venerdì 12 dicembre 2014

Il tappeto da preghiera


La preghiera quotidiana è uno degli obblighi fondamentali nella vita del musulmano, il quale può pregare all'aperto o dentro una casa purché il terreno sia delimitato da qualche oggetto (tappeto, stuoia, mantello, sassi) e sia puro. Questo perché, come d'altronde per tutti gli atti previsti dalla Legge islamica (Sharia), è richiesto lo stato di purità legale (Tahra), ottenibile con lavacri parziali o totali del corpo, mentre il luogo della preghiera deve essere esente da evidenti sporcizie che potrebbero contaminare chi col terreno debba aver contatto, come appunto accade nella Salāt. I pavimenti delle moschee sono interamente coperti di tappeti (il fedele entra scalzo nella moschea). Una delle massime manifestazioni artistiche del mondo musulmano è rappresentato dal tappeto(sajjāda) che ha un particolare utilizzo, infatti il tappeto riveste un ruolo fondamentale nel mondo islamico: il suo compito è quello di impedire il contatto diretto tra il suolo impuro, e il fedele impegnato nella preghiera. L'impiego dei tappeti per questo uso risale ai primi tempi dell'Islam, ed è sempre di quei tempi la tradizione di donare tappeti alle moschee. 
I tappeti da preghiera riprendono, nel loro impianto grafico, i principali elementi architettonici delle moschee: in particolare non può mancare il Mihrab, che rappresenta la piccola nicchia coperta da un arco che, proprio nelle moschee, indica la direzione della Mecca, la lampada, sempre accesa nei luoghi di culto per indicare l'immortalità del divino, il simbolo del tempio di fuoco, che rappresenta un tempio poligonale con ben 20 o 28 lati, secondo una complessa tipologia edilizia impiegata nella Persia e adottata anche in epoca islamica. Ricorrente è infine l'ascia bipenne cioè a doppio fendente, dal significato simbolico con valenza dualistica, poiché comunica la dicotomia del potere in grado al contempo di promuovere il bene e di distruggere. Tra le diverse rappresentazioni grafiche che caratterizzano questi manufatti una citazione particolare merita la cosiddetta "Mano di Fatima", che spesso compare in forma stilizzata e indica la posizione del tappeto sulla quale il fedele si appoggia durante la preghiera. La mano di Fatima ha nel mondo islamico un preciso significato: le cinque dita aperte richiamano infatti i cinque pilastri fondamentali dell'Islam. Spesso nei tappeti da preghiera di trovano anche decorazioni floreali e vasche d'acqua, tutte riconducibili al tema del giardino. 

host.uniroma3.it/progetti/cedir/cedir/Relazioni10/Simboli%20Islam.pdf

lunedì 10 novembre 2014

Jeddah



Per alcuni il nome di Jeddah (scritta anche Gidda, Jedda, Jiddah, Jidda o Judda; italiano: Gedda), seconda città più grande dell’Arabia Saudita dopo la capitale Riyad, significherebbe “spiaggia”, essendo situata lungo le sponde del Mar Rosso e costituendo uno dei maggiori porti commerciali del paese. Tuttavia, secondo i più, il nome sarebbe dovuto a un’antica leggenda, che affonda le radici in lontane tradizioni popolari ancora narrate, nelle sere magiche d’oriente, dagli anziani del luogo. Pare che la tomba di Eva, nonna dell’umanità intera, si trovi proprio a Jeddah: ecco giustificata l’etimologia derivante da “jadda”, parola araba che significa “nonna”. La leggenda ha preso piede a un punto tale che le autorità religiose, nel 1975, si sono viste costrette a sigillare con il calcestruzzo l’ipotetica tomba, per proteggerla dai fedeli wahabiti che si ritrovavano in grandi folle a pregare presso di essa.



giovedì 23 ottobre 2014

25 ottobre 2014 : capodanno islamico



Benvenuto anno 1436!
Il 25 ottobre ha inizio il mese di Muhàrram, primo mese dell’anno per il calendario islamico. È uno dei quattro mesi sacri dell’anno. Il suo nome è connesso con la parola ḥaram che significa “proibito, tabù” e difatti in questo mese era considerato tabù fare la guerra, e si rinunciava a combattere per rispetto dell’Islam. Dal momento che il calendario islamico è rigidamente lunare, il mese di Muhàrram non ha una posizione fissa rispetto al calendario gregoriano. 
Il capodanno islamico celebrato dai musulmani è una festa tranquilla e sobria, durante la quale la gente si riunisce nelle moschee e celebra delle preghiere speciali affinché il nuovo anno cominci nella gioia e nella pace. Questo è il giorno in cui si commemora l'Egira, cioè la fuga di Maometto dalla Mecca, da cui il mondo musulmano comincia a contare gli anni. Nonostante non sia una festa ricca e “di gala”, come siamo abituati a pensare noi, la tendenza più recente che si sta sviluppando in questa parte del mondo include lo scambio di biglietti di Capodanno e di regali, tuttavia, il modo di affrontare il capodanno musulmano cambia a seconda del tipo di religione in cui si crede. Ad esempio, i musulmani sciiti non prendono parte alle festività del Capodanno, ma preferiscono commemorare la battaglia di Karbala e osservare un mese di lutto. In ricordo di Muhàrram, gli sciiti celebrano e rievocano delle scene della battaglia di Karbala, nelle proprie moschee. Addirittura ci sono molti uomini che si battono il petto o camminano a piedi nudi sui carboni per ricordare le sofferenze passate. La commemorazione si conclude con il decimo giorno di Muhàrram, chiamato Ashurah. Neanche i musulmani sunniti partecipano alle tradizioni di Capodanno, dato che in questo primo giorno dell'anno, Abu Bakr, primo califfo islamico, morì. 


venerdì 3 ottobre 2014

Eid al- Adha è il 4 ottobre 2014



Eid al - Adha, in India, si chiama Bakr Id, a causa del sacrificio tradizionale di una capra che in urdu si dice bakri. Questa festa religiosa musulmana è conosciuta con nomi diversi a seconda del paese dove si celebra e così abbiamo Eid ul Zuha, Greater Eid, Qurbani Eid, Eid al- Kabir ( Festa Grande) e altri ancora…
La parola Eid in arabo vuol dire festa mentre Qurbani e Zuha significano entrambi sacrificio. Eid al- Adha o Bakr Id si celebra alla fine dell’Hajj ( pellegrinaggio annuale alla Mecca) e  70 giorni dopo l’Eid al Fitr ( festa che segna la fine del Ramadan). 
Viene festeggiato sia dai sunniti che dagli sciiti.

sabato 20 settembre 2014

Il matrimonio in Medio Oriente


Il matrimonio tradizionale, in Medio Oriente, e' una festa vissuta dall'intera comunità. A differenza di quanto accade in Occidente, infatti, ai festeggiamenti partecipano non soltanto i parenti e gli amici, ma tutti i conoscenti, i vicini di casa e frotte di bambini alla perenne ricerca di feste cui partecipare. I festeggiamenti di matrimonio durano, di norma, tre giorni. Durante I primi due, gli sposi partecipano a feste separate, ciascuna organizzata in casa dei propri genitori. Le donne ballano e cantano canzoni folkloristiche al ritmo del tamburo tradizionale, gli uomini s'intrattengono conversando e bevendo tè o caffè. Nel pomeriggio del secondo giorno di festa, lo sposo, accompagnato dagli amici e dai parenti, che, per strada danno vita allo zaffe, corteo augurale con canti tipici, va ad incontrare la futura moglie, cui porterà in dono oggetti d'oro (bracciali, collane, anelli, orecchini) che lui stesso aiuterà ad indossare. La sposa, vestita con un abito colorato di rosa, azzurro o dorato, l'attenderà, circondata dalle sorelle e dalle amiche. In tale occasione vengono offerte dolci e bibite, oltre all'immancabile tè. Quella sera stessa, in casa della sposa, si svolge il rito dell' henna. Vi partecipano tutte le donne della famiglia e le amiche della sposa, che la aiuteranno ad abbellirsi e prepararsi per il giorno dopo, quando avverrà il matrimonio vero e proprio e la ragazza lascerà la casa paterna per unirsi al marito. La sposa viene aiutata a lavarsi, e le vengono spalmate addosso oli e crème profumate. In ultimo viene preparata la pasta di henna, colorante naturale, con la quale la sposa si tingerà i capelli e con la quale le donne si tingeranno, reciprocamente, il palmo delle mani con disegni augurali. Il giorno seguente, di solito il venerdì - giorno festivo nei paesi islamici - e' la giornata finale dei festeggiamenti. In casa dei genitori dello sposo si prepara il pranzo di nozze, cui vengono invitati a partecipare tutti, anche i semplici passanti. Vassoi colmi di cibo vengono inviati ai poveri dei dintorni ed ai vicini che non sono intervenuti al pranzo di nozze; solitamente vengono preparati piatti a base di agnello. Dopo il pranzo, lo sposo, accompagnato dai familiari e dagli amici (che per l'occasione addobbano macchine e speciali pullman dove prendono posto gli ospiti - e dove, immancabilmente, la festa prosegue al ritmo delle canzoni popolari), si reca a casa della sposa, vestita questa volta col tradizionale abito bianco e con indosso i gioielli dono di nozze, e, insieme a tutti gli ospiti, termineranno la serata nella sala dell'ultimo festeggiamento, dove si canterà e danzerà fino a notte inoltrata. I festeggiamenti per il matrimonio sono molto importanti, in Medio Oriente, e coinvolgono tutta la comunità, secondo il detto del Profeta : "Partecipate alle feste di matrimonio e onoratele in maniera conveniente. La differenza tra un'unione lecita e una illecita risiede nei festeggiamenti”. Dal punto di vista legale, il matrimonio e' un contratto civile che viene firmato dai due sposi, consenzienti e liberi, alla presenza di un talib, uomo pio che ricorda agli sposi gli impegni ed il profondo significato religioso del matrimonio e della formazione di una nuova famiglia, nucleo basilare della società. Presenti alla firma devono essere due testimoni, I quali giurano davanti a Dio che l'assenso dei due sposi al matrimonio e' spontaneo, pena l'annullamento dello stesso. Al termine del rito civile, e prima dei festeggiamenti, lo sposo e' tenuto a corrispondere alla sposa il mahr, dono di nozze o dote, liberamente scelto dalla donna e di sua esclusiva proprietà.

mercoledì 3 settembre 2014

Una danza chiamata dabka


La dabka (in arabo: دبكة) è una danza folkloristica popolare prevalentemente maschile diffusa nei paesi del Medio Oriente, soprattutto in Libano, Siria, Palestina e Iraq. Il nome deriva dal verbo arabo yadbuk che significa battere i piedi per terra; i danzatori infatti battono i piedi per terra con marce e ritmi che cambiano al variare del ritmo della musica. La danza rappresenta l'amore per la propria terra e soprattutto l'unione tra le persone; esprime sentimenti di gioia e viene praticata in occasioni felici, come matrimoni, ma anche nascite e giornate di raccolta.
Si danza sempre in gruppo e i danzatori disposti in cerchio o semicerchio, procedono in fila indiana, ognuno con la mano destra nella mano del danzatore precedente e la sinistra tenuta di solito dietro la schiena del danzatore seguente.  Il primo della fila (di solito il più esperto nella danza) è il conduttore del ballo e tutti gli altri lo seguono al ritmo della musica, sempre accompagnata da strumenti a percussione classici arabi, come la darbouka. La danza non ha regole precise: l'improvvisazione è molto praticata, ma quando si gira in tondo bisogna sempre ruotare in senso antiorario. La dabka non è soltanto accompagnata dalla musica, ma anche da canzoni e le danze sono spesso precedute da particolari poesie, le mawwal, caratterizzate da rime e parole con doppio o triplo senso. Tra i palestinesi si ballano  soprattutto due tipi di dabke, il shamaliyya e il sha’rawiyya, mentre il niswaniyyah è ballato soprattutto dalle donne. 
Ci sono sei tipi principali di dabke:
-Al-Shamaliyya (الشمالية): è probabilmente il più famoso tipo di dabka. Si compone di un lawweeh (لويح) a capo di un gruppo di uomini che si tengono per mano e ballano formando un semicerchio. Il lawweeh deve essere particolarmente abile nella precisione e nella improvvisazione. In genere, la dabka inizia con un un assolo per poi continuare con due cantanti che accompagnano la musica. Questa è la forma più popolare di dabka ballata per feste in famiglia come matrimoni, circoncisioni, il ritorno di viaggiatori, il rilascio dei prigionieri, e anche per le festività nazionali.     
-Al-Sha’rawiyya (الشعراوية): è ballata esclusivamente da uomini ed è caratterizzata da ritmi forti. Il lawweeh è l'elemento più importante in questo tipo di dabka.
-Al-Karaadiyya (الكرادية): è caratterizzata dalla mancanza del lawweeh e da un movimento lento con un azif (عازف) (flautista) al centro del cerchio.
-Al-Farah (الفره): è uno dei tipi di ballo più attivi e richiede un alto livello di forma fisica.
-Al-Ghazal (الغزل): è caratterizzata da tre forti calpestii del piede destro ed è di solito faticoso per chi danza.
-Al-Sahja (السحجة): è una danza popolare palestinese e giordana che si balla soprattutto nel nord e centro Israele e nei Territori palestinesi. Nel sud invece si hanno altri due tipi di dabka: As-Samir (السامر) e Al-Dahiyya (الدحية). As-Samir coinvolge 2 file di uomini che si fronteggiano, in competizione con la poesia popolare, a volte le rime sono improvvisate e si scambiano anche insulti, gareggiando in bravura. 
Al-Dahiyya è una versione beduina dello stesso tipo, in cui vi è un ballerino professionista che danza tra due pareti opposte di uomini che sono in competizione per attirare  la sua attenzione. Al-Sahja di solito si balla la sera prima della festa di nozze dello sposo (zafat al-'arees), con la partecipazione della maggior parte degli uomini del villaggio.
La Oxford Encyclopedia Internazionale di Danza menziona anche altri due tipi di dabka: 

Il Murdah originariamente eseguita dalle donne nel Golfo, mentre gli uomini della comunità erano in mare per la pesca. Qui vi sono due linee di ballerini che si muovono l'uno verso l'altro con piccoli passi per poi ritirarsi. La musica è accompagnata da distici in rima che sono, in gran parte, lamenti per i propri cari assenti.
Il Ahwash (fr. ahouache) eseguita dalle tribù berbere marocchine dell’Alto Atlante. I ballerini formano un cerchio o un’ellisse  comprendenti una o più linee curve di uomini e una o più linee curve di donne, intorno a batteristi maschi. Una linea recita una poesia e l'altra linea risponde con un altro poema; poi tutti si muovono al ritmo dei tamburi. Una danza simile in Marocco è il Dukkala. Un uomo e una donna uno di fronte all'altro gareggiano per vedere chi riesce a ballare più a lungo.

video: https://www.youtube.com/watch?v=46Hiz0j-XB0

venerdì 8 agosto 2014

La mezzaluna islamica


bandiera turca

La luna con una stella è il simbolo internazionalmente riconosciuto per la fede islamica ed è presente su alcune bandiere di stati musulmani come Azerbaigian, Turchia, Maldive, Pakistan, Turkmenistan, Uzbekistan, Algeria, Mauritania e Tunisia.  Il simbolo che ha un'origine molto antecedente alla nascita dell'Islam, risale al IV secolo a.C., quando Filippo II di Macedonia, nell'anno 340 o 341 a.C. mise sotto assedio la città di Bisanzio. Favorite da una notte particolarmente scura, le truppe macedoni si avvicinarono silenziosamente alle mura della città, con l'intenzione di scalarle e cogliere il nemico di sorpresa. Mentre attuavano il piano, un vento improvviso disperse le nuvole e la luce diffusa dalla luna crescente bastò alle sentinelle per rendersi conto dell'attacco e dare l'allarme.La reazione immediata e vigorosa dei difensori e l'ormai troppa vicinanza alle mura degli assalitori causò forti perdite nelle file dei Macedoni che furono costretti a desistere e togliere l'assedio. Il simbolo della luna crescente fu quindi scolpito in moltissimi manufatti in pietra della città, quale ringraziamento alla divinità. I Turchi Ottomani che diciotto secoli più tardi conquistarono Bisanzio, dopo l'assedio del 1453, videro questo simbolo impresso in ogni parte della città e lo adottarono, supponendolo dotato di grande potenza magica. Fu con l'Impero Ottomano che la Mezzaluna divenne uno dei simboli della cultura islamica ma essendo un’antica icona pagana, molti stati, ancora oggi, si rifiutano di riconoscerlo come emblema della fede islamica. Non a caso la mezzaluna non compare nella bandiera dell'Arabia Saudita, stato islamico per antonomasia e nemmeno in quella dell'Iran, stato teocratico ispirato all'islamismo sciita. Bisogna comunque sottolineare che le prime  comunità musulmane non avevano simboli definiti. Al tempo del Profeta Maometto, le armate islamiche utilizzavano bandiere colorate (solitamente nere, verdi o bianche) per identificarsi. La mezzaluna, intesa come la nuova luna crescente, sta ad indicare la luce che illumina le oscurità di ogni tipo come l'ignoranza e la miscredenza. La stella a cinque punte invece é stata introdotta nelle bandiere dopo l'impero ottomano, perché il nome del Profeta Muhammad scritto in arabo appare proprio come una stella a cinque punte inoltre  si dice anche che le cinque punte rappresentino i Cinque pilastri dell’Islam. Vi sono comunque diverse leggende che narrano l’origine della mezzaluna come simbolo religioso per i musulmani: si racconta infatti che la notte in cui Istanbul fu conquistata dal sultano Muhammad nel 1453, una luminosa stella apparve fra le punte della falce di luna. Per questo si scelse la mezzaluna con la stella come simbolo della conquista turca e come tale fu aggiunta alla bandiera nazionale. Un'altra leggenda narra che il sultano ottomano Murad I, dopo aver battuto le armate cristiane nei Balcani nel 1389, camminando nel campo di battaglia rimase impressionato da una tavola gettata al suolo e completamente ricoperta di sangue. Su di essa si rifletteva la falce di luna e Murad decise che quel quadro, una luna crescente in un campo rosso, diventasse la bandiera turca.Un'altra spiegazione, stavolta "scientifica" vuole che la falce e la stella rappresentino la congiunzione fra Luna e Venere che si verificò all'alba del 23 luglio 610. Alcuni ritengono che sia esattamente la notte in cui il Profeta Maometto ricevette la sua iniziale rivelazione da Dio.

martedì 22 luglio 2014

Esplorando le antiche tradizioni della Palestina

Ciò che i nostri nonni ci hanno raccontato di come era la loro vita in Palestina prima dello sradicamento


Le condoglianze 

Quando una persona moriva, la vita nei villaggi si fermava. Uomini e donne ricevevano le condoglianze in stanze diverse della casa. Agli uomini si serviva caffe' nero, mentre le donne si lamentavano ed intonavano canti tradizionali in memoria del defunto. Durante il periodo del lutto stretto, che durava normalmente tre giorni, il cibo veniva offerto dai parenti, gli amici ed i vicini di casa della persona deceduta, ma tutti gli abitanti del villaggio erano tenuti a partecipare al lutto, portando in dono ai familiari del morto riso e caffe'. Questi ultimi di solito indossavano abiti bianchi, il colore tradizionale del lutto e, per tutta la durata del periodo, evitavano di cucinare cibi "delle feste", come torte, biscotti e il kobbe, un piatto augurale a base di carne e grano.

Il fidanzamento 

Nei tempi passati, il fidanzamento veniva di solito "combinato" dalle famiglie, anche se era comunque necessario il consenso dei due giovani coinvolti. Le iniziali richieste di fidanzamento avvenivano, di norma, tra le donne delle famiglie. Solo se le donne trovavano un'intesa, entravano in campo gli uomini. Di solito il padre e gli zii del ragazzo chiedevano ufficialmente la mano della giovane ambita e, se la richiesta era accettata, si concordava l'ammontare della dote (dono nuziale in oro che lo sposo era tenuto a versare alla sposa) e, dinanzi ad almeno due testimoni, la lettura del primo capitolo del Corano sanciva l'avvenuto fidanzamento.

Il matrimonio

Nei matrimoni, la sposa e le donne della sua famiglia indossavano i thobe, bellissimi abiti tradizionali ricamati a mano secondo l'antica arte del punto a croce palestinese. L'abito della sposa veniva immerso in acqua profumata, le sue mani ed i suoi piedi decorati con henna. Le celebrazioni del matrimonio duravano di norma un'intera settimana, durante la quale tutti, conoscenti, amici, concittadini e parenti, partecipavano alle feste in onore degli sposi. Amici e vicini di casa offrivano in dono sacchi di riso, agnello e caffe', mentre i parenti donavano oro, denaro e pezzi di mobilio alla nuova coppia. Le canzoni matrimoniali, tradizionalmente, contenevano una nota di tristezza, come quella cantata dalle giovani spose che lasciavano le proprie madri per una nuova casa:
"Mamma mamma, conserva il mio cuscino per quando tornerò
 Mamma, mamma, non piangerò baciando i miei fratelli e le mie sorelle
 Mamma, mamma, conserva il mio fazzoletto per me
 Per quando andrò a salutare tutti i miei amici".
La notte delle nozze, lo sposo e la sposa, a cavallo, facevano un giro augurale per il villaggio, fino a raggiungere la piazza principale, dove i ragazzi cominciavano a ballare il debki (o dabka). I giovani formavano due file opposte, mentre le ragazze danzavano al centro delle file. Era d'obbligo che la madre e le sorelle dello sposo danzassero il debke.
Infine, veniva preparato uno speciale piatto per gli sposi: agnello ripieno di riso e noci, di solito offerto dalle nonne o, comunque, dai membri anziani della famiglia. La mattina successiva, la colazione per gli sposi veniva preparata dalle madri e consumata insieme ai quattro genitori.

Fonte: http://www.arabcomint.com/

venerdì 27 giugno 2014

Ramadan nel mondo: Egitto


Un proverbio egiziano dice: 'Se non avete visto il Ramadan celebrato in Egitto, allora non avete visto le celebrazioni!’  e questo per sottolineare quanto siano speciali le tradizioni che accompagnano il mese sacro in questo paese.
Pochi giorni prima l'inizio del Ramadan, e fino alla fine del mese, le strade si riempiono di persone indaffarate per i preparativi. Dolci, biscotti e torte, come konafah, basbousah, e katayef si preparano ovunque. Il qamar eldin (succo di albicocca) lo si trova su ogni tavola assieme al medamis (fave), allo zabadi (yogurt) e ai deliziosi e colorati vasetti di torshi baladi (sottaceti fatti in casa). In alcune parti del paese, soprattutto nelle grandi città come Il Cairo, la solidarietà sociale è espressa sotto forma di "banchetti di carità". Ricchi uomini d'affari pagano il loro zakat (elemosina annuale) acquistando cibo per i poveri che non possono permettersi i mezzi per rompere il digiuno. Quasi in ogni angolo di strada si trovano tavoli e sedie, dove viene distribuito il cibo gratuito per chi è nel bisogno. 
Prima dell'alba, per tutto il mese, il Musaharti (Al-Mesarahaty) inizia il suo lavoro. Il Musaharati è colui che sveglia la gente per avvertirla che è l’ora del Sahour (pasto pre-alba). Camminando per le strade batte su un piccolo tamburo, a volte cantando e gridando. In alcuni piccoli villaggi egli può anche stare di fronte a ogni casa e chiamare ogni abitante con il loro nome, per svegliarli. Una delle sue canzoni tradizionali è "Suhur, suhur / Es ha ya Nayem / Wahed el Dayem / Ramadan Kareem / Es ha ya Nayem, wahed el Razzaq", "Svegliatevi voi che dormite, pregate per l'eternità, felice Ramadan , Dio è Colui che vi manda il vostro sostentamento ". Il Mesarahaty non prende alcun compenso per questo lavoro notturno, ma è consuetudine alla fine del Ramadan dare del denaro o un regalo per i suoi sforzi. 
Lo sparo di un cannone , noto anche come 'Haja Fatemah', segna l'alba e il tramonto e segnala quindi il tempo per iniziare e terminare il digiuno. Si racconta che, quando il sultano mamelucco Al-Zaher Seif Al-Din Zenki Khashqodom ricevette in regalo un cannone da un conoscente tedesco, i suoi soldati lo testarono sparando un colpo al tramonto. Essendo nel mese di Ramadan  lo sparo coincise con il momento della rottura del digiuno e gli abitanti del Cairo pensarono che il Sultano li stesse avvertendo per l’ iftar. I dignitari di corte, rendendosi conto che una tale usanza avrebbe potuto aumentare la popolarità del Sultano, gli suggerirono  di continuare la pratica.
Si racconta anche che fu la moglie del sultano, Haja Fatemah, a ricevere i tedeschi venuti a consegnare il dono,  dato che il Sultano non era in casa, ed è  per questo che il cannone porta il suo nome.
Per tutto il mese, ogni moschea, edificio, strada e vicolo si illuminano decorati con le fanous (lanterne). Dopo 30 giorni di digiuno, i musulmani egiziani festeggiano l’ Eid al-Fitr in grande stile. E’ ancora un colpo di cannone sparato al crepuscolo a dare il via a tre giorni di festa in cui le persone indossano vestiti nuovi, visitano parenti e amici e si preparano grandi feste. Gite sul fiume Nilo con le feluca(barche a vela)  sono una caratteristica speciale di queste celebrazioni nei pressi del Cairo.

                                               
 

venerdì 6 giugno 2014

Egitto: l'oasi di Siwa.



Conosciuta anche come la "città da un milione di palme", la grande oasi di Siwa si trova nel deserto egiziano nord-occidentale, nella profonda depressione di Qattarah, vicino al confine con la Libia ed è una delle ultime oasi al mondo rimaste incontaminate. Migliaia di anni di isolamento in un vasto e spietato deserto hanno permesso alla comunità Siwa di sviluppare tradizioni uniche culturali, tecniche costruttive, stili di ricamo e di sistemi di produzione agricola che sono notevoli per la loro bellezza e armonia con l'ambiente naturale. Gli abitanti di questa oasi parlano il dialetto berbero e possiedono una cultura diversa da quella del resto del Paese. In questa città è impossibile avvicinarsi ad una donna. Siwa infatti è rinomata come una delle città più tradizionaliste dell’Egitto. La vita delle donne qui è regolata da tradizioni molto rigide che gestiscono ogni aspetto della loro vita, dall’abbigliamento, diverso a secondo del proprio stato civile, alla possibilità di avere qualsiasi tipo di contatto con uomini esterni alla propria famiglia, o tribù,  alla possibilità di muoversi autonomamente fuori casa. Un piccolo Museo, detto Casa di Siwa, contiene una modesta esposizione di indumenti e utensili tradizionali.


giovedì 15 maggio 2014

La leggenda della rosa del deserto



Questo spettacolare cristallo, che ad osservarlo bene sembrerebbe proprio un fiore nato nella sabbia,  si genera esclusivamente nel deserto del Sahara. Si tratta di un aggregato di cristalli di gesso la cui origine si ha solo in condizioni ambientali e climatiche ben precise. E’ necessario che sotto la coltre di sabbia, ad una profondità che può variare da alcune decine di centimetri, fino a poco più di un metro, vi sia una vena di gesso umido. Il sole cocente scalda la superficie sabbiosa ed il calore per contatto penetra sino alla vena di gesso umido provocandone l’evaporazione. E' durante questo processo che si può innescare nella risalita il fenomeno della cristallizzazione che produce la tipica rosa di sabbia. Le più grandi si trovano sotto la sabbia a volte in profondità maggiore del momento di formazione per il riporto della sabbia spostata dal vento. Accade che, sempre per azione del vento, può essere portata in superficie e se non viene raccolta, nel tempo la pioggia riscioglierà il gesso facendolo tornare allo stato originale. In tempi passati, leggende locali hanno portato a credere che la formazione di questi splendidi cristalli fosse dovuta alla concrezione dell'urina dei dromedari a contatto con la sabbia rossa, ma esiste anche un’altra leggenda che racconta di un cavaliere follemente innamorato di una splendida principessa. Il suo amore era così forte e disperato da non riuscire a sopportare di non poter stare insieme a lei; così il suo cuore scoppiò e quando le gocce di sangue toccarono la sabbia si trasformarono in rose del deserto. Ancora oggi il fantasma del cavaliere ritorna ad ogni plenilunio e vaga sanguinante, disseminando nel deserto le rose.

sabato 26 aprile 2014

Mondo cinema: Moolaadé

Nazionalità: Senegal
Anno 2004
Lingua originale bambara, francese
Regia: Ousmane Sembène
Sceneggiatura: Ousmane Sembène
Fotografia: Dominique Gentil
Musiche: Boncana Naiga
Cast: Fatoumata Coulibaly, Maimouna Hélène Diarra, Salimata Traoré, Dominique Zeïda, Mah Compaoré, Aminata Dao, Stéphanie Nikiema, Mamissa Sanogo



Moolaadé è un film scritto e diretto dal regista senegalese Ousmane Sembène.  
Nel film si affronta, denunciandolo, il tema dell’escissione (salindé), una particolare forma di infibulazione o mutilazione degli organi genitali femminili, pratica ancora comune in molti paesi africani, soprattutto dell'area sub-sahariana.
Moolaadé" è un’antica parola che indica la protezione accordata a qualcuno in fuga, una convenzione non scritta ma con regole ben precise, riconosciuta da tutti gli indigeni e chi la trasgredisce è portatore di funesti presagi. 
A Djerisso, villaggio del Burkina Faso, sono i giorni del Salindé. Spaventate, quattro ragazzine fuggono, cercando rifugio da Collé Ardo, poiché gira voce che la donna si sia rifiutata di sottoporre la figlia al “rituale di purificazione” salvandole prima di tutto la dignità e forse anche la vita dato che, per ovvi motivi anche igienici, molte bambine muoiono dopo questa pratica, ma rendendola bilakoro, cioè una ragazza che non essendo stata sottoposta al rito del salindè non può essere sposata. Collè Ardo accetta la richiesta delle quattro bimbe e da inizio al moolaadè: pone dei nastri colorati all’ingresso del cortile di casa, limite invalicabile dall’interno per le quattro protette e, ovviamente dall’esterno, per le sacerdotesse munite di coltellino sporco che vogliono continuare la millenaria tradizione del salindè. Il moolaadè è un diritto sacro che nessuno può infrangere, pena l’ira del kalifa, lo spirito protettore del moolaadè. Gli uomini del villaggio sono indignati dall’intraprendenza di Collè Ardo, e dall’influenza che suscita sulle altre donne, da sempre combattute tra la tradizione da una parte e l’obiettività della situazione dall’altra. Tra le prime cause che gli uomini attribuiscono a questa “rivoluzione” vi sono le radioline a batterie che rappresentano un po’ quella millenaria convinzione che chi è istruito (in questo caso informato) è difficile da tenere a bada. Soluzione: radioline al bando. 
Tutto il lavoro si impernia sullo scontro tra i due valori, il rispetto del diritto d’asilo e l’antica tradizione del salindé. Quest’ultimo accettato perché ritenuto l’unico in grado di elevare la giovane ragazza al rango di sposa, porla all’apice dell’onorabilità. Ma è una pratica il cui risultato è un calvario senza fine, una pratica erroneamente ritenuta una regola dell’Islam, anche se nel Corano è vietata. Moolaadé è un interessante e ordinata raccolta di tutti quei valori profondamente radicati nel mondo Africano, destinati ogni giorno con maggior forza ad un confronto - e ad un contrasto - con il mondo che ha ormai preso un'altra direzione. Le donne protagoniste di questa pellicole sono combattenti, guerriere coraggiose che dopo migliaia di anni e tradizioni si risvegliano, come intorpidite, e aprono gli occhi verso un mondo di diritti e opportunità, affrontando non solo il ripudio del salindé, ma anche il complesso rapporto che da sempre pone l'uomo al di sopra della donna.
Ousmane Sembene, regista senegalese, infaticabile nonostante i suoi 82 anni, affida a tre personaggi la rappresentazione del nuovo che incombe: l’emigrante, portatore di ricchezza; la madre, che attraverso la radio scopre un diverso modo di vivere e interpretare la tradizione; il mercenario, un ambulante fuggito dall’assurdità delle missioni di pace, simbolo di quella modernità ambita e temuta. Un film da vedere e da diffondere in questa nostra epoca sempre più globalizzata e interculturale. 
Il film ha vinto la sezione "Un Certain Regard" al festival di Cannes 2005.



martedì 8 aprile 2014

Marocco: la valle del Draa

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Situata nel profondo sud del Marocco, la valle del Draa si estende dalla città di Ouarzazate al deserto del Sahara. Qui vi abbondano oleandri, acacie, palme da dattero e grazie a un ottimo sistema di canalizzazione dell’acqua, gli abitanti della zona sono riusciti a coltivare anche ortaggi, cereali, erba medica ed henné. 
Numerosi sono i centri fortificati, eretti dalle popolazioni locali contro le incursioni dei nomadi del deserto. Queste costruzioni, chiamate kasbah o ksour, sono circa una cinquantina e si trovano specialmente nel tratto tra Ouarzazate e Zagora.
Lo uadi Draa è il fiume più lungo del Marocco. Nasce dall'Alto  Atlante ed è formato dalla confluenza dei fiumi Dadès e Imini. Viaggiando per centinaia di chilometri raggiunge l’Atlantico, ma in gran parte dell'anno rimane completamente secco, tuttavia, in caso di precipitazioni abbondanti, può esondare facilmente.
La bellezza della valle del Draa, non è la sua unica ricchezza geografica; la valle ha migliaia di anni di storia, testimoniate dalle antiche pitture rupestri e incisioni rinvenuti nella zona. E’ qui, che gli archeologi hanno ritrovato la statuetta della Venere di Tan-Tan, una delle più antiche sculture preistoriche mai scoperte. Inoltre, la valle era una volta, un importante punto di transito delle trans-sahariane nonché un importante centro commerciale per le civiltà ebraiche, arabe, berbere e cristiane.
Nei secoli 17esimo e 18esimo, la valle del Draa fu oggetto di numerose battaglie tra le diverse tribù nomadi che l’abitavano. Le kasbah con le loro alte mura servivano come rifugio dal nemico quando una città era sotto assedio ed erano anche la residenza del leader della tribù e della sua famiglia. Queste fortezze-città comprendevano moschee, bagni pubblici, negozi e giardini. Erano costruite con fango e paglia raccolti dalle rive del fiume ed erano progettate per resistere sia al forte calore che al freddo. Molte kasbah sono abitate ancora oggi. Nonostante la sua ricca storia, la cultura e la fama, i berberi della valle del Draa vivono ancora in modi molto simili a quelli dei loro antenati. Essi cavalcano asini, lavano i panni nel fiume ed usano argilla per costruire le loro case. Lì ci si sente  trasportati in un tempo antico e sicuramente risulta difficile credere che la città cosmopolita di Marrakech sia solo poche ore di distanza.
A causa della sua posizione, la bellezza e la storia, la Valle del Draa sta diventando una delle principali attrazioni turistiche in Marocco.

venerdì 7 marzo 2014

Donne nel mondo arabo. La classifica di Reuters Foundation. ( prima parte)


Un sondaggio realizzato dalla Thomson Reuters Foundation e rivolto a 336 esperti nel settore, ha messo in evidenza la condizione della donna nei paesi arabi. Le domande del sondaggio basate sulla Cedaw, Committee on the Elimination of Discrimination, hanno permesso di  valutare la condizione femminile in base ad una serie di parametri quali il diritto alla maternità, il trattamento all’interno della famiglia, l’integrazione nella società, la possibilità di inserirsi nell’economia e nella politica del proprio paese e la presenza di comportamenti violenti diffusi. In base a tutto questo è stata stilata una classifica che vede al :
22° posto: Egitto
L’Egitto si è piazzato ultimo in tutte le categorie: molestie sessuali subite dal 99% delle donne e delle bambine. Estrema diffusione di matrimoni forzati, soprattutto nei villaggi dove la donna diventa merce di scambio e viene letteralmente venduta e data in sposa al migliore offerente. Altra questione che fa precipitare l’Egitto in coda alla classifica è la pratica delle mutilazioni genitali che continuano ad essere la prassi per il 91% delle bambine, secondo i dati raccolti dall’Unicef.
21° posto: Iraq
In Iraq la condizione delle donne risulta peggiorata dal 2003, anno di inizio dell’intervento americano. Sempre più sono le donne che vivono in condizioni di vulnerabilità, e che rischiano di subire abusi sessuali o di diventare oggetto di tratta. Soprattutto nei villaggi, la libertà personale è ancora fortemente limitata: il 72,4% delle donne è costretta a chiedere il permesso al marito anche per ricevere cure e assistenza sanitaria. 
20° posto: Arabia Saudita
Al ventesimo posto la condizione femminile dell’Arabia Saudita, da dove un mese fa si è levata ancora una volta la protesta di alcune donne contro il divieto di guida, supportata anche da artisti come Hisham Fageeh, che ha realizzato un video rivisitando il testo di “No woman no cry” di Bob Marley.
Le donne sono sottoposte a un regime di tutela da parte del parente uomo più prossimo (marito, padre o fratello) e non possono disporre liberamente neppure dei propri documenti di identità. Serve il permesso del “garante” per viaggiare, sposarsi, frequentare le scuole e ricevere assistenza sanitaria. Nel 2015 le donne dovrebbero andare a votare per la prima volta. Nei casi di stupro la vittima rischia di essere accusata di adulterio e deve comunque produrre quattro testimoni uomini per poter denunciare la violenza.
19° posto: Siria
Con la guerra civile le donne sono diventate vittime del conflitto e non di rado si sono registrati casi in cui le violenze sono state impiegate deliberatamente per scoraggiare le proteste e fiaccare la resistenza. Se l’età minima per il matrimonio è 17 anni, nei campi profughi sono stati riscontrati casi di nozze anche con bambine di 12 anni.
18° posto: Yemen
Uno dei traffici più redditizi nel paese è quello dei matrimoni con minorenni, spesso con turisti stranieri. Non esiste un’età minima per le nozze e si stima che almeno un quarto delle adolescenti si sposi prima dei quindici anni. Sul fronte dell’istruzione, solo il 53% delle ragazze completa le scuole primarie, contro il 73% dei ragazzi.
17° posto: Sudan
L’età minima per il matrimonio è di soli dieci anni. Nel codice penale esiste ancora un articolo, il 152, che ammette l’arresto e la flagellazione per il modo di vestire. Sul fronte della partecipazione politica però il Sudan ha fatto notevoli progressi  dal 2008, il 25% dei seggi dell’Assemblea Nazionale sono stati riservati alle donne.
16° posto: Libano
Il codice penale, nell’articolo 522, consente agli stupratori di evitare il processo se si impegnano a sposare la vittima. Le donne non possono trasferire la cittadinanza ai propri figli se avuti da partner straniero. L’aborto resta ancora oggi un reato punibile con 7 anni di carcere. Anche se il paese ha sottoscritto la Cedaw, non ha mai dato parere positivo rispetto agli articoli su cittadinanza e uguaglianza fra uomo e donna nel matrimonio e nella vita familiare.
14° posto: Somalia
In Somalia il ruolo politico delle donne è riconosciuto in Parlamento. Il 39% delle somale ha un impiego, fatta eccezione per le aree controllate dal gruppo islamista al Shabaab, dove vige il divieto di avere un impiego fuori dalle mura domestiche. La violenza contro le donne è ancora molto diffusa.


Fine prima parte

8 marzo festa della donna. Auguri!



giovedì 6 marzo 2014

Donne nel mondo arabo. La classifica di Reuters Foundation. ( seconda parte)

moroccan women

13° posto: Djibouti
Sono 7 le donne che siedono in Assemblea Nazionale, e che rappresentano l’11% dei membri.  La nota dolente di questo paese a metà classifica è l’altissima diffusione ancora oggi delle pratiche di mutilazione genitale.
12° posto: Barhain
Le donne hanno votato e acquisito il diritto di eleggibilità nel 2002. Sul fronte giudiziario la testimonianza di una donna ha lo stesso valore di quella di un uomo davanti alla Corte Islamica. Il 40% delle donne ha un impiego. L’età minima per il matrimonio è ancora di 15 anni, e il 30% delle donne sposate ha subito abusi dal coniuge.
11° posto: Mauritania
Il paese ha introdotto le quote rosa nelle liste elettorali. La maternità è riconosciuta nel mondo del lavoro con 98 giorni di permesso retribuiti e pure il controllo delle nascite, ma il 69% delle donne mauritane continua a subire in tenera età mutilazioni genitali.
10° posto: Emirati Arabi
Solo nel 2008 alle donne è stato concesso di intraprendere gli studi in legge. In un processo, la testimonianza della donna continua a valere la metà di quella di un uomo. Nei casi di violenza le vittime che denunciano devono raccogliere molti elementi di prova e rischiano comunque di essere accusate di adulterio. E’ vietato sposare uomini non musulmani.
9° posto: Libia
Nelle elezioni del 2012, 33 donne sono state elette in Consiglio Nazionale su 200 rappresentanti. Il paese ha un età minima di matrimonio piuttosto alta, 20 anni, la stessa per donne e uomini. Il 28% della forza lavoro totale del paese è composta da donne. 
8° posto: Marocco
Il Marocco è piuttosto avanti sul fronte del controllo delle nascite. Le violenze domestiche però continuano a verificarsi in numero elevato.Tra l’altro esiste un articolo del codice penale, il 496, che sancisce il reato di accoglienza di una donna che abbandona il tetto coniugale.
7° posto: Algeria
In Algeria le donne hanno il 31,6% dei seggi in Parlamento, e un’età media di matrimonio paragonabile a quella europea. Il 14 ottobre 2012 il paese ha firmato la prima convenzione contro le molestie sessuali.
6° posto: Tunisia
Nel 2002 la Tunisia ha finalmente concesso alle donne che sposano cittadini stranieri di trasferire la cittadinanza a marito e figli. Dal 2009 le donne non musulmane godono degli stessi diritti del coniuge. Per quanto riguarda la maternità, si ha diritto a 30 giorni di assenza dal lavoro. L’aborto è concesso entro i primi tre mesi di gravidanza.
5° posto: Qatar
Il Qatar ha salutato la prima giudice tre anni fa, mentre in politica solo un posto su 29 nel Consiglio Centrale è occupato da una donna. L’età media di nozze è di 25,4 anni. Per guidare le donne hanno ancora bisogno del permesso del marito, ma il 51% della forza lavoro totale è al femminile.
4° posto: Giordania
Dal 2003 le donne possono richiedere il passaporto senza il permesso del marito o del parente (uomo) più prossimo, anche se la società giordana resta estremamente patriarcale.
3° posto: Kuwait
Nel 2005 le donne hanno ottenuto il diritto di voto attivo e passivo, e oggi occupano almeno la metà dei 240 mila posti ministeriali. Sulla violenza e le molestie sessuali però non esiste ancora una legge specifica, e lo stupro fra le mura domestiche non è riconosciuto né punibile.
2° posto: Oman
Il 29% delle donne adulte ha un lavoro. Il divorzio è ammesso ma se la richiesta arriva dall’uomo non servono motivazioni che la giustifichino, mentre per la donna è necessario passare attraverso un procedimento legale di otto fasi prima che la sua richiesta venga accolta.
1° posto: Repubblica Federale Islamica delle Comore
Nell’arcipelago il divorzio non solo è ammesso, ma tutela le donne che mantengono la casa ed eventuali proprietà terriere. I reati sessuali sono riconosciuti e puniti. In politica ci sono due donne al vertice dei ministeri delle telecomunicazioni e del lavoro. 

Vai al rapporto completo: http://www.trust.org/spotlight/poll-womens-rights-in-the-arab-world/ 



lunedì 24 febbraio 2014

Arabia Saudita: la danza delle spade


In Arabia Saudita, la musica e le danze tradizionali, rievocano le melodie senza tempo e le cantilene dei poeti beduini, insieme ai versi epici dei suoi cantori. 
Pur variando da regione a regione, la musica folcloristica ha un denominatore comune rappresentato dalla danza delle spade, ballo eseguito da soli danzatori uomini. Meglio noto con il nome di "Ardha", lo spettacolo è originario del Najd e raccoglie, in un'unica rappresentazione di sapore antico, ballerini, musicisti e un poeta, che funge da voce narrante. I danzatori con le spade si affiancano spalla a spalla formando un cerchio intorno al poeta, che inizia a decantare versetti epici tradizionali, secondo un ritmo cadenzato dai suonatori di tamburo.  Le tre figure presenti nella coreografia, l’uomo guerriero, il poeta e l’arma bianca, sembrerebbero rievocare le antiche scorrerie che hanno devastato il paese, simboleggiando il temperamento allo stesso tempo combattivo e poetico dei beduini.

mercoledì 12 febbraio 2014

Il matrimonio in Marocco


In Marocco il matrimonio è regolato dallo Statuto personale che si chiama Mudawwana, che significa raccolta,  ed è stata pubblicata fra il 1957 e il 1959. Modifiche sono state introdotte sia nel 1993 che nel 2003. L'età matrimoniale per contrarre matrimonio è fissata a 15 anni per le donne e a 18 per gli uomini. Vige la separazione dei beni e la donna ha la capacità giuridica di disporre personalmente dei suoi beni. E' stato introdotto recentemente il divorzio consensuale e ,anche se a volte solo sulla Carta, il principio di non discriminazione fra uomo e donna. Vige il ripudio, diritto esclusivo maschile e con la riforma del 1993 è stata abolita la costrizione matrimoniale della donna da parte del padre o del tutore, ma resta un particolare diritto che spetta al tutore di costringere una donna a sposarsi se teme che la stessa possa tenere una condotta immorale, e ciò si presta a molti abusi. E' lecita la poligamia anche se la donna nel contratto di matrimonio può chiedere che sia inserita  la clausola che il marito si limiti ad una sola moglie, ed eventualmente riconoscerle il diritto di chiedere lo scioglimento del matrimonio qualora contravvenisse a detto impegno contrattuale.  la questione può essere anche rimessa ad un Giudice che può inoltre valutare il danno che potrebbe avere subito la prima moglie. Occorre il permesso del marito perché  la donna possa lavorare all'estero pena l'annullamento del matrimonio. Vi sono purtroppo molte applicazioni contraddittorie ed espedienti che consentono di violare la normativa più moderna e più favorevole alla donna.

sabato 25 gennaio 2014

Marocco: la medina

Medina di Fes

La città araba tradizionale, o medina, vista dall’alto assomiglia ad un labirinto, ad un mosaico di alveoli color ocra, beige, marrone scuro o rosa legati gli uni agli altri, dai quali emergono eleganti minareti e cupole rivestite di tegole verdi. La medina ha conservato la forma del XII secolo, ossia quello di un agglomerato chiuso in se stesso, al riparo dalle incursioni nemiche e dalle lotte dinastiche così frequenti in quel tempo ed è racchiusa entro spesse mura color sabbia interrotte da porte monumentali e scandita da massicce torri merlate. A Marrakech 200 torri quadrate punteggiano i 19 km della cerchia; a Meknes, nel ‘600, una tripla muraglia lunga 40 km, munita di cammino di ronda, piattaforme per i cannoni e 20 porte, circondava la medina e gli innumerevoli palazzi del sultano Moulay  Ismail. L’apparente disordine che si presenta come un garbuglio di stradine, vicoli ciechi, passaggi coperti e scalinate, cela in realtà un’organizzazione che risponde ad una logica. Strutturata intorno al centro religioso (la Grande Moschea, quella del venerdì, in cui tutti i credenti convergono per la preghiera comune) e ai suq, la medina tiene ben distinte vita privata e vita sociale. Nei pressi della Grande Moschea e del centro commerciale non ci sono abitazioni. E’ il luogo delle madrase, dei mausolei, degli hammam, dei fondouk ( eredi degli antichi caravanserragli, oggi ospitano laboratori artigianali). I quartieri residenziali formano nuclei a se stanti.
Gli assi stradali fondamentali collegano le porte della cinta lungo le direttrici nord- sud ed est- ovest, intersecando strette stradine che si ramificano a loro volta in vicoli, ciechi o non, di uso esclusivo degli abitanti. La medina è suddivisa in quartieri per gruppi sociali, confraternite e corporazioni. Vi regna il silenzio, in forte contrasto con l’attività animata e chiassosa dei suq. Ogni quartiere mantiene una propria autonomia e proprie strutture comunitarie: la moschea, il forno pubblico dove ogni famiglia si reca, al mattino presto, per portare a cuocere il pane, un hammam dove a uomini e donne è riservato un giorno della settimana, una drogheria fornita dei generi di prima necessità( olio, carbone, zucchero e spezie), una scuola coranica, una fontana a cui attingere l’acqua. 
Nelle abitazioni modeste, come nelle ricche dimore, l’intimità è preservata dietro facciate cieche ed austere, interrotte da pesanti portoni di legno ornati di chiodi forgiate e di mani di bronzo-unica concessione alla decorazione esterna- e ovviamente sbarrati. Rare finestre si celano dietro griglie di ferro a volute o a musharabiya. 
La casa marocchina è un universo chiuso, da cui non traspaiono lusso e confort. L’interno, invece, riflette lo spirito del padrone di casa: il numero di dependance, di logge, le dimensioni del riad e la profusione di arredi dipendono dalla ricchezza e dal rango sociale del proprietario. Modesta o agiata, la dar (“casa” in arabo) è l’abitazione più ricorrente nella medina. Si entra attraverso un piccolo corridoio sbieco che non rivela subito i segreti della casa: questa si articola attorno ad un patio, a un cortile squadrato a cielo aperto che lascia entrare l’aria fresca e su cui affacciano le stanze lunghe e strette. Il primo piano, quando esiste, è costituito da una galleria sovrastante il patio e da alcune stanze. Dal cortile, il riad, originariamente giardino chiuso d’ispirazione andalusa, prende nome per estensione la casa d’abitazione cittadina.

tratto da : "Marocco" di Marie - Pascal Rauzier