domenica 13 dicembre 2009

Piazza Djemaa el-Fna



«Kan iam kan»… C'era e chissà poi se c'era…E' così che iniziano molte fiabe arabe, spesso raccontate al buio perché farlo di giorno, secondo molti, porta male. Lo fanno per esempio durante le lunghe veglie le donne berbere, oppure nelle piazze delle principali città dell'Africa i narratori di professione che raccontano di principi e principesse, personaggi surreali, anelli magici, lampade con poteri eccezionali, proprio come quella in cui si imbatte Aladino in una delle "Mille e una notte".
Accade anche nella piazza Djemaa el-Fna (chiamata "Piazza dei morti" o “convegno dei defunti” in ricordo delle esecuzioni pubbliche che si svolgevano un tempo) cuore pulsante di Marrakech dove tutto è magia. Il mattino è pressoché vuota, sembra una normale piazza; nel tardo pomeriggio inizia a riempirsi di bancarelle e ambulanti La sera è unica: incantatori di serpenti, di scimmie, caratteristici venditori d'acqua, danzatori, acrobati, maghi guaritori, indovini, fattucchiere, narratori di antichissime saghe, musicisti gnawa scrivani pubblici, venditori ambulanti delimitano il proprio "halqa", cerchio immaginario benedetto da un santo, e presentano il loro spettacolo. A sera inoltrata si leva il fumo prodotto da chi cuoce o scalda le vivande e man mano che si va avanti nella notte cominciano ad accendersi le luci, l'atmosfera si fa irreale: profumi, suoni, parole, danze, cibi che cuociono scatenando un profluvio di odori speziati e appetitosi, cantastorie, donne velate che ti prendono la mano per decorartela con l'hennè, rivenditori di cd, lumache e spiedini, bancarelle di spremuta d'arancia e tajin a cuocere su fornelletti, acrobati e musicanti...


mercoledì 18 novembre 2009

Il pellegrinaggio alla Mecca_ Al- Hajj


Nel cuore dell’Islam, una leggenda narra di un luogo che è sempre esistito.
Prima di ogni cosa, persino prima della creazione, c’era un luogo sacro, la casa celeste di Dio. Si chiamava Ka’aba e la sua copia sulla terra si trova oggi al centro della Grande Moschea (al- Masjid al- Haram) nel cuore di una città dell’Arabia Saudita: la Mecca (Makkah).
La Ka’aba, simbolo dell’adorazione verso l’unico Dio, è un semplice cubo alto 15 metri nel cui interno si trova una stanza disadorna. Nell’angolo sud-occidentale, incorniciata d’argento è incastonata la Pietra Nera, una delle pietre usate da Abramo per la costruzione.
I musulmani, se le loro condizioni glielo permettono, devono recarsi alla Mecca almeno una volta nella vita e in un preciso periodo dell’anno, tra l’8° e il 12° giorno del mese di duh l-hijja ( il dodicesimo del calendario lunare islamico) si svolge il Pellegrinaggio(Hajj) le cui fasi rispecchiano le tradizioni del passato, una delle quali è la creazione della nuova copertura della Ka’aba che consiste in un drappo di color nero, su cui sono ricamati a mano in oro e argento i versetti del Corano.
Per potervi partecipare il pellegrino deve essere in stato di ihram (sacralizzazione) che
consiste nel fare il ghusl, la grande abluzione rituale, nell' indossare un abbigliamento particolare e inoltre comportarsi con cortesia, rispetto e pazienza.
Per tutta la durata dell’Hajj infatti, gli uomini devono indossare due teli di stoffa bianca senza cuciture: lo izar intorno alla vita e il rida sulle spalle, mentre le donne hanno diritto di vestirsi come vogliono sempre nel rispetto delle leggi islamiche.
Arrivati alla Mecca, i pellegrini si recano alla Grande Moschea e girano 7 volte attorno alla Ka’aba in un rito chiamato Tawâf. Il Tawâf è una preghiera individuale che può essere compiuta solo in questo luogo. Subito dopo, compiono un altro rito il Sa’y, che è una marcia ripetuta per 7 volte tra due colline, Safâ – la roccia e Marwa – la pietra, e serve a ricordare il tormento di Agar che cercava acqua nel deserto. Ismaele e Agar furono lasciati da Abramo (Ibrâhîm) in una valle desolata per volere di Dio. Rimasti senza acqua, Agar presa dalla disperazione perchè il figlioletto aveva sete cominciò a correre tra le due colline in cerca di aiuto. Al settimo percorso la fede della donna venne ricompensata, l'Arcangelo Gabriele sfiorò il suolo con la punta di un'ala e fece sgorgare un getto d'acqua: la fonte Zamzam.
Il giorno 8 dhu l-hijja i pellegrini si spostano dalla Mecca a Mina , una vallata a sud dove fanno una sosta.
Il giorno 9 dhu l-hijja raggiungono la pianura di Arafat, dove sorge la collinetta Jabal al-Rahma (il Monte della Misericordia), luogo in cui Adamo ed Eva si ritrovarono dopo essere stati cacciati dal paradiso terrestre e dove il Profeta Maometto pronunciò il suo ultimo discorso. Ad Arafat, i pellegrini compiono le preghiere da mezzogiorno al tramonto facendo attenzione di rimanere all’interno dei limiti di questo territorio fino la notte che segue. E’ questo istante della stazione notturna sul territorio di ‘Arafat, in stato di ihrâm, che conferisce al Pellegrinaggio la sua validità. Si dirigono poi verso Muzdalifa dove stanno in preghiera fino a sera. Tra Mina e Muzdalifa, i pellegrini raccolgono 7 sassolini per lanciarli il giorno 10 dhu l-hijja contro tre steli (
jamarat) che rappresentano il diavolo e ricordano l'episodio in cui il diavolo (Shayṭān, Iblīs) incitò per tre volte Abramo a disobbedire al suo Signore e per tre volte Ibrâhîm lo scacciò lanciandogli delle pietre. La battaglia con il diavolo segna l'inizio di una celebrazione che dura tre giorni e che si chiama “festa del sacrificio” ( Aid al – Adha ) dove i pellegrini e i musulmani di tutto il mondo immolano un animale per poi distribuirne la carne ai poveri e consumandone una parte. Ora i pellegrini si rasano, fanno il bagno e si cambiano d'abito ritornando alla Mecca per l'ultimo commiato. Tutti ora hanno acquisito un titolo onorifico: Hajji per gli uomini e Hajja per le donne .


venerdì 30 ottobre 2009

La musica gnawa


Gli Gnawa (con grafia francese, Gnaoua) costituiscono un gruppo etnico presente in Marocco e in altre zone del Nordafrica. Sono discendenti di quegli africani che furono portati, secoli fa, come schiavi dai paesi dell’Africa occidentale attraverso il deserto del Sahara. La musica gnawa è una delle musiche più primitive del continente africano, è molto ipnotica e capace di indurre uno stato di trance, grazie a suoni bassi e ritmati del "goumbri", una chitarra a tre corde, del qraqb (strumento a percussioni simile alle nacchere) e del battito delle mani che creano impetuose onde ritmiche. Musica e danza vengono impiegate per evocare forze spirituali capaci di estirpare il male, curare malattie della psiche o guarire punture di scorpioni. Con il tempo, la musica gnawa ha cominciato a destare interesse anche al di fuori della società tradizionale ed è salita alla ribalta internazionale. Suonatori gnawa si esibiscono ora anche in collaborazione con musicisti di origine non nordafricana, come Bill Laswell, Adam Rudolph e Randy Weston. Alcuni tradizionalisti sono scettici riguardo a questa mescolanza di un genere sacro con musiche dagli scopi più marcatamente commerciali. Un’occasione unica per ascoltare la suggestive sonorità della musica Gnawa è il “Gnawa world music festival” che si svolge ogni anno, la terza settimana di giugno ad Essaouira ed è uno dei festival più attesi in Marocco.



sabato 3 ottobre 2009

Venditori d'acqua a Marrakech


Una delle figure tipiche del folklore marocchino è il venditore d'acqua. Indossa il caratteristico costume con il grande cappello di paglia ornato di fiocchi multicolori. Porta a tracolla l'otre di pelle di capra, le ciotole di ottone e una campanella per annunciarsi alla gente. In cambio di qualche dirham , il garrab disseta i passanti.

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sabato 12 settembre 2009

Ftour o iftar : rottura del digiuno


La cucina in Marocco è un'attività ancestrale che rimane a tutt'oggi appannaggio esclusivo delle donne. L'abilità culinaria si trasmette di madre in figlia, racchiusa in una serie di gesti consumati e sapienti dosaggi affidati più all'occhio e al tocco che alla bilancia.
Paradossalmente non si cucina mai così tanto come in tempo di Ramadan. Al tramonto del sole, lo “ftour “o "iftar" annunciato in tutte le città dalle sirene, segna la fine del digiuno. Il pasto inizia solitamente con un dattero perchè era così che il profeta Maometto rompeva il digiuno. Al centro tavola troneggia la “harira” fumante, zuppa marocchina a base di pomodori, lenticchie, ceci, riso e carne, piccante e all’aroma di limone. A seguire, tè, dolci, frittelle, uova, datteri...una mescolanza di sapori dolci e salati Gli chebbakia, nastri intrecciati di pasta fritta, aromatizzati al miele e spolverati di semi di sesamo, sono i dolci per eccellenza del Ramadan. Lo “ftour” viene offerto a tutti, chi si trova fuori a quell’ora, può affacciarsi alla porta di una casa qualsiasi e riceverne. Spesso, verrà invitato a sedersi e a mangiare.


sabato 22 agosto 2009

Ramadan karim


Il mese di Ramadan è il mese dello sforzo per arricchire la spiritualità, per aumentare la fede, per approfondire la scienza religiosa , per aumentare il timore di Dio, per migliorare la condotta morale e per dare maggiore forza alla pratica dell'Islam e alla diffusione della parola d'Allah. Il Ramadan è il mese del colloquio con se stesso, il mese dei bilanci e dei programmi futuri, è il mese del rafforzamento del proposito di camminare nella retta via, nella luce del Sublime Corano e dell'Insegnamento del Profeta Muhammad . Quando due musulmani si incontrano nel mese di Ramadan, dopo l'augurio di pace (as-salàmu 'alàikum) e la riposta (ua 'alàikumu-s-salàm ua ràhmatullàh) si scambiano l'augurio di Ramadan dicendo: Ramadan karìm! (Generoso Ramadan) e rispondendo: Allahu àkram! ( Allah è più generoso assai!)

Buon Ramadan a tutti
!

venerdì 17 luglio 2009

Cartoline dallo Yemen



Sana'a Un’antica leggenda narra che Sana’a venne fondata da Sem, figlio maggiore di Noè, e capostipite della razza semita. Un’altra leggenda vuole che durante i regni di Saba e di Himyar, Sana'a ospitasse il Ghumdan, meraviglioso palazzo di venti piani con cupola di alabastro trasparente e leoni di bronzo a guardia di ogni angolo. Alla fine del II secolo d.C, il re di Saba, Sha'r Awtar avrebbe costruito intorno al palazzo un muro, nucleo originario di una cinta di cui si è conservata oggi solo la porta detta Bab al-Yemen, da cui avrebbero avuto origine la città e il suo nome, che letteralmente significa "città fortificata”. Le case a più piani (fino a 7-8) che abbelliscono tuttora la capitale sono realizzate con mattoni di argilla cotta al sole ed arricchite da piccole finestre d’alabastro, da facciate di creta bianca e da balconcini intagliati da sembrare merletti.
Wadi Dhahr A pochi chilometri da Sana'a, vi è una valle chiamata Wadhi Dar. Qui sorge il palazzo Dar al-Hajar che significa "palazzo sulla roccia": è un sorprendente edificio in cima ad una formazione rocciosa sporgente, costruito attorno agli anni '30 sulle rovine di altri edifici già presenti da secoli sulla collina. Il bellissimo palazzo di 5 piani, decorato con elaborate finestre takhrin, è stato realizzato dall'imam Yahya come sua residenza estiva.
Shibam. Definita la” Manhattan del deserto” o “la città del cielo”, Shibam forma un insieme ammucchiato di quasi 500 grattacieli, raggruppati in una zona di soltanto mezzo km quadrato. I suoi palazzi alti fino a 9 piani sono costruiti con mattoni di fango, paglia e sabbia.
Hababah. La grande vasca circondata da un semicerchio di case tradizionali, è la struttura più interessante del paese. Si tratta di una straordinaria cisterna per la raccolta dell'acqua piovana. Le alghe che ricoprono il fondo della vasca conferiscono all'acqua un sorprendente colore verde smeraldo.
Zabid. Durante l'epoca del suo massimo splendore Zabid aveva ben 236 moschee, ma nel corso dei secoli molte sono andate distrutte. Oggi la città è in decadimento ed i suoi pochi abitanti sono poverissimi. Alcune case di Zabid presentano ancora interni riccamente decorati che contrastano con le semplici strutture esterne. Nel passato era usanza celare ai passanti le ricchezze del proprietario dell'edificio. Più la casa era grande e sontuoso il suo interno, più modesta era la facciata che dava sulla via.

Al-Hajjara.  Le case di pietra a 4 o 5 piani di al-Hajjara sono costruite vicinissime fra loro e strapiombano nella valle circostante. Il villaggio serviva come importante fortificazione nel periodo delle invasioni turche nello Yemen. Qui si trova un caratteristico funduq yemenita molto frequentato dai turisti. I cibi vengono consumati seduti per terra su dei cuscini, in una grande sala a cui si accede senza scarpe. Dopo il pasto è usanza che il padrone del funduq, con i suoi famigliari, intrattenga gli ospiti con musiche e danze tradizionali yemenite.

mercoledì 24 giugno 2009

L'henné


La decorazione con l'henné ( o henna) ha origini antichissime risalenti ai tempi dei Faraoni. I reperti egizi di mummie e le incisioni pittoriche rinvenute su bassorilievi e monumenti dell'epoca suggeriscono che la pratica di dipingere capelli, barbe e parti del corpo con l’ henné era, nell'antico Egitto, pratica piuttosto comune, mentre nell'Asia centro-continentale (Persia, Pakistan, India) erano soprattutto religiosi, musici e danzatori ad usare queste decorazioni.
La pittura corporale è assai diffusa in tutti i paesi di cultura islamica. I disegni tradizionali indiani e pakistani tendono ad essere molto intricati, dettagliati e astratti, mentre i quelli medio orientali sono solitamente floreali, meno complessi di quelli indiani e talvolta con forme geometriche e simboli astratti.
Gli usi decorativi dell'henné variano da cultura a cultura. Segno di appartenenza tribale, sociale o religiosa, in alcuni paesi è utilizzata per celebrare le circoncisioni, le nascite, le festività (ad esempio, la fine del Ramadan) come simbolo di buon augurio. In altri diventa simbolo del passaggio dall’età infantile a quella fertile e adulta oppure di rito prematrimoniale che "segna" e le ragazze da marito.
In Medio Oriente, infatti è tradizione dedicare la sera precedente le nozze al rito dell'henné durante il quale la sposa, le sue sorelle, le amiche e sua madre decorano le mani e le braccia con disegni molto ornamentali e di buon auspicio, utilizzando poi una parte dell' "henna al-arus" (l'henna matrimoniale) per fare impacchi sui capelli che, ramati e lucidissimi, saranno "sfoggiati" il giorno delle nozze. L'henné, in questo caso, viene preparata dalla madre della sposa e dalle anziane della famiglia.
In Marocco la tecnica di pittura sulla pelle si chiama Harqus.
L' henné viene estratto da una particolare pianta, la Lawsonia Alba, sempreverde, che da arbusto può raggiungere l'altezza di sei metri e che cresce spontanea in Medio Oriente, Africa del Nord e Asia centrale.
La polvere di henna, stemperata in acqua e diluita con succo di limone, assume la consistenza di una pasta morbida, liscia e molto profumata, che deve essere fatta riposare per un po' di tempo prima di essere utilizzata. Si stende con l'aiuto di un sottile attrezzo sulle parti da decorare e si lascia asciugare per un tempo variabile (a seconda dell'intensità di colore che si intende dare al disegno), comunque mai superiore ad un'ora. I capelli, invece, protetti da una cuffietta impermeabile possono "sopportare" l'impacco di henné anche tutta la notte. Se alla pasta di henné si aggiungerà un po' di miele, l'impacco, seccando, non indurirà, restando morbido ed umido. Quando sarà trascorso il tempo di posa, basterà risciacquare accuratamente pelle o capelli con acqua tiepida, utilizzando sapone e shampoo neutro per detergere a fondo: la colorazione durerà per qualche settimana, a seconda dell'intensità del colore e del tempo di posa.


mercoledì 20 maggio 2009

La leggenda di Bilqis, regina di Saba



La maggior parte degli studiosi ritiene che il regno di Saba sia da collocarsi nello Yemen, ma della sua regina Bilqis, rimangono solo poche tracce. Narra la leggenda che un giorno re Salomone (che poteva parlare agli animali grazie ad un magico sigillo donatogli da Dio), chiamò a raccolta tutti gli animali. All’appello mancava solo l'upupa, che quando giunse si giustificò raccontando di essersi attardata in un regno nel cuore del deserto che aveva giardini fioriti e un grande trono d'oro e d'argento, tempestato di pietre preziose che apparteneva alla regina Bilqis. Incuriosito il re di Gerusalemme inviò una lettera alla regina di Saba invitandola nel suo regno. La sovrana accettò l'invito decidendo però di mettere alla prova la sapienza del re di cui tutti parlavano. Si fece precedere da un corteo di ambasciatori che portavano in dono sandalo, incenso, aloe e mirra, 500 lingotti d'oro e 500 d'argento. Il corteo era composto da 6000 tra fanciulli e fanciulle, gli uni vestiti con abiti femminili le altre con abiti maschili. In un cofanetto depose una perla non forata e una conchiglia con un foro tortuoso. Salomone doveva riuscire a distinguere i maschi dalle femmine, doveva rimanere impassibile davanti a tanta ricchezza e doveva trovare il modo di perforare la perla senza toccarla e passare un filo nel foro della conchiglia.
Per prima cosa il re fece dipingere d'oro e argento i mattoni della sua reggia in modo da sminuire le ricchezze portategli in dono, poi quando giunse il corteo, invitò i giovani a rinfrescarsi e lavarsi nella grande vasca: stanchi del viaggio si gettarono nell’ acqua, che rivelò le loro vere identità. Quindi, aiutato dagli animali suoi amici, convocò un tarlo per perforare la perla e un bruco che, contorcendosi, infilò un capello nel foro della conchiglia.
Quando la regina di Saba giunse a corte rimase incantata, sia per la splendida città dipinta d'oro e argento, sia per l'arguzia del suo re. Salomone, dal canto suo, per l'arrivo della sovrana fece posizionare delle lastre di cristallo sul pavimento del palazzo, creando uno strano effetto ottico: chiunque ci passasse sopra credeva fosse acqua.
Anche Bilqis, vedendo i riflessi cadde nell'inganno, alzò le vesti e mostrò le sue gambe maschili, villose* e il suo piede caprino**.
Durante la sua permanenza la regina di Saba mise più volte in difficoltà re Salomone con enigmi d'ogni sorta. Una volta tornata nel suo regno, Salomone prese a far visita alla bellissima regina ogni mese, fermandosi da lei per tre giorni, e coprendo la distanza nella sola mattina tanto era veloce il re e forte il richiamo della sua amata.

*Secondo la versione araba quando Salomone s'accorse di questa imperfezione chiamò i Jinn, i demoni che lo assistevano, e chiese il loro aiuto. Questi prepararono una pasta di gesso da utilizzare per la depilazione.

**Si racconta che la madre di Bilqis, incinta, vedendo una capra esclamò: "che bella capra ! che bei piedi!". Fu così che ella partorì una figlia con un piede umano e uno zoccolo caprino. Secondo la leggenda quando la regina giunse al cospetto di re Salomone e sollevò la sua veste inciampò in un legno miracoloso e il suo piede caprino si trasformò in piede umano.


venerdì 17 aprile 2009

Sahara : l'origine del nome

Leggenda berbera

Quando il buon Dio ritenne fosse giunto il momento di realizzare questa nostra valle di lacrime, radunò tutto il suo staff e buttò giù un badget ben preciso per stabilire come organizzare il mondo. Tra le tante dicisioni prese vi fu quella di ricoprire di una lussureggiante vegetazione tutta l'Africa. Quando vide realizzata l'opera, si rese conto dello sproposito che gli sarebbe costata la manutenzione di un così vasto territorio verde. Fece due conti e si accorse che sarebbe inevitabilmente finito fuori preventivo. chiamò il suo funzionario addetto alle ristrutturazioni (l'aveva scelto tra il personale francese), tracciò un ampio cerchio con il pennarello rosso, in corrispondenza della zona sulla quale intervenire e disse: "Coupe mois ca à ras!" Vale a dire, radimi a zero tutto questo. Ora estrapolando dalla frase l'espressione "ca à ras" (foneticamente Sa-a-ra ) ecco ottenuto, con un pizzico d'immaginazione, il Sahara. Qualcuno potrebbe obiettare che il significato della parola Sahara, ha delle basi un pò meno fantasiose. Vogliamo dire che ha origine da un sostantivo arabo che significa semplicemente terra sterile o morta?. Diciamolo pure, ma che cosa c'è di meglio di una favola per rendere l'incanto e la magia di questi luoghi?

sabato 14 marzo 2009

L'olio d'argan


L'argan è un albero molto longevo (può arrivare fino a 150-200 anni di età)simile all'olivo ed esiste soltanto sulla costa meridionale del Marocco, tra Safi (a nord) e Goulimime (a sud), in una zona arida, povera e d'estate caldissima
Il frutto che produce è una bacca di colore verde, simile ad un oliva ma di dimensioni maggiori. Al suo interno contiene una nocciolo particolarmente duro che a sua volta racchiude due o più mandorle da cui si estrae il famoso olio d'argan.
Sono necessari cinquanta chili di bacche per produrre mezzo litro di olio; una resa bassissima, a fronte di una lavorazione lunga e laboriosa. La produzione è compito prevalentemente femminile: di madre in figlia le donne si tramandano saperi e gesti antichi. Con movimenti ripetitivi e rapidissimi e con l'aiuto di un sasso rompono i gusci duri dei noccioli, estraggono le armelline e poi le tritano. Alla pasta ottenuta aggiungono una piccola quantità di acqua tiepida per facilitare l'estrazione dell'olio quando la miscela sarà pressata in un piccolo mulino casalingo fatto di due pietre rotanti. Il colore dell'olio d'argan è dorato intenso, il sapore è netto, di nocciola, con uno spiccato aroma tostato. Se ne aggiungono poche gocce al termine della cottura del "cuscus", nelle "taijne" di pesce e di carne e nelle "crudités". Può essere consumato anche crudo, su di una semplice fetta di pane.
Unito alle mandorle e al miele, è ingrediente dell'"amlou beldi", la crema tradizionale che ancora oggi si offre ai visitatori, assieme al pane e al tè alla menta, come segno di benvenuto. Nelle campagne è usanza dare ai neonati, come primo alimento, poche gocce di questo olio. E poi, con l'argan, si idrata la pelle, si ungono i capelli, si curano le cicatrici.

curiosità

Gli alberi di Argan piacciono molto anche alle capre marocchine e nonostante siano protetti da spine, permettono a questi animali di arrampicarsi anche sui rami più sottili per brucare le foglie più tenere e gustose.

domenica 22 febbraio 2009

Il rituale del pasto




Se dovessimo scegliere due aggettivi per definire la tavola e l'accoglienza araba useremmo generosità e prodigalità. Un detto del Profeta Muhammad diceva :”Cibo di due è sufficiente per tre, e cibo di tre è sufficiente per quattro” ciò riassume la filosofia che sta alla base dell’ospitalità tipica degli arabi: offrire cibo all’ospite è parte integrante della loro vita. L’ospite viene trattato come uno di casa e viene messo il più possibile a suo agio. Costume delle donne arabe è nutrire l’invitato prima e più di se stesse. Rifiutare qualche portata della cena è un’offesa verso i padroni di casa, che lo interpretano come un mancato apprezzamento dell’ospitalità. Prima di mettersi a tavola è importante lavarsi le mani e, prima di iniziare il pasto, pronunciare le parole di rito " bismi Allah " ( in nome di Dio) con cui si invoca la benedizione del cibo; alla fine del pasto per ringraziare si dirà “al-hamdu li-llah ( grazie a Dio). Il pasto tipico tradizionale viene consumato stando seduti su dei cuscini o sul tappeto, intorno ad un tavolo basso attingendo da un grande vassoio posto al centro tavola (siniyyah). Non esiste il primo e il secondo, ma un pranzo con diverse portate servite nello stesso momento sul tavolo. Il cibo si prende e si mangia usando le proprie mani, più precisamente utilizzando tre dita della mano destra, e aiutandosi con del pane tipicamente arabo, non si usano posate. Il pane è l’elemento base di ogni pasto, mangiarlo in compagnia è simbolo di amicizia. All’ospite viene offerto del o del caffè ma mai il vino perché proibito dalla religione. Il buon musulmano anche a tavola deve rispettare alcune regole:
• Ricordarsi sempre che Dio è il dispensatore
• Essere soddisfatti di ciò che Dio ha dispensato
• Mangiare dal piatto di fronte a sé

• Prendere dei pezzi minuti

• Masticare bene

• Non fissare gli altri commensali, sarebbe maleducazione

La cena si termina con l’esclamazione della parola “sahteyn” che significa “due volte la salute a voi”.


domenica 25 gennaio 2009

La Catena montuosa dell'Atlante

La Catena dell'Atlante è un sistema montuoso dell'Africa del Nord che si estende tra il Marocco, l'Algeria e la Tunisia. Il suo nome berbero è Adrar n Dern ( il Monte dei Monti).
La leggenda narra che nei tempi antichi, Atlante era un dio greco che viveva nel mar Mediterraneo; era un titano che si batteva contro altri giganti, e un giorno, dopo aver perso un'importante battaglia, venne a nascondersi sulle sponde dell'Africa: quando si distese per dormire, posò la testa in Tunisia e allungò i piedi fino a Marrakech. Il "letto" era così comodo che non si svegliò mai più e diventò una montagna. La neve visitava Atlante regolarmente ogni anno per mesi e lui pareva felice di sentirsi i piedi bloccati nelle sabbie del deserto e ammiccava i passanti dalla sua regale prigione.


giovedì 1 gennaio 2009

Strumenti musicali arabi


Nella danza orientale, inizialmente erano il battito delle mani, lo schioccare delle dita e il canto, gli unici accompagnamenti musicali. In seguito nacquero strumenti a percussione seguiti da quelli melodici , dapprima suonati dalle stesse danzatrici, poi quando questi divennero più complessi fu necessario ricorrere a un gruppo di suonatori. In questa danza diversi sono gli strumenti usati.
LAUD (Al Ud) ( fig 1) é lo strumento più noto ed importante della musica Araba. Di derivazione del più antico strumento persiano,chiamato "Barbat", l’ "Ud" che letteralmente significa legno, assume questo nome quando fu adottata la tavola armonica in legno in sostituzione di quella originaria in pergamena. Tra l’VIII ed il X secolo aveva solo quattro corde che rappresentavano i quattro elementi fondamentali della natura: fuoco, acqua, terra e aria. Nel XV secolo il numero delle corde aumentò a sei. Conosciuto anche dagli antichi Egizi, Assiri, Cinesi e Persiani, oggi è l’unico strumento capace di seguire tutte le melodie è’ il principe degli strumenti musicali e simbolo della musica araba moderna e tradizionale. Preferito dai compositori, accompagna normalmente i cantanti solisti.
ZAGAT o cimbali ( fig 2) è uno strumento formato da due paia di piattini metallici, ciascuno di 6 cm. di diametro che si mettono sul dito medio e sul pollice di ciascuna mano e si usano come accompagnamento alla musica.
QANUN ( fig 3 ) discende della antica arpa egiziana, ha un ruolo importante nella musica araba già dal X secolo. E’ uno strumento di ottone e legno a forma trapezoidale che possiede 72 corde accordate a gruppi di tre, le modulazioni e i cambi di tono sono dovute a piccole alette di bronzo che si stringono quando si vuole aumentare il suono di una nota. Lo strumento viene poggiato orizzontalmente sulle ginocchia o sul tavolo del musicista che lo suona pizzicando le corde con le dita o con plettri applicati agli indici.
REQ ( fig 4 )significa “delicato”. La cornice circolare in legno è costituita da piattini di metallo e ricoperta su un lato da pelle di capra o di pesce. Il suono di questo strumento a percussione tiene il ritmo nella musica araba, specialmente nelle esecuzioni di brani classici.Conosciuto anche come tamburello egiziano.
DUFF ( fig 5 ) è simile al “req” ma non possiede piattini e ha un diametro tra i 30 e i 50 centimetri. La cornice circolare è ricoperta da un lato con pelle di capra. Utilizzato nella musica popolare e religiosa, è conosciuto anche con il nome di ADUFE.
NAY ( fig 6 )è lo strumento musicale più antico creato dagli Egizi nell’epoca faraonica con il gambo della canna (pianta selvatica che cresce ai margini degli innumerevoli canali che affluiscono al Nilo).La lunghezza oscilla tra i 37 e gli 80 cm. - minor lunghezza corrisponde a suono più acuto - e ha 7 fori, di cui uno nella parte inferiore. Il suo timbro poetico si adatta ad effetti melanconici che possono esprimere sia gioia che disperazione.Fin dai tempi antichi gli arabi hanno utilizzato il flauto per accompagnare recite di poesie.
DARBUKA o tabla ( fig 7) strumento a percussione utilizzato nella musica classica, popolare e moderna araba. Anticamente la forma cilindrica veniva fatta con terracotta e sulla bocca superiore veniva tesa pelle di pesce. Attualmente si trova più facilmente in alluminio e plastica perchè più resistente all’umidità. Chiamato anche "iI cuore della musica araba".
RABAB ( fig 8) viene utilizzato nella musica popolare in Egitto e, in Iraq, nella musica classica. Strumento composto di un manico largo di legno che termina con due tasselli laterali. La cassa di risonanza è piccola, ricavata dall’armatura del cocco e ricoperta di pelle animale. Dotato di due corde di crine di cavallo accordato in casa, si suona con l’aiuto di un arco.
ZURNA o Mizmar ( fig 9) è una specie di oboe tradizionale che possiede 7 fori nella parte frontale e uno nella parte posteriore. Strumento comune nei paesi arabo-islamici, viene utilizzato in tutta la musica folcloristica dell’Egitto. Lo troviamo anche nella musica popolare del Magreb con il nome di “Mizud”.

testo e immagini tratti da http://www.salua.it/