrezione dei morti e nella centralità della comunità religiosa.  La dimensione comunitaria è molto importante sia per il cristianesimo, che ritrova questo elemento nella chiesa,  sia per l’islam  che lo ritrova nella “umma”, parola araba che significa appunto comunità ed in questo caso è intesa come comunità di fedeli. Detto questo è necessario fare un confronto con il cristianesimo scoprendo le principali differenze. 
Innanzi tutto i musulmani credono in un solo Dio (monoteismo assoluto) che è un'entità unica (cioè non c’è né il “Figlio” né lo “Spirito Santo”). I cristiani invece, credono in un Dio Uno e Trino, cioè nella Trinità: Padre, Figlio e Spirito Santo.
Per i musulmani
Gesù Cristo  non è non è il Figlio di Dio, non è Dio, non è la seconda Persona della Trinità, ma è un profeta, un uomo inviato da Dio. Gesù  è solo uno dei 25 profeti di cui parla il Corano, e non è il più importante, in quanto il più importante è Muhammad. Inoltre nel Corano si dice che Gesù non è morto in croce, perché Dio lo ha sottratto alla morte portandolo in cielo.
• Maria è la madre del profeta Gesù e non è riconosciuta come “Madre di Dio.”
Maria è una delle quattro donne elette, citata nel Corano assieme a Kadigia e A'isa (due delle mogli del profeta) e a Fatima (la figlia del profeta). E' particolarmente benedetta, scelta fra le donne e purificata sin dalla nascita. Vergine per eccellenza, è molto devota e credente in Dio. Riceve l'annuncio di un bambino che nascerà da lei senza concorso umano, per effetto della parola creatrice di Dio. 

sabato 16 novembre 2013

La moschea galleggiante di Malacca - Masjid Selat Melaka


Malacca o Melaka, capitale dello stato malese di Malacca, è una città ricca di architettura e di storia. Fondata da un principe rifugiato che si chiamava Parameswara, divenne in poco tempo un punto potente e nevralgico del commercio tra oriente ed occidente. Spezie, oro, seta, tè, oppio, tabacco e profumi attirarono l’attenzione degli imperi coloniali dell’occidente, e più tardi Malacca fu governata da portoghesi, olandesi e inglesi. In molte parti della città è ancora evidente l’atmosfera del passato, impressa nell’architettura e nei palazzi, ma Malacca è anche una città in rapido sviluppo che abbraccia nuove idee e tecnologie.
Un esempio è la Malacca Straits Moschea o Masjid Selat Melaka in malese, costruita su un'isola artificiale (Malacca Island o Pulau Melaka), a ridosso della città. Inizialmente il progetto incontrò molte difficoltà. Dapprima gli ambientalisti si opposero alla posizione dell’isola in quanto nella zona vi erano molti reperti storici sommersi, come relitti di navi portoghesi, ora sepolti per sempre sotto tonnellate di rocce e sabbia, poi l'ambizioso progetto di costruzione attraversò difficoltà finanziarie a causa della crisi economica globale. Così i lavori iniziati nel 1996 videro la fine solo nel 2006 quando la moschea fu inaugurata ufficialmente dal re della Malesia.
L’ edificio, che sorge direttamente sulla spiaggia, poggia su palafitte  ed è stato progettato in modo tale che, quando la marea è alta, si crea l’illusione che galleggi sull’acqua. Per questo motivo la moschea è anche conosciuta con il nome di moschea galleggiante di Malacca. Il suo stile architettonico è molto interessante, unico e molto diverso dalle antiche moschee dello stato di Malacca. La cupola dorata è in stile mediorientale mentre le quattro torrette angolari sono sormontate da tipici tetti malesi. La facciata è decorata con vetrate in stile islamico ed il minareto ha un design sorprendente e insolito molto simile ad un faro. La struttura può ospitare fino a 2.000 fedeli.


domenica 27 ottobre 2013

La jambiya


La jambiya è un pugnale con la punta ricurva che tutti gli uomini yemeniti sfoggiano infilato in un cinturone. Ha origini arabe pre-islamiche molto remote e la raffigurazione più antica risale al VII/VI sec. a.C.; si tratta di una statua del re imiarita Shebam, rinvenuta in una località della Penisola Araba chiamata Ma'di Karb.
Questo particolare tipo di pugnale è formato da una lama di acciaio lucidissima, affilata su entrambi i lati e con una linea centrale in rilievo, ma il vero capolavoro è costituito dall' impugnatura che spesso è prodotta con materiali rari e pregiati, come il corno di rinoceronte, l'avorio, l’alabastro, o particolari paste vitree ed è decorata molto finemente con oro ed argento, filigrana, pietre dure e monete a volte molto preziose. Il bel colore ambrato che assume il materiale utilizzato, con il passar del tempo, ne aumenta il pregio. Anche il fodero, che di solito è di legno ricoperto con vari materiali, è decorato con molta cura ed applicato ad un cinturone di cuoio alto 5/7 cm, generalmente foderato di tessuto, con una fibbia che si allaccia sulla schiena.
La jambiya si tramanda da padre in figlio e rivela informazioni sul suo proprietario. Si può capire se è ricco o povero e quale  posto occupa nella società: semplice cittadino, autorità religiosa, capo tribù, sceicco, fedele che ha effettuato il Pellegrinaggio alla Mecca. 
Un uomo senza la sua jambiya si sente incompleto, non a caso un antico proverbio yemenita dice che “un uomo senza jambiya è un uomo morto “, inoltre, colui che la perde o la abbandona è profondamente disprezzato; è un simbolo di virilità al quale non rinunciano neppure gli uomini più umili, come mendicanti e carcerati.
Le migliori jambiya vengono prodotte nel suq di Sa'na, dove si possono trovare accanto a semplici manufatti economici con l' impugnatura di legno, delle autentiche costosissime opere d' arte. La più costosa in assoluto è stata acquistata per oltre un milione di dollari dallo sceicco Naji Bin Abdulaziz Al Shaif; si tratta di un pezzo che si può ritenere "storico" in quanto, a sua volta, appartenne all' Imam Ahmed Hamid Al Din che guidò lo Yemen dal 1948 al 1962. In passato la jambiya simboleggiava l’ingresso nell’età adulta dell’uomo e veniva usata durante conflitti e duelli; oggi più che essere un’arma, è simbolo di virilità e di forza, portata con orgoglio dagli uomini yemeniti e quasi accessorio ed ornamento dell’abito tradizionale maschile. Anche se non mancano risse nelle quali si brandiscono i pugnali, ormai la jambiya viene sfoderata il più delle volte per accompagnare danze tradizionali in occasioni di feste e matrimoni. Al ritmo di tamburi, gli uomini danzano in cerchio sfoderando la jambiya che conferisce loro prestigio sociale.

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sabato 5 ottobre 2013

Il caffè nel mondo arabo : curiosità

Beduino di Wadi Rum

Per i beduini  giordani del deserto di Wadi Rum, il caffè è un elemento essenziale della loro vita sociale e lo bevono nelle loro riunioni, nelle feste e durante i lutti.  Agli ospiti  ne offrono tre tazze, ciascuna sufficiente per un boccone. 
La prima è la coppa dell’ospite (in arabo: fonjan thaif al) che onora l’arrivo dell’ospite.La seconda tazza è la coppa della spada (in arabo: fonjan al saif), un calice che onora il coraggio degli uomini beduini e la terza è la coppa dell’ umore (in arabo: al fonjan kaif) che è segno di buonumore. Tra i beduini, il consumo di caffè segna anche il passaggio dalla fanciullezza all’età adulta e in tempi passati le tribù erano solite sanare i loro conflitti sotto la tenda di un mediatore che li invitava a bere il caffè e a fare la pace. Ancora ai giorni nostri,  la richiesta della mano di una donna da parte di un giovane beduino, prevede che questi visiti la tenda dei futuri suoceri per ottenere il consenso dal padre della ragazza e la preparazione e il servizio del caffè arabo accompagnano ogni momento della"trattativa". Anche in Siria, lontano dai grandi centri urbani, le promesse spose devono superare la prova del servizio del caffè per dimostrare a marito e suocera di essere delle brave mogli.
In Turchia c’è una tradizione molto simpatica: quando il pretendente, accompagnato dal padre, fa visita alla famiglia della promessa sposa per chiederne la mano, il rituale  vuole che prima di iniziare il discorso venga servito il caffè. Se la ragazza non ricambia l’interesse verso il pretendente, può decidere di evitare una situazione di imbarazzo con un chiaro segnale: un pizzico di sale nel suo caffè.

mercoledì 18 settembre 2013

I festival del Marocco

Festival del Gnaoua


In Marocco si tengono festival tradizionali e culturali che attraggono marocchini e turisti; alcuni sono molto antichi, altri sono più moderni, ma tutti sono da non perdere.
- Festival della fioritura dei mandorli ( febbraio)
Celebra l’inizio della stagione della fioritura primaverile e si tiene nella valle di Ameln vicino a Tafraoute.
Marathon des Sables (marzo/ aprile)
Una corsa a piedi di 7 giorni attraverso il deserto che parte e arriva a Ouarzazate.
Festival delle rose ( maggio)
Festeggiamenti per la raccolta delle rose nella valle di El-Keela M’ Gouna vicino a Ouarzazate.
Festival della musica sacra mondiale ( maggio/giugno/luglio)
Manifestazione di 9 giorni che ha luogo a Fès, attira visitatori anche da altri paesi.
Festival delle ciliegie ( giugno)
Tenuto a Sefrou, questo festival dura 3 giorni e offre musica e danza in quantità, culminando con l’incoronazione della regina delle ciliegie.
Festival del folklore nazionale ( giugno)
Una manifestazione che celebra la musica e la danza berbere e si tiene a Marrakech.
Festival del Gnaoua e delle world music (giugno)
Per questa manifestazione, considerata da molti il festival più popolare del Marocco, migliaia di visitatori confluiscono nella cittadina portuale di Essaouira. Nel 2004 si sono esibiti i Wailers( quelli di Bob Marley and the Wairles), attirando un numero record di turisti da tutto il mondo.
Festival internazionale di Rabat (giugno/ luglio)
Musicisti da tutta l’Africa convergono nella capitale per questa manifestazione, che fa anche da sfondo a un piccolo festival cinematografico.
Festival internazionale della cultura (luglio/ agosto)
Aslah, una cittadina portuale, è la sede di questo festival artistico che celebra sia l’arte contemporanea sia l’arte marocchina tradizionale e che è particolarmente adatto per le famiglie.
Festival del matrimonio ( settembre)
Un festival di 3 giorni che si tiene a Imilchil e che negli ultimi anni è stato molto sfruttato dall’ufficio nazionale marocchino per il turismo. Durante il festival le ragazze berbere scelgono i futuri mariti e firmano contratti di fidanzamento.
Festival cinematografico internazionale (date variabili) 
Manifestazione cinematografica, che attira molti attori, registi e cineasti; si svolge a Marrakech e sta diventando un evento d’elite. Dura una settimana e presenta film di varia provenienza, ma in particolare pellicole arabe e africane.

Tratto da “Marocco” di York Jillian


venerdì 23 agosto 2013

Buzkashi: lo sport dell'Afghanistan



Buzkashi, che tradotto letteralmente significa "acchiappa la pecora", è lo sport nazionale dell'Afghanistan.
Il gioco 
Si pratica su un grande campo quadrato il cui lato misura 400 metri. Qui, una carcassa di capra (boz) o di vitello senza testa è posta al centro di un cerchio e circondata dai giocatori delle due squadre opposte. Lo scopo del gioco, è ottenere il controllo della carcassa e portarla nella zona punti. Tradizionalmente il gioco veniva praticato come "tutti contro tutti", fu in un secondo tempo che si decise di suddividere i giocatori  in due squadre di chapandoz (cavalieri). Ci sono due versioni di Buzkashi: il Tudabarai e il Qarajai. Tudabarai è relativamente più semplice rispetto a Qarajai, anche se condividono gli stessi obiettivi. I premi per il vincitore consistono in denaro, abiti o turbanti. 
I giocatori
Di solito, in ogni squadra ci sono 10-12 giocatori. Per proteggersi dalle cadute indossano abiti pesanti: un lungo cappotto di pelle con pelliccia e  un cappello pure in pelliccia. Sono infatti frequenti gravi infortuni causati dagli urti e dalle cadute da cavallo. La maggior parte di loro continua a giocare la partita anche  con costole incrinate o con fratture perché per i giocatori è preferibile tornare a casa “macchiati  di sangue”, ma da coraggiosi, piuttosto che sani e salvi, ma da codardi. 
I chapandaz
I giocatori che hanno acquisito competenze elevate nel gioco sono chiamati chapandaz. Solo dopo un lungo periodo di difficile addestramento , si può diventare un bravi chapandaz  (di solito hanno un’ età superiore ai quarant'anni).
 La 'palla'
La “palla” del gioco è la carcassa di una capra o di un vitello. La testa e le interiora dell’animale vengono rimossi, e le gambe tagliate al ginocchio. La carcassa viene poi messa a bagno in acqua fredda per 24 ore per indurirla in modo che non si rompa facilmente.
Attrezzatura 
I giocatori utilizzano una piccola  frusta in pelle grezza che viene tenuta tra i denti quando non è usata. 
Cavalli
I giocatori non sono gli unici a dover seguire l’addestramento, anche i cavalli che partecipano al buzkashi devono allenarsi per cinque anni prima di avere risultati sul campo da gioco. Il cavallo deve sapere quando galoppare a tutta velocità e saper aspettare quando il giocatore cade da cavallo, dandogli il tempo di rimontare. Buzkashi, è uno sport pericoloso, ma un addestramento  intensivo e un’ottima comunicazione tra il cavallo e cavaliere possono aiutare a minimizzare il rischio di lesioni.
Regole 
Non esistono regole scritte, sono per di più tramandate oralmente e frutto di una lunga tradizione. È ad esempio concesso colpire con il frustino sia  il cavallo avversario che  il cavaliere, spingersi e strattonarsi. Inoltre, nessuno può legare la carcassa alla sua sella o colpire l'avversario sulla mano per strappare la capra. 
Origine
L'origine di questo gioco sembra risalire ai tempi della prima invasione dei Mongoli di Gengis Khan: si racconta che i prigionieri che venivano catturati in battaglia, venissero posti in mezzo ad uno spazio piuttosto vasto come oggetto di contenzioso da parte dei soldati; si aggiudicava il possesso del prigioniero, il cavaliere che riusciva ad afferrarlo dopo una sfrenata corsa a cavallo. Più avanti negli anni, l’oggetto della violenta contesa era la mandria del nemico.
Per molti afgani, il Buzkashi non è solo un gioco, ma un modo di vivere, un modo in cui il lavoro di squadra e la comunicazione sono essenziali per avere successo. 


domenica 28 luglio 2013

La Pietra Nera


Incastonata nell’angolo orientale della Ka 'ba, l’antica costruzione  di pietra, verso la quale i musulmani pregano, nel centro della Grande Moschea a La Mecca, c'è la Pietra Nera  ( Al-hajar Al –aswad), uno degli oggetti più sacri dell’Islam. Essa è costituita  da tre grandi pezzi e da alcuni frammenti  tenuti insieme da una cornice rotonda d’argento. Il culto di questo misterioso oggetto, che secondo gli studiosi occidentali è un meteorite, risale all’epoca preislamica, ma secondo una leggenda islamica altro non è che la pietra che fu data ad Adamo dopo la sua cacciata dal paradiso terrestre, come segno del perdurare della benedizione divina su di lui. Secondo un’altra leggenda, la pietra era in origine bianca e quando passò nelle mani del patriarca Abramo era di una bianchezza così abbagliante da essere visibile da ogni luogo della terra. La pietra sacra sarebbe diventata nera solo dopo , nel corso dei secoli, a causa dell’assorbimento dei peccati di tutti i fedeli che da allora l’hanno toccata e baciata, liberandosi così dalle conseguenze delle loro colpe.
Durante il pellegrinaggio che ha luogo ogni anno, tra l'ottavo ed il tredicesimo giorno del Dhul Hijjah, il 12esimo mese del calendario lunare musulmano,  i fedeli compiono il "tawaf" la circumambulazione, per sette volte ed in senso anti-orario, della Ka'aba, simbolo dell'unicita' di Dio e possono toccare o baciare la Pietra Nera.

lunedì 8 luglio 2013

Ramadan nel mondo: Tunisia

boutbila durante il Ramadan

Anche in  Tunisia, come in tanti altri paesi islamici, la gente inizia a prepararsi per il sacro mese del Ramadan, molti giorni prima del suo arrivo. Le case e le moschee vengono addobbate e le città illuminate a festa. Negozi e mercati sono aperti fino a tarda notte. Al mattino può succedere di svegliarsi al suono  dei tamburi boutbila (drummers) che girovagano per i quartieri ricordando a tutti, di mangiare e bere prima dell’alba in modo da poter essere preparati per le lunghe ore di digiuno.
In questo mese si respira un'atmosfera profondamente religiosa nelle più antiche moschee del paese, come la moschea Zaytuna e la Uqba Ibn Nafiee moschea di Kairouan dove sono migliaia i visitatori, provenienti da paesi arabi e islamici. Durante ogni Ramadan le autorità tunisine organizzano nelle moschee, più di 400 gare di recitazione del Sacro Corano che vedono la partecipazione di oltre 15 paesi arabi e musulmani. Queste gare si svolgono in diverse sezioni ed hanno come obbiettivo l’approfondimento della conoscenza della cultura coranica.
In questo mese si rafforza anche  la solidarietà e lo spirito di comunità della società tunisina. In varie parti del paese, si dà assistenza alle famiglie povere offrendo doni e denaro alle famiglie bisognose.

https://www.youtube.com/watch?v=gQ-iIUuLhqo


                                               Ramadan Kareem


martedì 25 giugno 2013

il suq marocchino

il suq di Fes

Il suq è il cuore commerciale della medina e si sviluppa attorno alla Grande Moschea secondo una precisa gerarchia. Nelle immediate vicinanze del luogo di culto hanno sede le corporazioni delle attività di maggior “lusso”: orefici, rilegatori, librai, cambiavalute; man mano che ci si allontana i prodotti esposti diventano di uso più corrente. A ridosso delle mura di cinta hanno sede le concerie e le fucine dei maniscalchi, le attività più invadenti anche quanto a inquinamento sonoro! Ogni singola categoria artigiana, dagli ottonai ai tessitori, dagli ebanisti ai calzolai, ha una sua propria strada bordata di minuscoli negozi ognuno dei quali, giunta la sera, chiude i battenti ( nel senso proprio del termine in quanto sono battenti di legno) per riaprirli il giorno seguente. Gli artigiani preservano con dedizione il proprio mestiere, ripetendo instancabilmente i gesti tramandati di padre in figlio o appresi sotto l’ala protettrice del maalem. Nei laboratori del suq dei tintori, i lavoranti rimestano la lana, il cotone e la seta nelle vasche variopinte; fuori, il cielo si intravede appena tra le matasse di lana e i tessuti già tinti messi ad asciugare su canne tese sulla strada. Il suq dei tappeti si anima tutti i giorni al momento dell’asta pomeridiana, allorché i venditori smerciano i tessuti prodotti dalle tribù berbere. Il rame, il bronzo e l’ottone vengono lavorati al suono incessante delle mazze nel quartiere degli ottonai; sotto i colpi ritmati degli artigiani nascono lanterne, vassoi, piatti e bollitori per il tè. Nel suq dei cestai gli uomini intrecciano con destrezza panieri e canestri di dum (foglie di palma nana) o di listelli di canna. I fabbricanti di babbucce non si limitano più ad offrire i tradizionali modelli in giallo o in bianco, come una volta: le versioni odierne sono vere e proprie opere d’arte, ricamate con fili d’oro,d’argento o di seta. Nel suq delle spezie ci si inebria degli aromi di cumino, zafferano, cannella, curcuma  e molti altri, venduti sfusi sui banchi, mentre in quello dell’ henné le erbe curative tradizionali sono esposte accanto ai prodotti di bellezza, al kohol e al ghassoul. Altro spazio odoroso è quello occupato dal suq degli ebanisti, pervaso dall’ essenza di cedro. Il legno viene trasformato in tavolini, bauli, scacchiere e suppellettili vari. Poco più il là altri artigiani squadrano con speciali scalpelli, i tasselli di terracotta smaltata che combinati tra loro formeranno mosaici multicolori, gli zellij. Nel suq dei conciatori gli uomini stanno immersi fino alla vita nelle fosse rotonde riempite di tannanti, a pestare instancabilmente pelli di pecora, montone o di vacca.
Nelle minuscole botteghe, poste una di fronte all’altra, l’affastellamento di mercanzie ha del vertiginoso: nel suq ogni minimo spazio è dedicato al commercio e i prodotti debordano ovunque dai baracchini.
Il mercato costituisce un polo d’attrazione sociale, un luogo oltre che di approvvigionamento, d’incontro e di scambio. È al suq che si saldano i debiti e si  contrattano i matrimoni. I commercianti sono riuniti per specialità e i contadini, raggruppati tra loro, espongono al suolo i prodotti del loro piccolo campo, pesando frutta e verdura su bilancine d’altri tempi.
Al calar del sole, pesanti portoni di legno si chiudono isolando il suq dal resto della città.

tratto da : "Marocco" di Marie - Pascal Rauzier  

https://www.youtube.com/watch?v=mxLYD7CLj3w


venerdì 7 giugno 2013

il Corano


Il Corano è il testo sacro dell’Islam, è la parola di Dio dettata alla lettera e senza intermediazione umana. In arabo “al-Qurʾān” significa “ recitazione”, “ lettura ad alta voce” e deriva dalla parola iqra (leggere). Il Corano è composto da 114 sure o capitoli (letteralmente “righe”), ordinati approssimativamente in ordine decrescente di lunghezza, da un massimo di 286 a minimo di 3 versetti. L’eccezione più importante è costituita dalla prima sura, al-Fātiḥa ( l’Aprente), un’invocazione di sette versetti ripetuta nel corso delle cinque preghiere che i musulmani devono recitare ogni giorno. I versetti sono chiamati āyāt ( segni).
“Iqra’ bi-smi Rabbika lladhi khalq: Leggi! In nome del tuo Signore che ha creato….”.secondo lo stesso Corano, questo è il primo versetto della più antica sura dettata a Maometto dall’arcangelo Gabriele sul monte Hira nei pressi della Mecca. Era l’anno 610 e per Maometto, che a quel tempo aveva 40 anni, iniziava la missione profetica  durata ben 23 anni. Il testo del Corano è stato rivelato passo dopo passo, affrontando i bisogni immediati della popolazione e dando loro il tempo di crescere e sviluppare la  fede. Secondo i musulmani, il Corano contiene la rivelazione definitiva e completa di Dio. Infatti Allah si sarebbe rivelato prima attraverso la Torah (libro sacro degli ebrei), poi attraverso i Vangeli (cristiani), ma ebrei e cristiani avrebbero falsificato questi libri e così quello che è scritto nel Corano va a correggere il contenuto dei libri precedenti. Il Corano non è stato scritto da Muhammad (la tradizione islamica afferma che non sapeva né leggere né scrivere), ma i suoi seguaci  impararono a memoria le rivelazioni che il profeta recitò loro e talvolta le trascrissero su oggetti come foglie di palma, ossa e pelli di animale. Solo dopo la morte di Maometto ,avvenuta nel 632, i suo fedeli iniziarono a scrivere redazioni complete del Corano, senza più tenere conto dell’ordine cronologico delle rivelazioni che il profeta aveva avuto. Quindi le prime redazioni erano moltissime e molto spesso discordanti tra di loro, ma la versione più famosa è dovuta a Zayd ibn Thābit che costituì il testo ufficiale diffuso in tutto il mondo musulmano, e non più modificato. Il Corano è stato scritto in arabo, la lingua ufficiale in cui pregano tutti i musulmani del mondo e  le sure sono da recitare con voce lenta e melodiosa in  modo che  si possa riflettere sul significato delle parole. Il Libro stesso deve essere trattato con rispetto e attenzione. Si tocca il testo solo quando si è in uno stato di purezza rituale, come per la preghiera. Prima e dopo la lettura si ricorda Dio e si cerca la protezione dal male.
Le decorazioni delle pagine del Corano non prevedono mai immagini di Dio per il divieto di raffigurare Allah, gli esseri umani e gli animali nei luoghi di preghiera. La bellezza della pagina è data quindi dalla qualità della calligrafia.
Milioni e milioni di musulmani e musulmane in tutto il mondo imparano a memoria le centinaia di pagine in arabo che costituiscono il libro. Questo processo è noto con il nome di 'Hifz', che significa 'conservazione'. Una persona che ha memorizzato l'intero Corano si chiama 'Hāfiz' (masch.) e 'Hāfiza' (femm.). Memorizzare il testo del Corano è un modo per garantirne la preservazione nella sua forma autentica nel corso dei secoli.

lunedì 20 maggio 2013

La danza cabila


Originaria della Turchia, la musica cabila ha attraversato tutto il Medio Oriente sino a giungere in Algeria, tra le montane della Cabilia, regione abitata prevalentemente da berberi, da cui ha preso il nome. E’ proprio da questa musica che nasce una danza gioiosa e coinvolgente la cui esecuzione è riservata alle donne. La danza cabila, così si chiama questo ballo, è legata alla celebrazione della raccolta delle olive. Accompagnate dai ritmi ossessivi dei  “tbal” ( tamburi di pelle di pecora) e dei “bendir” ( tamburelli), dal suono un po’ stridente delle “irette” (sorta di trombette) e dai richiami gioiosi delle donne (youyou), le danzatrici sembrano scivolare sul pavimento spinte dal ritmo cadenzato del bacino e da movimenti  rapidi e secchi dei fianchi. Anfore portate in equilibrio sulla testa o foulard dalle frange folte e colorate accompagnano la danza sottolineando il movimento dei fianchi, supplendo allo scarso uso delle braccia proprio di questa tradizione.  E’ una danza molto difficile da eseguire in quanto richiede un totale controllo dei muscoli inferiori e allo stesso tempo lo sforzo di apparire leggere e armoniose. Affascinano e colpiscono gli ampi e coloratissimi costumi tradizionali utilizzati per la danza: la djebba, la foudha, vera e propria divisa delle donne berbere, l’h’zam, una cintura composta da fili di lana intrecciati e culminanti in variopinti pon pon che valorizzano e amplificano il movimento dei fianchi e il mharma, foulard triangolare, nero o a motivi floreali, che copre i capelli ed incornicia il viso. Non mancano, per finire, i gioielli in argento e corallo (o a volte monete e conchiglie) che ornano il corpo della danzatrice.

http://granellidisabbia-najim.blogspot.it/p/video.html


mercoledì 1 maggio 2013

Khan-e Borujerdi


Secondo la leggenda, quando Sayyed Jafar Natanzi, un mercante noto con il nome di Borujerdi, incontrò Sayyed Jafar Tabatabei, per parlare del suo matrimonio con la figlia di quest'ultimo, Agha Tabatabei pose una condizione: sua figlia doveva vivere in una casa bella come quella nella quale era cresciuta. Il risultato, completato circa 18 anni dopo, fu Khan-e Borujerdi ( Kashan, Iran). In origine la casa era divisa in due parti, un *andaruni e un biruni, ma oggi solo l'andiruni è aperto al pubblico. Qui si può ammirare un cortile riccamente decorato con una fontana nel centro. Alla sua estremità splendidi motivi decorano l'arcata d'ingresso **iwan alla sala di ricevimenti, disposta su due piani e arricchita di vetrate, specchi e affreschi eseguiti da Khamal ol - Molk, il principale artista iraniano dell'epoca. In una stanza adiacente, più piccola, il soffitto è decorato con un motivo realizzato a imitazione di un tappeto. Se lo si chiede gentilmente, sarà permesso salire sul tetto per ammirare dall'alto il cortile e i caratteristici "badgir"( torri del vento), dalla cupola esagonale, che hanno reso famoso il palazzo.

Tratto dal libro "Iran" di Andrew Burke,Mark Elliott

* Tradizionalmente le case iraniane avevano un andaruni e un biruni. L'andaruni era la zona più segreta, quella in cui gli estranei non erano ammessi e le donne erano libere di muoversi senza essere viste da persone che non facevano parte della famiglia,   il biruni era la parte più esterna in cui accogliere i visitatori. 

** L'īwān è un elemento tipico dell'architettura islamica. In linea di massima  è un ambiente chiuso e coperto - posto ad un'estremità di una qualsiasi costruzione  (in genere moschea, madrasa o mausoleo) - che si apra verso l'esterno e il cui ingresso sia per lo più sormontato da un arco.


domenica 21 aprile 2013

Sofreh-ye Aghd: il banchetto di nozze iraniano


Una delle principali caratteristiche della cerimonia nuziale persiana è il Sofreh-ye Aghd (banchetto di nozze), un tavolo molto basso e riccamente imbandito la cui preparazione è particolarmente accurata in quanto si  crede, e si spera, che sia di buon auspicio per la vita della coppia. Come altre popolari tradizioni persiane questo evento non ha radici islamiche, bensì nell’antica fede zoroastriana (basata sui quattro elementi della natura: terra, fuoco, acqua,  vento) e proprio per questo è presente in ogni matrimonio iraniano indipendentemente dalla fede degli sposi. Generalmente si imbandisce  il “banchetto” a casa della sposa sul pavimento della camera dove si ufficia la cerimonia, rivolto verso est , dove nasce il sole, in modo tale che gli sposi guardino verso la luce. Sul sofreh, rivestito di un tradizionale panno bianco, non possono mancare :
un grande specchio (ayne-ye bakht), posizionato al centro del tavolo,  per portare luce e luminosità al futuro. Quando la sposa e lo sposo si siedono e la sposa si toglie il velo, la prima cosa che lo sposo deve vedere nello specchio è il riflesso della sua futura moglie.
Due candelabri ( sha’am) ai lati dello specchio, che rappresentano il fuoco e l’energia. 
Un vassoio di spezie (sini-ye aatel-o-baatel) , sette tipi di spezie per proteggere dal malocchio. Questi includono: semi di papavero "khash-khaash", riso selvatico "berenj", angelica "sabzi khoshk", sale "namak" (per accecare il malocchio), semi di nigella "raziyaneh", tè nero "chaay" e incenso "kondor " (per bruciare gli spiriti maligni).
Pane tipo focaccia e formaggio feta (naan-e sangak). Il pane a volte è decorato con scritte di congratulazioni per la coppia "Mobarak Baad" .
Uova decorate, noci, mandorle e nocciole (tokhm-e morgh (uovo) ajil (frutta secca) che simboleggiano la fertilità.
Melograni e mele (anar-o-sib), per un futuro gioioso. I melograni sono frutti del paradiso e le mele simboleggiano la creazione divina del genere umano.
Acqua di rose Gol-Ab per profumare l'aria.
Zucchero cristallizzato (kaas-e nabaat o shaakh-e nabaat), per addolcire la vita della sposa.
Monete d'oro (sekeh). Ricchezza e prosperità.
Una tazza di miele che consumato  subito dopo la cerimonia assicura dolcezza nella vita. La sposa e lo sposo tuffano un dito mignolo nella tazza di miele e si alimentano l’un l’altro.
Il Corano o altre Sacre Scritture a seconda della fede (Ghoraan-e Majid) . Simboleggiano la benedizione di Dio per la coppia. Alcune famiglie aggiungono anche un libro di poesia persiana di Hafez o Rumi.
Dolci e pasticcini (shirini) da dividere con gli invitati. L'assortimento di solito comprende: noghl , baklava , toot (marzapane persiano), naan-e bereneji (biscotti di riso), naan-e badami (biscotti alle mandorle) e naan-nokhodchi (biscotti di ceci) .
Termeh (termeh) seta o stoffa ricamata in oro, tramandata da generazioni, a rappresentare la famiglia e la tradizione.
Due coni di zucchero (kalleh ghand)canditi che vengono sbriciolati, durante la cerimonia,sul telo  tenuto sopra la testa degli sposi  da parenti di sesso femminile non sposate mentre una parente felicemente sposata grattugia lo zucchero come auspicio di una vita piena di dolcezza.
Un braciere "Manghal" con carboni ardenti cosparsi di ruta selvatica "esphand". La ruta selvatica è utilizzato in molte cerimonie zoroastriane, rituali e riti di purificazione. Si crede che tenga lontano il malocchio e che porti  tanta salute.
Il telo di seta o di qualsiasi altro tessuto sottile che viene tenuto sopra la testa degli sposi durante la cerimonia.
Chi vuole può mettere sul sofreh anche un ago e sette fili colorati per cucire figurativamente le labbra delle madri degli sposi  in modo che non possano dire parole sgradevoli o intromettersi nel matrimonio. Per coloro che desiderano mantenere questa usanza rendendola meno offensiva, il significato diventa “cucire le labbra dei pessimisti". 
Un kit da preghiera "jaa-namaaz" per ricordare alla coppia la loro fede. Questo kit comprende un tappeto di preghiera piccolo "sajjaadeh" da stendere sul pavimento, al momento della preghiera, un piccolo cubo di argilla modellata con preghiere scritte su di esso "mohr" e un filo di perle da preghiera "tasbih". 
In una cerimonia nuziale non può mancare neppure la musica e la canzone che tradizionalmente viene suonata quando la coppia entra nella stanza, è un motivetto allegro dal titolo “ Bada Bada Mobarak”.

lunedì 8 aprile 2013

Marocco: le case dell'Alto Atlante


Le case di pisé (terra cruda) dell'Alto Atlante, costruite sui versanti montuosi, sembrano sorgere direttamente dalla terra e s’ incastrano le une alle altre formando un tutt'uno di tetti e terrazzi rivolti a levante. Costruite per fronteggiare i rigori dell'inverno, le case montane vengono costruite con cura. Il pisé, materiale da costruzione più diffuso in questa zona, serve da copertura per muri e tetti delle case ed è un impasto di terra cruda più o meno argillosa e acqua con l'aggiunta facoltativa di paglia e brecciame. Si inizia a costruire usando per le fondamenta pietroni di calcare estratto direttamente dal monte. Il pisè viene poi versato in una cassaforma di legno, fatta di grosse assi legate da traverse. All'interno di questa forma un operaio comprime la terra pestandola con i piedi e poi la batte con un pesante maglio di legno. Quando la terra è secca , la forma viene rimossa e appoggiata accanto al blocco precedente. L'operazione viene ripetuta fila dopo fila. Il tetto è la parte della casa che richiede più cura. Di forma piatta viene utilizzato come terrazza, essicatoio per mais o noci, cortile o cucina. Una volta eretti i muri in pisé  vi si dispongono sopra in orizzontale, nel senso della lunghezza, grosse travi di quercia e di pioppo rozzamente sgrossate e sopra ancora, perpendicolarmente, pertiche di ginepro ben strette tra loro. Dopo aver creato un'intercapedine compatta di sterpaglie, si copre il tutto con terra battuta argillosa a garanzia della tenuta stagna del tetto. Lo spesso strato di erba secca che sporge vistosamente dal perimetro dei muri serve ad impedire che l'acqua grondi sul muro sottostante.
L'acqua piovana e la neve sono infatti i peggior nemici del pisé e vanno costantemente eliminati. Normalmente ogni 4 o 5 anni il tetto viene rifatto. Un tempo le finestre delle case erano poche e chiuse dall'interno con scuri di legno, ovvero schermate da trafori di musharabiya. Le abitazioni più recenti presentano maggiori aperture e sono più frequenti i telai muniti di vetri alle finestre. Le porte d'ingresso piccole e basse, sono tenute sempre chiuse a protezione dell'intimità della casa.


lunedì 25 marzo 2013

Gli articoli della fede islamica


La fede islamica si basa su sei articoli molto semplici:
- Credere in Allah creatore dell’universo. L’ unico e il solo meritevole di adorazione.
- Credere nei profeti (nabi) e nei messaggeri (rusul), uomini scelti da Dio per la loro moralità e la loro fede, portatori della rivelazione e del messaggio dell’unicità divina. I profeti  ricordati nel Corano sono 25 e sono in ordine cronologico:
Adam( Adamo), Noha ( Noè), Houd (Heber), Saleh (Matusalemme), Lot, Abraham( Abramo), Ishmail( Ismaele), Isaac(Isacco), Jacob ( Giacobbe), Shu'aib (Jethro), Haroun (Aronne), Moses (Mosè), David ( Davide), Solomon, Ayoub (Giobbe), Zulkifl (Isaiah), Younis (Jonah), Ilias (Elia), Alyas-aa (Elisha), Zacharias ( Zakaria), Yahia(Giovanni il Battista), Gesu' e Mohammed. Rinnegare uno di essi è come rinnegarli tutti.
- Credere nei libri (kutub), le “sacre scritture”, rivelate agli uomini da Dio per mezzo dei profeti. Il primo fu il "Libro di Ibrahim" (Abramo), di cui non esistono tracce nella letteratura mondiale, poi vennero la "Torah" rivelata a Mose', lo "Zabur" a Davide e l' "Ingil" (Vangelo) a Gesu' che  sono tuttora utilizzati da Ebrei e Cristiani e infine il "Quran" a Mohammed, testo Sacro dei Musulmani.
- Credere negli angeli (mala’ika). Mohammed ha insegnato che Allah , oltre al mondo visibile  ha creato un mondo invisibile a cui appartengono gli angeli, ministri di Dio. Puri spiriti sottomessi alla Sua autorità non dotati di libero arbitrio, ai quali ha affidato dei compiti specifici nei confronti degli esseri umani.
Quattro sono gli Arcangeli: Jibril, l'angelo della rivelazione , Mikae'il l'angelo che suonerà la tromba della fine del mondo, Israfil che annuncerà la Resurrezione, Azrail l'angelo della morte.
- Credere nel Giorno del Giudizio (qiyama) e nella risurrezione (la vita dopo la morte). La vita di questo mondo, è destinata a finire  in un tempo gia' fissato, chiamato iaumu l-qiyamah (giorno della resurrezione), detto anche iaumu l-akhir (l’ ultimo giorno).In quel momento, tutte le creature verranno richiamate in vita e compariranno dinnanzi ad Allah per il giudizio finale; questo avvenimento e' chiamato "hascr" (riunione). Saranno prese in considerazione tutte le azioni, sia buone che cattive, se la bilancia penderà dalla parte del bene, il giudicato avrà come ricompensa il Paradiso; se invece penderà dalla parte del male, egli sarà punito con l’ Inferno.
- Credere nel Destino (qadr). Tutto quello che accade, sia nell'universo, sia nella vita dell'uomo, dall'evento più insignificante a quello più importante, è parte di un disegno imperscrutabile di Allah ma questa condizione non deve implicare assolutamente un’accettazione passiva e fatalista degli avvenimenti. Al contrario, il musulmano è chiamato ad operare, programmare, impegnandosi secondo gli insegnamenti islamici, prendendo però coscienza che tutto ciò che fa, e il risultato che ottiene, dipendono solo dalla volontà di Dio


domenica 10 marzo 2013

I ritmi nella musica araba


Nelle società primitive, la musica nasceva dai suoni prodotti dalla vita quotidiana, come il battito delle mani o  il suono di alcuni tipi di lavori ed  esprimeva i vari stati d’animo  che  accompagnavano i momenti significativi vissuti in comunità, ad esempio il raccolto nei campi, la celebrazione di matrimoni e le nascite. I ritmi arabi derivano da questi ritmi tradizionali tramandati nel tempo e si differenziano a seconda della località geografica da cui provengono. Si basano su una unità minima costituita da due suoni principali : uno è di natura sonora grave ed è chiamato dum , l'altro è un suono acuto detto tak; a questi  si aggiunge un elemento non sonoro importantissimo, il silenzio, a volte impercettibile, che si inserisce tra i diversi colpi prodotti dallo strumento a percussione, oppure si colloca al termine dei battiti prestabiliti. Solitamente , ogni ritmo inizia con uno o più suoni gravi,  dum, (eccetto per un ritmo di origine indiana denominato Karachi), e termina o con un tak o con un dum. Una delle caratteristiche più interessanti dei ritmi arabi è che, pur essendo prefissati, permettono di eseguire una vasta gamma di improvvisazioniLa tablah o darbouka è lo strumento principe della ritmica araba in generale.

RITMO MALFOUF
Ritmo in 2/4 molto utilizzato nella danza araba, solitamente accompagna l'entrata in scena della danzatrice. 
         Dum    tak  tak   https://www.youtube.com/watch?v=eGJTowf50ig

RITMO FELLAHI
Questo ritmo proviene dalla musica popolare tradizionale contadina. E’ un ritmo molto veloce in 2/4 e rappresenta uno dei maggiori ritmi della musica rurale egiziana Sha'abi.

RITMO AYUB (Zar)
Il ritmo di Ayub o Zar è un ritmo in  2/4. La sua caratteristica è di essere ripetitivo e ossessivo dato che la sua funzione è di accompagnare cerimonie religiose. Viene usato anche per indurre lo stato di trance. Di solito viene suonato aumentandone la velocità.
           Dum   Dum tak     https://www.youtube.com/watch?v=bjkjLSPc6y8

RITMO KHALIGI
Il ritmo Khaligi è in 2/4. Khaliji significa "del Golfo" infatti è tipico della musica che proviene dai paesi del Golfo Persico. Si tratta di un ritmo sincopato, usato nella musica popolare, molto simile al ritmo  Malfuf ma con accenti diversi. Si usa nella danza folkloristica omonima.
        Dum a dum a tak    https://www.youtube.com/watch?v=iHlILwIvyKo

RITMO KARACHI
Ritmo in 2/4 che proviene dal Pakistan, è oggi molto diffuso nella musica egiziana. Si tratta di un ritmo popolare dalle sonorità energiche ed incalzanti.
          Tak a dum tak     https://www.youtube.com/watch?v=8w2aOyz_U10

RITMO MAQSUM
Il Maqsum è un ritmo in 4/4 molto accentuato e per questo motivo molto coinvolgente. Si tratta di uno dei ritmi più usati e diffusi in Egitto, in tutti gli ambiti musicali, da quello popolare, al  classico, alla musica pop commerciale.
       Dum  tak     tak   dum     tak    https://www.youtube.com/watch?v=bWejvoiuzac

RITMO BALADI
Il ritmo Baladi (popolare o "del mio paese") è diffusissimo in tutto il medio oriente arabo. Viene chiamato anche Masmoudi Sgheir, "piccolo Masmoudi", poiché richiama il ritmo Masmoudi della musica colta ma ne costituisce una versione semplificata.
E' in 4/4 ed appartiene all'ambito della musica popolare.
        Dum dum     tak  dum   tak     https://www.youtube.com/watch?v=0_w94rrQEiE

RITMO SAAIDI
Si tratta di un ritmo popolare, in 4/4 proveniente dall’alto Egitto.In passato era utilizzato per accompagnare una danza di arti marziali chiamata "tahteeb" eseguita dagli uomini con lunghi bastoni. Oggigiorno il "tahteeb" è diventata una danza più formale, eseguita in forma coreografica sia dagli uomini che dalle donne, in questo caso usando bastoni più piccoli e con movimenti più aggraziati.
        Dum tak     dum dum     tak     https://www.youtube.com/watch?v=tuU9zeqsB1U

RITMO WAHDA
Ritmo in 4/4 proveniente dalla Libia, viene utilizzato soprattutto per la danza del serpente.
              
RITMO MASMOUDI KABIR 
Il ritmo Masmoudi kabir è in 8/4. Molto utilizzato nella musica classica egiziana, ma anche nella musica popolare. E' diffuso in tutto il Nord Africa. Il Masmoudi kabir (grande)  e il Masmoudi sagheir ( piccolo), hanno una frase ritmica molto simile, ma velocità diversa: praticamente uno è il doppio dell’altro.

RITMO CIFTITELLI 
Il ritmo Ciftitelli o Wahdah Kbirah è un ritmo di originie greco-turca in 8/4. Appartiene all'ambito della musica colta. La sua frase ritmica è lunga e lenta e viene usato per accompagnare momenti di Taqsim (improvvisazione) di un singolo strumento.  Viene simulato anche da strumenti musicali melodici, come ad esempio l'oud o il violino.
  Dum ta tak ta   tak   dum dum tak   https://www.youtube.com/watch?v=TV7e9SWfqqw

RITMO EL ZAFFAH
Ritmo in 8/4 di provenienza egiziana è utilizzato nelle cerimonie nuziali per accompagnare gli sposi. Si usa anche all'interno di altri brani musicali, magari per alludere al matrimonio.          
 Dum      tak tak tak   tak     dum      tak   tak     https://www.youtube.com/watch?v=5OakzdJHS38

RITMO SAMA'I
E' un ritmo in 10/4 di origine arabo andalusa e ottomana, viene utilizzato nella musica classica egiziana.    
                                            https://www.youtube.com/watch?v=B21zq9ZWpXk


sabato 23 febbraio 2013

Moschea di Abramo - Aleppo


Nella Siria nord-occidentale, a sud della città di Aleppo, sorge la Moschea di Abramo (Maqam Ibrahim). Fatta costruire nel 1167 da Nureddin, secondo la tradizione, fu fatta erigere sulla roccia su cui Abramo sostò per mungere la sua mucca. Narra infatti la leggenda che il patriarca, in viaggio verso la terra di Canaan, si fermò ad Aleppo e munse la sua mucca nella cittadella (oggi centro storico), dando così origine all'attuale nome di Aleppo, che deriva dall'arabo halib, cioè "latte". Questa moschea, un hammam e un elegante portale mamelucco sono gli unici edifici che possono essere identificate tra le rovine.

domenica 10 febbraio 2013

Il matrimonio in Iran


In Iran , l’età minima per potersi sposare è per le ragazze di 9 anni lunari (8 anni e 9 mesi sul calendario solare) e fino a non molti anni fa ci si sposava giovanissimi. Negli anni passati anche il matrimonio era combinato, infatti erano le madri a scegliere le mogli per i propri figli maschi, scelta che ricadeva su ragazze figlie di amici o parenti oppure  si ricercava  la sposa giusta nei bagni pubblici o alle feste. Oggigiorno queste usanze si ritrovano ancora solo nelle zone rurali e nelle famiglie più tradizionali.  I ragazzi infatti hanno uno stile di vita più libero, l’età del matrimonio sta vertiginosamente salendo e le coppie più moderne scelgono di persona il proprio compagno, ma il consenso dei genitori rimane tuttora molto importante ed anche certe usanze sono ancora rispettate. Ad esempio, quando un  ragazzo è in età  di matrimonio, tocca alla famiglia recarsi a casa della ragazza prescelta portando dolci e fiori. In questo incontro, detto "khastegari",sono i padri dei futuri sposi che discutono sul matrimonio, se manca la figura maschile all’ interno della famiglia, viene chiamato lo zio più anziano. Questa prima visita serve esclusivamente per le parti per familiarizzare e non vi è alcun impegno. E’ nel secondo “Khastegari” che viene fatta la proposta formale e si discutono i termini del matrimonio. In tempi passati, questo incontro permetteva ai futuri sposi di vedersi per la prima volta, un veloce sguardo quando la ragazza entrava nella sala a servire tè e pasticcini. Ai giorni nostri, quando l'uomo e la donna si conoscono già e sono gli istigatori della cerimonia, le prime due khastegaris sono fatte in un solo passo. Dopo un breve periodo si svolge il  “Boroun Bale”, una cerimonia nel quale si annuncia il fidanzamento della coppia e i genitori dello sposo portano in regalo alla sposa un anello  e un pezzo di stoffa che servirà per confezionare un abito. Nelle famiglie religiose, la tela viene utilizzata per confezionare un  chador. Durante il “Boroun Bale” viene concordato anche il “Mehrieh” che può essere una somma di denaro o una proprietà che verranno dati alla sposa in caso di divorzio. La fase del fidanzamento può durare un paio di mesi ma anche diversi anni. Il “Aghd” è il vero e proprio matrimonio. Si celebra  davanti al mullah a casa dei genitori della sposa in una sala appositamente decorata di fronte ad un banchetto chiamato Sofreh-ye Aghd. La sposa, come nella tradizione occidentale, è vestita di bianco. Parenti di sesso femminile tengono, sopra la tesata degli sposi, un velo di seta e altri parenti ed amici, a turno, versano sul telo coni di zucchero per simboleggiare il desiderio di una vita dolce per la coppia. Durante questa fase il mullah recita per tre volte una preghiera, poi domanda una volta allo sposo se vuole prendere in moglie la ragazza, dopo il suo consenso chiede per tre volte alla donna, ricomprendendo nella domanda tutte le condizioni stabilite durante il "khastegari", se acconsente al matrimonio. E’ usanza che la donna dica tre volte “no” prima di acconsentire. Dopo l’assenso della sposa l’unione dei due ragazzi è ufficiale e consacrata. Il ricevimento di nozze "Jashn-e Aroosi", può svolgersi subito dopo il matrimonio oppure diversi mesi dopo la cerimonia e tradizionalmente si protrae da 3 a 7 giorni.

venerdì 25 gennaio 2013

Mondo cinema: Pane e fiore


Titolo Originale: Nun va goldum
Anno: 1996
Regia: Mohsen Makhmalbaf 
Sceneggiatura: Mohsen Makhmalbaf
Interpreti Ali Bakhshi Jozam, Mohsen Makhmalbaf, Elham Mohammad-Amini, Ammar Tafti, Mir Hadi Tayebi, Moharram Zeinalzadeh.




Il regista iraniano Mohsen Makhmalbaf ci propone con “Pane e fiore “ un film semi-autobiografico. Tutto prende spunto da un episodio accadutogli all’età di 17 anni, mentre militava in un gruppo clericale anti scià. Nel 1974, nel tentativo di rubargli la pistola   accoltellò  e ferì un poliziotto. Il poliziotto si salvò ma il regista fu arrestato, torturato, imprigionato per cinque anni e liberato solo nel 1979 durante la rivoluzione islamica. Quindici anni più tardi, dovendo scegliere gli attori per il suo nuovo film dal titolo “Salaam cinema”, e volendo  scritturare solo attori non professionisti, pubblica un annuncio sul giornale. Tra i numerosi candidati, si presenta anche un quarantenne che risulta essere un ex poliziotto. Dopo un po' Makhmalbaf lo riconosce: è lo stesso poliziotto che aveva ferito anni prima. Allora il regista, invece di offrirgli una parte, gli propone di ricostruire in un film quell'evento drammatico. Ognuno di loro sceglierà un giovane interprete per il proprio personaggio, attraverso il quale fornire una versione dei fatti. L'ex poliziotto è molto reticente, c'è di mezzo il ricordo di una ragazza che lui vedeva passare ogni giorno davanti alla sua postazione e di cui si era innamorato. Alla fine però i due giovani vengono scelti ed anzi, a poco a poco, è la loro storia a prendere il sopravvento: quello che fa il poliziotto è interessato solo a salvare una piantina di rose, mentre quello che fa il regista vorrebbe salvare l'umanità e non se la sente di accoltellare il rivale. Il finale è tutto da scoprire….
Il film è stato candidato per il Pardo d'Oro ed ha ricevuto una menzione speciale all'edizione del 1996 del Festival internazionale del film di Locarno. Il titolo originale Nun va goldum significa "un istante di innocenza".