giovedì 30 dicembre 2010

Il narghilè o shisha


Sono tanti i nomi attribuiti alla pipa d’acqua: in Turchia è chiamata narghilè, in India hookah e in molti paesi orientali, shisha, mentre gli inglesi delle colonie la chiamavano hubble bubble,  per il gorgoglio prodotto quando è accesa.
Pare che la prima pipa ad acqua sia nata in India e fosse ricavata dal guscio di una noce di cocco. Piuttosto rozza e molto semplice incontrò però il favore dei persiani e poi dei turchi, che  nel XVI secolo la trasformarono nella sontuosa pipa che da allora  non cambiò più la sua forma. 
Generalmente alti dai 60 ai 90 centimetri circa, i narghilè sono fatti di vetro e ottone  decorati, incisi con caratteri dell'alfabeto arabo ed hanno un fascino particolare che rievoca atmosfere da “ mille e una notte”. Racconti antichi narrano che alcuni sultani usavano fumare una speciale  miscela  di oppio, profumo e perle frantumate, ma è sbagliato associare i narghilè all'uso di droghe illecite come hashish  e oppio. La storia, infatti, racconta che non tutti i tabacchi erano adatti  e soltanto un tipo di tabacco scuro, importato   dall'Iran, trovò il favore dei fumatori turchi. Questo tabacco  veniva lavato molte volte prima dell'uso, era molto forte e per  bruciarlo si adoperava soltanto carbone di quercia. Alcuni fumatori usavano mettere ciliegie aspre o acini di uva nell’acqua, per rilassarsi con il loro movimento nel liquido , altri invece aggiungevano succo di melagrana o olio di rosa per dare aroma. Ancora oggi viene utilizzato un tipo di tabacco che può essere aromatizzato alla mela, all’albicocca, alla fragola, alla cannella o alla menta ed è noto con il termine arabo di "marsaal". Per  creare questo tipo di tabacco, le foglie vengono immerse in uno sciroppo  di frutta  oppure in un liquido con il sapore preferito fino a che l’aroma non è assorbito.
Il narghilè è formato da quattro parti distinte.
Il govde è la base di vetro o cristallo che contiene l'acqua, questa assicura che il fumo  prodotto dal carbone rovente sia filtrato  fuori per dar modo al fumatore di godere soltanto del sapore del  tabacco. 
Dalla base parte il marpuc, il tubo di ottone che forma la parte  media. Segue il tubo flessibile che  comincia dal marpuc e si  chiama agizlik, mentre il piccolo vaso di terracotta, chiamato  lule e posto in cima, fa da contenitore del tabacco.  Quando il  fumatore inala attraverso l'agizlik l'aria che va dal  basso in alto del morpuc crea il tipico suono gorgogliante. Sul lule viene  posto anche un pezzo di carbone rovente isolato  dal tabacco per  mezzo di una piastrina di alluminio bucherellato. Il bocchino è quasi sempre d'ambra pregiata perché nei tempi remoti si riteneva che l'ambra allontanasse  i germi e potenziasse la virilità.
Note le sue virtù; pare infatti che sia molto rilassante dopo una giornata di stress  o un pasto copioso, che tolga la tensione ai muscoli del tratto cervicale  ed a quelli delle spalle, che prepari al sonno senza produrre cattivi  odori nella camera e al risveglio la bocca sia fresca come una rosa. 

https://www.youtube.com/watch?v=18-8IO1vk-I   (come preparare un narghilè)

giovedì 2 dicembre 2010

La cittadella di Bam


Era la notte del 26 dicembre 2003 quando un sisma  di forte intensità scosse la Repubblica Islamica dell'Iran , devastando la storica città di Bam (nella regione di Kerman), patrimonio dell' UNESCO e mietendo decine di migliaia di vittime. 
Arg-e-Bam ( in persiano "la cittadella di Bam"), era una grande fortezza nel cuore della città stessa.  Costruita più di 2000 anni fa, con mattoni di fango, argilla, paglia e tronchi d'albero di palma, era un vero e proprio gioiello architettonico.
Per la sua posizione sulla Via della Seta, al confine orientale della Persia, fu continuamente soggetta ad aggressioni, tuttavia nessuna di esse ebbe successo. L'unico ad arrivare ad un soffio dalla conquista fu Mahmoud, re afgano, che nel sedicesimo secolo cinse d'assedio la fortezza senza alcun risultato, sino al tradimento di uno degli abitanti che gli suggerì di deviare il fiume e di portare l'acqua intorno alle mura, queste fatte di fango si sarebbero sciolte consentendogli l'accesso. Così avvenne, ma dopo l'attacco l'esercito afgano si trovò davanti ad altre due cinta di mura e così scoraggiato abbandonò l'impresa. 
A quell'epoca la città, con i suoi 10.000 abitanti, spaziava su una superficie di 6 km quadrati ed era fortificata da possenti mura congiunte da 38 torri. Rimase in uso fino al 1850 e non si conosce con certezza il motivo per il quale venne poi abbandonata.

Curiosità
Secondo la mitologia iraniana, il nome Bam deriverebbe da “Bahman”, un antico re mitologico di cui parlò Ferdowsi nel suo lavoro più famoso “Il libro dei re”( Shahnameh). In questo poema Bahman, figlio di Esfandiyar, lottò contro Faramarz, figlio di Rostam, e riuscì a sconfiggerlo grazie ad una tempesta di sabbia che ostacolò il rivale. Bahman per festeggiare la vittoria costruì una fortezza sulla stessa collina dove ora si trova la cittadella.
In questa città è stato girato il film di Valerio Zurlini ispirato al romanzo "Il deserto dei tartari", di Dino Buzzati.

 
   La cittadella prima e dopo il sisma   L'ingresso principale "Porta di Narmashir"

domenica 14 novembre 2010

Aid Al-Adha Mubarak

Aid  al- Adha  1431/2010        16/11/2010

L’ Aid al- Adha, conosciuta anche come Festa del Sacrificio o Aid al-Kabir (festa maggiore) è sicuramente la festa più importante dell’Islam.Si può ritrovarla anche in alcuni paesi dell’Africa musulmana, con nomi diversi come Tabaski, o Tafaska, ma in ogni caso è la commemorazione della sottomissione di Abramo (Ibrahim) a Dio, quando Egli gli ordinò di sacrificare suo figlio Ismaele. All’ultimo momento Allah fermò la mano di Abramo sostituendo ad Ismaele un montone. Il montone diventa così il protagonista di questo giorno. L’animale da sacrificare , che deve essere fisicamente sano, non troppo vecchio, e può essere soltanto un ovino, un caprino, un bovino o un camelide  non deve essere ucciso all’istante ma dissanguato. Secondo la legge islamica, questa operazione spetta al capofamiglia, che puo’ delegare un sacrificatore riconosciuto, e deve essere compiuta dopo la preghiera dell’Aid, venti minuti circa prima dell’alba, chiamata da un Imam. Mentre l’animale viene ucciso è importante pronunciare il takbir, cioè declamare la grandezza di Dio attraverso le parole “Allahu Akbar”, (Dio è grande). L'animale, deve essere poi diviso in tre parti uguali; una per la famiglia, una per i vicini e amici e l’ultima, composta dai pezzi più prelibati, deve essere donata i poveri. Il giorno di festa inizia all'alba con una speciale preghiera nella moschea poi si festeggia con un grande pranzo. E’ usanza in questo giorno di festa, mangiare e offrire agli ospiti dolci tradizionali ripieni di datteri chiamati appunto ka’ek al Aid.

sabato 30 ottobre 2010

Mondo cinema:" Il tempo dei cavalli ubriachi"

Titolo originale: Zamani baraye’ masti ashba
Un film di Baham Ghobadi. Con Nezhad Ekhtiar-Dini, Amaneh Ekhtiar-Dini, Ayoub Ahamadi, Jouvin Younessi
e gli abitanti della città di Sardab e Banè.  (Kurdistan, 2000)


“Il tempo dei cavalli ubriachi” è un film che mostra, in modo estremamente spiazzante, la vita di un popolo al limite della sopravvivenza. Siamo nel Kurdistan iraniano, in prossimità del confine con l'Iraq,  dove non si lotta per avere una vita migliore, ma solo per avere un pezzo di pane o per comperare un quaderno. Qui si contrabbanda alcool ma si beve the, secondo i precetti islamici che vietano di bere alcolici, un divieto non prescritto ai muli (i cavalli del film), ai quali è fatto bere mischiato con acqua per sopportare il carico e il freddo della montagna. Ma, a volte, queste bestie, stordite e stremate dall’intruglio bevuto e dalla stanchezza, affondano nella neve e rimangano inermi e sfiancate a terra.
In questo luogo gelido, inospitale e punteggiato di campi minati vivono, in condizioni di estrema povertà, cinque tra fratelli e sorelle. Incartano bicchieri al mercato affinché non si rompano durante il trasporto o caricano sulla schiena enormi fagotti per poter guadagnare qualche soldo. Ayoub è il fratello su cui ricade la responsabilità della famiglia, subito dopo la morte del padre . Amaneh, la sorella minore, lo aiuta come può. C’è anche Madi, un ragazzo di quindici anni gravemente malato e menomato che gli altri fratelli adorano e proteggono. Secondo il medico che si reca al villaggio di tanto in tanto, Madi deve necessariamente subire un intervento chirurgico che gli permetterebbe di sopravvivere ma l’operazione costa molto. Ayoub allora decide di lavorare con i contrabbandieri per racimolare il denaro necessario all’intervento, ma nonostante i sacrifici e pur mettendo in pericolo la sua stessa vita, non riesce ad aiutare Madi. Una nuova speranza arriva da un iracheno che vuole sposare Rojin, la sorella maggiore. Pur di contrarre il matrimonio con la ragazza, l’uomo è disposto a contribuire economicamente permettendo a Madi di essere operato ma la sua promessa, non verrà mantenuta…....
Il regista Bahman Ghobadi, già assistente di  Abbas Kiarostami e attore nel film di Samira Makhmalbaf “Lavagne”, in questa sua opera prima ci propone una storia vera con attori che sono i reali abitanti del villaggio. Una storia che ha anche ottenuto un effetto straordinario. Un'equipe medica italiana, facente parte di un’organizzazione di volontariato denominata WOPSEC, si è offerta di recarsi nel Kurdistan per operare Madi e gli altri bambini bisognosi.
Il film ha vinto la  Camera d’Or al festival di Cannes 2000. 



domenica 10 ottobre 2010

Il Profeta Maometto


“Tu sei l’eletto di Allah”.
Sono queste le parole pronunciate dall’arcangelo Gabriele nella "notte del destino", quella in cui, secondo la tradizione islamica, Maometto scopre di essere stato scelto da Dio come Profeta. Fino a quel momento la sua vita non è molto diversa da quella degli altri bambini della Mecca. Nato intorno al 570 dopo Cristo, orfano di padre e madre, cresce nella città araba sotto la custodia di uno zio paterno che a 12 anni lo porta con sé, per la prima volta, in una spedizione commerciale. In quello che avrebbe dovuto essere un viaggio di iniziazione ad una vita da mercante, Maometto incontra alcuni monaci eremiti cristiani che gli predicono la missione profetica. A 26 anni, afflitto da difficoltà economiche, viene assunto come cammelliere da Khadijah, una facoltosa vedova quarantenne che pochi mesi più tardi diventa sua moglie, la prima di nove. E’ un matrimonio felice che dà al Profeta quattro figlie ed un numero imprecisato di maschi.
La prima rivelazione è durante il mese di Ramadan nel 610. Nella “notte del destino” Maometto si trova poco distante dalla Mecca, nella grotta dove è solito ritirarsi per meditare , dorme , ma una luce abbagliante lo sveglia. Gli appare l’arcangelo Gabriele che gli porta una stoffa con incisi caratteri d’oro e gli ordina di leggere. Maometto, che è analfabeta, si scusa dicendo di non saperlo fare, ma l’angelo ripete l’ordine. E infatti il Profeta legge: “ Annuncia il nome del Signore che creò l’uomo…e gli insegnò ciò che ignorava”. Per qualche tempo Maometto diffonde il messaggio divino con prudenza e solamente tra i famigliari, poi, dopo un ammonimento di Gabriele, inizia la predicazione pubblica. I suoi primi seguaci sono poveri e schiavi della Mecca e i suoi discorsi scatenano l’ostilità dei capi tribali che vedono nelle parole di Maometto un terribile pericolo per la tradizione politeista e gli interessi di casta di cui sono custodi. Minacciato di morte nel 622, Maometto decide di fuggire nella più ospitale Medina, dove riesce ad imporsi come capo politico e militare. L’anno di questa emigrazione viene fissato come inizio dell’Era islamica. Negli ultimi decenni della sua vita il Profeta può assistere alla definitiva affermazione dell’Islam. Il suo trionfo si compie nel 630, quando a capo di 13mila uomini, Maometto torna alla Mecca e distrugge i 360 idoli preislamici. Il Profeta muore a Medina, dove ancora oggi si trovano le sue spoglie. 



Ricostruzione immaginaria della originaria Moschea del Profeta, attraverso le informazioni provenienti da Medina Ricerca & Study Center, Medina

mercoledì 22 settembre 2010

L'oasi di Ghadames

In un giorno lontano del VII secolo a. C. il conquistatore Sidi Ocba Nafa viaggiava attraverso il "Grande Nulla" ormai privo di acqua e di speranze. In un punto sperduto al confine tra le attuali Libia, Algeria e Tunisia, la sua giumenta si imbizzarrì e batté disperata gli zoccoli sulla sabbia. Avvenne il miracolo: il liquido più prezioso d'Africa prese a sgorgare limpido dal suolo del Sahara.
Con questa leggenda nasce il mito di Ghadames, la perla del deserto, l'oasi più celebre d'Africa che sorge proprio intorno ad una sorgente visibile ancora oggi; "Ain el Faras", in libico: la sorgente della giumenta.

Ghadames rappresentava un tempo la prima o l’ultima tappa per le carovane che attraversavano il deserto. Cinta da mura, la città vecchia, è considerata un vero capolavoro di edilizia ed è sotto la tutela dell’UNESCO, che l’ha restaurata. La sua bellezza deriva, oltre che dal florido palmeto che si insinua dentro all'abitato e a cui si devono i migliori datteri libici, alla peculiarità urbanistica della medina. Nei vicoli coperti regna l’ombra e la frescura, anche quando la temperatura esterna si avvicina d’estate ai 50 gradi. Le sette porte d'accesso, che venivano chiuse al tramonto, dividono la città in sette quartieri ognuno autonomo con propri pozzi, piazze, mercati, moschee e madrase raccordati da un labirinto di stradine coperte e non, dove l'ombra e i percorsi tortuosi consentono la circolazione dell'aria fresca, ma non quella della sabbia durante le tempeste. Le case piene di nicchie, scale incrociate e dipinti naif gialli, verdi e rossi che abbelliscono le pareti, sono costruite interamente con fango e ricoperte di calce bianca. I tetti terminano con terrazze che unite le une alle altre, formano un percorso utilizzato unicamente dalle donne per spostarsi da una casa o da una zona all'altra.

lunedì 30 agosto 2010

La musica raï


Il raï è un tipo di musica che mescola i ritmi e la tecnologia moderna occidentale con lo stile tradizionale di musica magrebina. Nasce nella valle di Chelif in Algeria, attorno agli anni Venti e deriva dall’incontro tra la cultura urbana di Orano con la cultura delle campagne circostanti. L’emigrazione rurale verso le città è infatti il fattore esterno che permette l’incontro tra lo stile di canto bédui e lo stile zéndani più tipicamente cittadino. I cantanti di questo nuovo genere sono definiti cheikh (maestri) se uomini e cheikha se donne, inoltre la comune ripetizione nei loro testi dell’espressione ya-rayi (oh mio pensiero) porta a definire questo stile come raï.
L’incontro con altri generi musicali come la canzone francese durante il colonialismo e la musica americana durante gli anni della guerra mondiale, fa si che alcuni cantanti sperimentino nuovi percorsi musicali inserendo per la prima volta ritmi derivati dal fox-trot e bebop al boogie-woogie.
Negli anni ‘50 il raï è considerata musica per luoghi malfamati, ma le maddahat, donne cantanti che animano le feste dei matrimoni, iniziano ad inserirla nel loro repertorio composto in prevalenza da canzoni religiose, valendosi del fatto che in queste feste le regole morali sono meno rigide, ciò permette a questa musica di diffondersi. Ai giorni nostri il cantante più famoso è Cheb Khaled (nella foto) definito il “re del raï”.

Esistono vari stili di raï
• Il pop-raï
Messaoud Bellemou - il primo trombettista ad accompagnare un cantante di raï, Bouteldja - coniò il termine pop-raï nel 1974. La definizione di pop-raï fu necessaria per indicare un nuovo stile legato al jazz, al rock e ai ritmi latino-americani. L’introduzione delle prime tastiere elettroniche permise al cantante di esibirsi anche da solo, cosicché molti giovani decisero di tentare la carriera di cantante. Essi erano definiti cheb in contrapposizione ai cheikh e al loro stile. I testi del pop-raï trattano soprattutto d’amore, in particolare di quelli proibiti, della tristezza, dell’alcool.
• Il raï-love
Durante gli anni ‘80 la musica raï raggiunse il massimo del suo successo e popolarità.
Cheb Hasni fu il cantante più famoso di questo nuovo stile i cui testi parlano soprattutto d’amore e quindi definito raï -love.
• Il raï “made in France”
La situazione politica dell'Algeria portò molti cantanti a migrare in Francia. Khaled, Mami, Fadéla, Zahouania e altri entrarono in contatto con grosse compagnie discografiche francesi ed internazionali che contribuirono a trasformare la musica raï così profondamente tanto da far parlare di un raï francese . Questo genere non è molto apprezzato in Algeria ma, essendo venduto nella categoria della world music, sta ricevendo un rilevante successo commerciale a livello internazionale.
• Il raï-beur
I giovani nati in Francia da genitori algerini spesso non sono accettati né dalla società francese né da quella algerina, quindi per loro il raï esprime ribellione e trasgressione . Cheb Khader fu probabilmente uno dei primi cantanti beur ma in breve tempo altri cantanti si affermarono (Seba, Swat el Atlas, Chabab artistes, Groupe hami, Rani, ecc.). Oggi il cantante che ha maggior successo è Faudel. Il raï -beur riprende ancora molte caratteristiche del raï algerino, ma con una forte e personale rielaborazione. Per esempio alcuni testi di Faudel provengono dalla tradizione delle maddahat , ma la sua musica e i suoi ritmi sono molto più occidentalizzati.



mercoledì 11 agosto 2010

I pilastri dell’islam (Arkan – al Islam)



Cinque sono i pilastri, i cosiddetti Arkan, su cui poggia la fede islamica. Sono i doveri fondamentali che tutti i fedeli, una volta raggiunta la maturità e se in buone condizioni fisiche, sono tenuti a rispettare.
Professione di fede ( shahada)
E’ la testimonianza con cui il fedele musulmano dichiara di credere in un Dio Unico e nella missione profetica di Maometto. “ La ilaha illa Allah wa Mohammad Rasul Allah”
“Non vi è altro Dio all’infuori di Dio e Maometto è il suo Profeta”
Per convertirsi all’Islam è sufficiente recitare questa professione di fede davanti a testimoni musulmani. La stessa che deve essere pronunciata prima della preghiera rituale.
La preghiera (salat )
Va recitata cinque volte al giorno:
Al mattino (al-sobh)
A mezzogiorno (al-zuhr)
A metà pomeriggio (al-asr)
Al tramonto (al-maghrib)
Un'ora e mezza dopo il tramonto (al-isha)
Durante il rito ci si deve rivolgere verso la Mecca. Ogni preghiera è regolata da un codice che indica la successione della liturgia, la sequenza delle posizioni e l’abbigliamento richiesto. Le donne possono lasciare scoperto solo il viso e le mani. Prima di recitare la preghiera è necessario compiere l’abluzione purificatrice: ci si lava il volto, le mani e gli avambracci fino ai gomiti, si strofina le mani umide sulla testa e, infine ci si lava i piedi.
L’elemosina (zakat)
L’obbligo di elemosina ai bisognosi è un’estensione del dovere di ospitalità. Fino a quando Maometto era vivo, l’elemosina era volontaria, poi è diventata una vera e propria tassa religiosa sul patrimonio, in gran parte, però già compresa nei tributi statali.
Il digiuno ( sawan )
Durante il mese di Ramadan è vietato mangiare, bere e avere rapporti sessuali dall’alba al tramonto.Il Corano dispensa dal digiuno i viaggiatori, gli ammalati e le donne in gravidanza.
Il pellegrinaggio ( hajj )
Quello alla Mecca è d’obbligo almeno una volta nella vita per tutti i musulmani che ne abbiano la possibilità. Insieme al digiuno è l’arkan più conosciuto al mondo non musulmano. Sono esonerati i viaggiatori, gli ammalati e le donne in gravidanza.

            Ramadan Mubarak
    Felice Ramadan a tutti i musulmani

venerdì 16 luglio 2010

L' hammam


Hammam deriva dalla parola araba “hamma” che significa “scaldare” o meglio “ che spande calore”. Più conosciuto come bagno turco, affonda le sue radici nel mondo greco-romano. Nel mondo arabo si sviluppa intorno al 600 D.C. quando il profeta Maometto inizia ad apprezzare questo tipo di abluzioni. L’hammam assume così un significato religioso diventando tutt’uno con le moschee ed è utilizzato per compiere le abluzioni islamiche. In questo luogo, dove regna pace e tranquillità, ci si prende cura del proprio corpo purificandolo e di conseguenza purificando anche l’anima. Mentre i romani preferirono costruire fuori dai centri urbani grandi terme pubbliche, gli arabi costruiscono una moltitudine di piccoli hammam nelle medine. Sul piano architettonico, rispetto ai bagni greci e romani, si ha una riduzione nell’altezza dei soffitti, i bagni si fanno più piccoli e raccolti e le pareti sono costruite con hajar habash una pietra nera capace di trattenere a lungo il calore.
In genere si va all'hammam con il proprio asciugamano, pettine, shampoo, sapone nero (una pasta vegetale a base di olive che si usa specialmente in Marocco) e guanto di crine. Ingresso uomini e donne sono separati .
Il rituale prevede la sosta in tre camere : nella prima, a temperatura media, si prepara la pelle ai trattamenti . Qui si insapona tutto il corpo con il sapone nero e le donne applicano l’hennè ai capelli, alcuni lavandini posti nella sala permettono di rinfrescarsi. Nella stanza successiva, la temperatura elevata favorisce l’esfoliazione della pelle e l’eliminazione delle tossine quindi si massaggia e si friziona energicamente la pelle con un guanto chiamato “kessa”. E' un massaggio molto forte su tutto il corpo, dal quale si esce arrossati. A questo punto si può applicare una maschera di rhassoul (una specie d’ argilla) mista ad acqua di rose o fiori d'arancio, che lascia la pelle dolce e leggermente profumata. Per chi ha la pelle secca, si può aggiungere all'impasto dell'olio di mandorle dolci. Ultima tappa, qualche minuto nella sala di riposo, bevendo un tè alla menta e preparandosi ad affrontare il caos della città ! !

mercoledì 23 giugno 2010

Mondo cinema: " A Casablanca gli angeli non volano"

Titolo originale:Al Malaika la tuhaliq fi al-dar albayda
Un film di Mohamed Asli. Con Abdessamed Miftah El Kheir, Abderrazak El Badaoui, Rachid El Hazmir, Leila El Hayani, Abelaziz Essghyr, Ali Achtouk. ( anno 2004 )



In un villaggio sperduto tra le montagne del Marocco, abita la famiglia di Said. Sua moglie Aicha, incinta, e i figli piccoli, cercano di sopravvivere al rigido inverno. Per mantenerli Said è costretto a trasferirsi a Casablanca, ma Aicha, contraria fin dal principio alla partenza del marito, lo supplica di tornare. Said lavora in un ristorante con due giovani amici, Othman e Ismail. Per loro la vita è tutt'altro che facile: Othman non pensa ad altro che al suo unico bene, un cavallo che ha lasciato alle cure della madre e a cui manda appena può del pane secco. Ismail ha visto un paio di scarpe costose che sono diventate la sua ossessione...I loro sogni e le loro aspirazioni però si infrangono per le strade ostili della città, in un turbinìo di avvenimenti che d'improvviso sconvolgeranno le loro vite.
Nel cielo del Marocco gli angeli e i poveri non possono prendere il volo. Questa è la certezza dell’esordiente regista Mohamed Asli . Scelto dalla prestigiosa rivista francese Semaine de la Critique per partecipare al 57° Festival Internazionale del Cinema di Cannes, il film , mette in risalto la "purezza" della vita nel villaggio, in cui la povertà non fa mai mancare la dignità ad ogni singolo individuo, e la spersonalizzazione, la caoticità e l'alienazione urbana di Casablanca. Tema sottolineato anche dalla regia con l'alternanza continua tra le immagini della vita del villaggio, in cui a colpire è la semplicità di gesti e comportamenti, oltre alla bellezza incontaminata del paesaggio circostante, e il grigiore di una Casablanca rappresentata come luogo opprimente (con le sue strade pullulanti di automobili e i suoi alti palazzi, spesso ripresi dal basso), capace di spezzare i sogni delle persone. Un film duro, dai toni realistici dove l’uso prevalente di attori non professionisti, trasmette credibilità e forza ai personaggi e alle vicende narrate.


sabato 29 maggio 2010

La Grande Moschea di Djenné


La Grande Moschea di Djenné, nel Mali, ricostruita ai primi del 900 sui resti di quella precedente, rappresenta uno splendido esempio di architettura sahariana ed è il più grande edificio al mondo costruito in terra. Data la scarsità di pietre da costruzione, in Africa Occidentale i grandi edifici venivano costruiti impastando il fango su dei tralicci di legno le cui estremità lasciate all'esterno, servono ancora oggi per effettuare il restauro dopo le grandi piogge. Infatti, solo grazie a questi appigli è possibile riparare i buchi e le crepe causati dall’acqua. Il restauro avviene agli inizi di marzo (sono gli anziani a fissare il giorno esatto , in base alla consistenza del fango depositato dalle piene del Niger) ed è l’occasione per una festa che dura due giorni e che coinvolge l’intera popolazione: tutti gli abitanti di Djenné si mobilitano per recuperare la sabbia bagnata, trasportarla con carretti di legno, impastare coi piedi l’argilla, creare lunghe catene umane per portare i panieri colmi di fango fino alla cima della moschea. E’ un rituale affascinante che si rinnova ogni anno, uguale a se stesso, tra canti, preghiere e gioiosi inni ad Allah. Ai piedi dell'imponente moschea si svolge il grande e colorato mercato. Oggi l’interno della grande moschea è precluso ai non musulmani.


domenica 2 maggio 2010

Il sapone di Aleppo



Nel fascinoso e caleidoscopico suq di Aleppo molti sono i negozi che vendono, insieme alle spezie più pregiate, il tradizionale sapone all’olio di oliva. Nel corso dei millenni questo prodotto si è diffuso non solo in tutto il Medio Oriente, ma anche nel nord Africa, in Europa, in sud America ed in Giappone. Già le grandi regine del passato come Cleopatra, Nefertiti, Sheba e Zenobia, amavano detergere il proprio corpo con il sapone proveniente dalla città siriana. È un prodotto unico, composto per il 90% da olio d’oliva e per il rimanente 10% da olio di bacche di alloro e viene realizzato artigianalmente secondo il metodo tradizionale. Non tutti i saponi tuttavia vengono prodotti allo stesso modo. La qualità più antica che è la migliore e quindi anche la più costosa, viene fatta stagionare per ben 8 anni; poi ci sono i saponi stagionati solo per 3 anni, consigliati per la detersione del corpo e dei capelli, mentre i saponi più economici, sono lasciati essiccare solo per 3 mesi e sarebbe opportuno usarli solo per le mani. La lavorazione dura quattro mesi, inizia a novembre, dopo il raccolto delle olive, e termina a marzo. L'olio di oliva viene prima cotto molto lentamente per più giorni in un paiolo aggiungendo soda estratta dal sale marino. Alla fine della cottura, quando la pasta è pronta, viene arricchita con olio di bacche di alloro. Dopo la colatura e a raffreddamento, il sapone, ancora verde, viene tagliato manualmente a forma cubica, marchiato con il timbro del produttore e messo a essiccare all'aria. Come riconoscerne la qualità? Quando vengono tagliati a metà i saponi stagionati presentano un bordo marrone e un cuore dall’intensa tonalità verde scuro, mentre i meno stagionati hanno ovunque una colorazione omogenea verde chiaro. Il suo uso regolare non secca la pelle, ma la mantiene morbida ed idratata. Inoltre, l'olio di alloro (l'elemento profumante del sapone di Aleppo) ha virtù toniche e stimolanti. L'assenza di coloranti, di profumi di sintesi e di additivi chimici è la miglior garanzia contro le allergie o altre aggressioni che potrebbe subire la pelle con l'uso di un sapone industriale. Il sapone d'Aleppo, infine, ha una virtù sconosciuta o dimenticata in Occidente, ma conosciuta da tutti in Oriente: è un antitarme dalla grandissima efficacia. E' per questo che gli abitanti di Aleppo ne mettono alcuni panetti negli armadi, in modo da tenere lontane le tarme.

mercoledì 14 aprile 2010

I jinn


I primi esseri che abitarono la terra furono i jann: sparsero la corruzione e si uccisero l’un l’altro. Dio allora mandò contro di loro un esercito di jinn, angeli creati dal fuoco. Al loro comando c’era Azazil (Al–Harith). un jinn molto bello e molto pio che risiedeva in cielo durante la notte e sulla terra durante il giorno e che custodiva il tesoro del paradiso. Ma quando Dio chiese agli angeli di prostrarsi di fronte Adamo tutti ubbidirono tranne Azazil che rifiutò ritenendo Adamo inferiore a lui in quanto fatto di terra. Dio punì Azazil facendolo diventare un ribelle lapidato ( shaytān rajim) e da allora il suo nome divenne Iblis che significa afflitto, disperato.
I jinn (dal verbo jānn che vuol dire nascondersi , celare) nel mondo occidentale sono chiamati geni. Vivono in un mondo contiguo a quello degli uomini, hanno caratteristiche possedute dall'uomo come l'intelligenza, il libero arbitrio, possono accoppiarsi ed avere figli come gli umani e sono in grado di scegliere tra il bene e il male.Ciò che li distingue chiaramente dall'umanità, sono i poteri e le abilità di cui sono dotati. Dio ha dato loro questi poteri per metterli alla prova. Se opprimono gli altri saranno giudicati responsabili e saranno puniti nel giorno del giudizio.
Possono intraprendere qualsiasi forma fisica quindi, possono comparire come esseri umani, alberi o animali e possono assumere la direzione delle menti e dei corpi di altre creature Il Profeta disse : "ci sono tre tipi di jinn : uno che vola nell'aria, uno che ha sembianze di serpente o cane, e uno che si sposta all'interno di un luogo limitato” Tutti i jinn hanno rapidità di movimento, riescono ad attraversare lunghe distanze in poco tempo. ma non possono prevedere il futuro.
In età preislamica ( jāhiliyya ) i jinn erano accreditati di notevole potenza, quasi sempre in grado di esprimere una devastante e spesso mortale cattiveria. L'Islam accetta l'esistenza dei jinn, anche se ne disattiva pressoché tutte le potenzialità malefiche principali, limitandole a un fastidio più o meno accentuato. Secondo la cultura islamica, i jinn possono essere musulmani o non-musulmani, infatti alcuni di loro (chiamati rawahin) si sarebbero convertiti ascoltando la recitazione del Corano fatta da Maometto. Altri sono le truppe fedeli di Iblis- Satana ( shaytin).
I jinn satanici (o spiriti maligni djnoun) sperano di incitare la gente ad adorare altri oltre ad Allah e si distinguono per alcuni comportamenti tipici... mangiano con la mano sinistra, si riuniscono al crepuscolo, prediligono luoghi di decadenza come i cimiteri e i bagni, entrano e vivono nelle case in cui le persone vivono, amano la corruzione, l'odio, la disubbidienza e la malvagità.
I jinn buoni invece sono in grado di beneficare l’essere umano. Tipico esempio di jinn buono è quell'essere che, “Aladino” nelle “Mille e una notte”, libera dalla lampada, al cui interno è rimasto prigioniero, in cambio dell'accoglimento di tutti i suoi desideri.

domenica 21 marzo 2010

Mondo cinema: " Il pane nudo"

Un film di Rachid Benhadj. Con Saïd Taghmaoui, Marzia Tedeschi, Sana Alaoui, David Halevim, Karim Benhadj. (anno 2005)


Mohamed è un bambino come tanti altri, ma la sua famiglia è povera e lui, sporco e affamato, cerca cibo fra i rifiuti. Torna a casa felice di aver trovato una gallina morta per il fratellino malato, ma viene punito dalla madre perché mangiare carogne è peccato. Il padre è un uomo alcolizzato e violento, la madre troppo devota alla religione e al marito. Mohamed, costretto a patire ogni stento, cresce in fretta, lascia la famiglia, inizia a vagabondare tra i vicoli e le strade, di notte, alla ricerca di cibo, di un riparo, di una serenità che riesce a trovare solo in una squallida sessualità malata, frequentando i bassifondi e i luoghi più malfamati della città di Tangeri, come molti altri bambini della sua età. Nel frattempo il Marocco si sta svegliando dal lungo sonno coloniale e grandi manifestazioni di protesta cominciano a scuotere il paese. Ormai ventenne, partecipa alle sommosse politiche, e a causa di una retata, si ritrova in prigione. Compagno di cella, un detenuto politico intento a scrivere sul muro una poesia. Da quel momento sente il bisogno di imparare a leggere e a scrivere: è l’inizio di una nuova vita. Diventerà un maestro elementare per insegnare ai bambini gli strumenti per fuggire dalla miseria e dalla povertà.
Curiosità:Il film è la vera storia dello scrittore marocchino Mohamed Choukri ed è tratto dal romanzo autobiografico omonimo (il titolo originale in arabo è ﺍﻟﺨﺒﺰ ﺍﻟﺤﻔﻲ . ﺳﻴﺮة ﺫﺍﺗﻴـة ﺭﻭﺍءﻳـة al-khubz al-hafi. Sira dhatiyya riwa'iyya lett. "Il pane nudo. Autobiografia in forma di romanzo"). Il libro uscito nel 1960 diventò un caso letterario, un classico apprezzato nel mondo ma censurato nei paesi arabi a causa della sua crudezza.E’ lo stesso regista ad interpretare il ruolo di Hamid, il compagno di prigione di Mohamed, colui che gli farà scoprire l'incanto della letteratura e gli insegnerà le prime due lettere dell'alfabeto arabo, 'alif e bā', che insieme formano la parola ab "padre".

Trailer

https://www.youtube.com/watch?v=ZI7Aym5Am1A

sabato 6 marzo 2010

Le donne dell'Alto Atlante


La vita quotidiana nell' Alto Atlante è faticosa e preziosa. Gli uomini lavorano la terra e sono responsabili del taglio della legna per l'inverno e la vendita al suq della produzione agricola e del bestiame. Le donne si prendono cura dei bambini, fanno il pane, cucinano, accudiscono il bestiame, attingono l'acqua, filano, tessono e affrontano la maggior parte dei lavori stagionali: la mietitura, la raccolta delle olive, delle mandorle e delle noci, la pelatura del mais, l'approvvigionamento d'acqua e di legna minuta....

8 marzo festa della donna
auguri a tutte le donne!!!

domenica 21 febbraio 2010

Facciamo il punto della situazione.....

A seguito del rapporto pubblicato dal Ministero della Difesa, vorrei sottolineare che questo non è un blog politico, né religioso, né di propaganda, ma è il blog di una donna italiana, non convertita, interessata agli usi , costumi e tradizioni del mondo islamico. Prima di trarre conclusioni affrettate, siete gentilmente invitati a leggere il blog. Najim

sabato 13 febbraio 2010

Umm Kalthoum: "Stella dell'Oriente"


Oum Kalthoum, أم كلثوم pseudonimo di Fatima Ibrahim al-Sayyid al-Baltaji, è riconosciuta come la migliore cantante egiziana di tutti i tempi. Nacque nel 1904 a Tamay-az-Zahayra, un piccolo villaggio egiziano, e Il padre, che era l'Imam della moschea, fu il suo primo insegnante di canto. Fatima iniziò la sua carriera in tenera età cantando in occasione di avvenimenti religiosi e dimostrando di avere un talento eccezionale. A circa dieci anni, vestita da beduino, iniziò a girare per i villaggi insieme al padre ed al fratello. Con loro portò per anni la parola del Profeta tra i poveri dei villaggi della zona, creandosi velocemente una buona reputazione di cantante; tuttavia il suo stile troppo campagnolo non le permise di ottenere subito un gran successo.
Fu l’incontro con due virtuosi, ad aprirle le porte del teatro arabo:Muhammad Al-Qasbaji, suonatore di liuto, compose le musiche e Ahmad Rami, grande poeta scrisse per lei ben 137 canzoni.La diffusione della radio le permise poi di raggiungere la celebrità. Oum Kalthoum divenne verso la fine degli anni '40 il simbolo della canzone araba e fu impegnata in lunghe tournée a Damasco, Baghdad, Beirut, Tripoli e in altre metropoli. La sua fama, seconda solo a Nasser, era tale che le notizie politiche importanti erano mandate in radiodiffusione prima dei suoi concerti. Negli anni '50 l'Egitto aveva due sole incontrastate guide: l'eroe carismatico Gamal Abdel Nasser e "la sfinge eterna", la "Stella dell'Oriente", Oum Kalthoum, signora senza figli, ma madre di tutto l'Egitto. Fu soprannominata anche “la cantante del popolo” per l’impegno profuso in opere caritatevoli e per la generosità dimostrata nei confronti dei poveri.
Ai suoi funerali , nel 1975, assistettero oltre cinque milioni di persone.
Le sue canzoni erano per lo più poemi epico-lirici che duravano tra i 30 e i 60 minuti; c'era, generalmente, un'introduzione strumentale di circa dieci minuti al cui termine faceva ingresso lei, regalmente accolta da fragorosi applausi. Ai fan purtroppo rimangono solo pochissimi dischi e registrazioni. Alcune canzoni sono state ri-pubblicate nel 2003, nell'album "The Lady" e liriche come “Ya Laylet El-Id Insitina" e "Kayfa Marat Ala Hawaka Al Kouloub"mettono in risalto il suo talento eccezionale.


domenica 24 gennaio 2010

i beduini




Abitanti dei deserti e delle steppe, nomadi ed erranti, liberi e sognatori, inizialmente erano i poveri che, scacciati dai ricchi proprietari agricoli delle oasi, furono costretti ad organizzarsi per vivere nel deserto (il termine beduino deriva dall'arabo Bedù, il plurale di Badwai che significa appunto "abitante del deserto "). Dove trovavano acqua, pozzi e sorgenti insediavano i loro accampamenti. Si specializzarono nell’allevamento ed erravano continuamente per procurare ai loro animali foraggio sufficiente. La loro vita, lontana dalle agiatezze, ai limiti delle possibilità umane che non lasciava spazio alle debolezze di alcun genere rese questo popolo fiero, forte e con un grande spirito di adattamento. Originari della Penisola Arabica, ora vivono nell’Africa settentrionale e in Medio Oriente. La loro economia si basa sull'allevamento : cammelli, dromedari, cavalli, caprini ed ovini forniscono loro tutto lo stretto necessario per vivere, cammelli e dromedari sono inoltre il loro mezzo abituale di trasporto. L'abitazione dei beduini è il beit, una tenda nera suddivisa in due vani, uno per le donne e l’altro, lo sciaq, per gli uomini e gli ospiti.( secondo la tradizione, l'ospite che riesce ad avvicinarsi così tanto da toccare un bastone della tenda deve essere ospitato per 3 giorni e 3 notti).Quando la famiglia è numerosa, i vani possono aumentare mantenendo però, sempre la distinzione tra locali per donne e per uomini. Un lato lungo della tenda rimane aperto durante il giorno e viene chiuso solo di notte o quando si scatenano le tempeste di sabbia. Il tessuto fitto fatto con pelli di capra, sorretto da pali e corde, non fa passare la pioggia torrenziale che cade in queste zone e mantiene gli ambienti ben areati, freschi d'estate e caldi d'inverno. L'arredamento è formato da tappeti, cuscini, recipienti, pochi arnesi e un piccolo focolare sul quale si prepara il tè. Durante le soste, quando il gruppo si trasferisce da un luogo all'altro, le donne raccolgono radici, erbe, bacche e locuste, che vengono seccate e conservate per i periodi di magra; gli uomini invece si dedicano alla caccia. L'unica occupazione ritenuta dai beduini veramente nobile è la guerra, e tra le famiglie c'è uno stato quasi permanente di guerriglia e le faide spesso finiscono con la scomparsa di una delle tribù. Questa è suddivisa in clan composti da grandi famiglie nelle quali vige il patriarcato. Il capo del clan o della tribù è sempre uno sceicco, cioè l'elemento più abile o ricco del gruppo. Le donne godono di maggior libertà che non quelle di altri popoli nomadi; vivono nella stanza loro assegnata ma possono muoversi a piacere, allontanarsi, mangiare con gli uomini e tenere il volto scoperto. Indossano la “galabia“, lunga tunica bianca, e coprono il capo con la “kefiah“, il lembo di stoffa rettangolare, trattenuta dall’”iqal “, il doppio cordone che cinge loro la testa, in origine fatto con peli di capra ritorti e oggi con fili di cotone.

venerdì 1 gennaio 2010

Il dromedario..."la nave del deserto"



Il dromedario, la specie di cammello con una sola gobba, originario dell’Arabia è diffuso in tutta l’Africa del Nord, in India e nell’Asia Minore. Grazie alle sue qualità eccezionali, leggendaria la resistenza al caldo e alla sete, si è guadagnato il titolo di “nave del deserto”. Viaggiatore instancabile, questo animale può oltrepassare i tre metri d’altezza e vivere fino a venticinque anni. Quando è disidratato la gobba diminuisce di volume man mano che si esauriscono le riserve di grasso. Ci vogliono cento litri d’acqua, che può bere in 10 minuti, per dissetarlo dopo una settimana d’astinenza. Si nutre di piante molto succose, ma in loro assenza, durante l’inverno, si accontenta di nutrirsi di piante pungenti senza curarsi delle spine. Per assimilare tutte le sostanze presenti negli alimenti, il dromedario mastica il cibo 40-50 volte.
L’adattamento agli ambienti desertici, si riflette in diverse particolarità come la chiusura ermetica delle narici durante le tempeste di sabbia e la doppia fila di ciglia. Con la lana del manto si tessono i pesanti mantelli chiamati burnous e la carne ha qualità nutritive apprezzate.