martedì 1 maggio 2018

La leggenda del Taj Mahal.



“Una lacrima di marmo ferma sulla guancia del tempo”: così il poeta Rabindranath Tagore definì il Taj Mahal, monumento simbolo dell'India e capolavoro senza eguali dell'arte persiana. Ogni giorno migliaia di visitatori restano a bocca aperta davanti a questo celeberrimo mausoleo, patrimonio UNESCO dal 1983, che si è guadagnato di diritto un posto fra le nuove sette meraviglie del mondo. Il Taj Mahal, il cui nome significa “ palazzo della Corona”, fu costruito come monumento dedicato all’amore eterno. Si racconta infatti, che l’imperatore mughal Shah Jahan aveva molte mogli, ma la sua favorita era la seconda moglie Arjumand Banu Begum, meglio conosciuta come Mumtaz Mahal (che in persiano significa “gioiello/eletta del palazzo”) principessa originaria della Persia. Quando lei morì nel 1631 a soli 38 anni, mentre accompagnava il marito durante una campagna militare nel sud dell’India a Behrampur, aveva appena dato alla luce il loro quattordicesimo figlio. La sua morte fu un vera tragedia per l’imperatore, tanto che, nel giro di pochi mesi, i suoi capelli e la sua barba diventarono completamente bianchi per il dolore.
Esistono varie leggende sulla decisione di edificare il Taj Mahal, una di queste racconta che prima di morire, Mumtaz Mahal chiese all’imperatore di farle quattro promesse nel caso in cui fosse morta prima di lui. Come prima promessa gli chiese di costruire il Taj Mahal; la seconda di risposarsi per dare una nuova mamma ai loro figli; la terza che sarebbe sempre stato buono e comprensivo con i loro figli; e infine la quarta, che avrebbe sempre visitato la sua tomba nell’anniversario della sua morte.
Di tutte queste promesse la prima sembra l’unica ad essersi avverata.
La costruzione del Taj Mahal, che sorge sulle rive del fiume Yamuna ad Agra, nell’India Settentrionale, iniziò nel 1632 e ci vollero ben 22 anni per essere completata. Vennero impiegati più di 1000 elefanti e ventiduemila persone tra cui l'architetto italiano Geronimo Veroneo che lavorarono sul progetto di Ustad Ahmad Lahauri. L'unico materiale locale utilizzato fu l'arenaria rossa che decora le diverse strutture del complesso. Tutto il resto fu fatto arrivare da lontano: il marmo bianco da Makrana, il diaspro dal Punjab, la giada e il cristallo dalla Cina. C’erano anche turchesi, lapislazzuli, e una lunga lista di altre pietre preziose, 28 tipi in totale, incastonati nel marmo per un costo di circa 32 milioni di rupie. Persino le impalcature erano pregiate: non di bambù, come si usava da quelle parti, ma di mattoni. Al termine dei lavori l'enorme struttura doveva essere smantellata, un'operazione che avrebbe potuto richiedere anni ma l'imperatore trovò una soluzione più veloce: chiunque avesse dato una mano, poteva tenersi i mattoni. In una notte, l'intero involucro fu smantellato, rivelando il tempio in tutto il suo splendore. Una meraviglia che non poteva rischiare di essere eguagliata: per questo Shah Jahan ordinò di mozzare i pollici agli scultori, di decapitare i progettisti e  amputare le mani a tutti i lavoratori impegnati nella titanica impresa.
Del resto anche a lui toccò una sorte non molto migliore: morì poco dopo la fine dei lavori, in prigione, dove il figlio lo aveva confinato per prenderne il posto. Gli fu concesso comunque l'onore di essere sepolto nel Taj Mahal, accanto alla sua amata. Almeno questo è ciò che racconta la leggenda.
Il Taj è rosato al mattino, bianco latteo alla sera e d’oro quando la luna splende. Sembra quasi che questi cambi di colore rispecchino la mutevolezza dell’umore femminile, o almeno così si dice in India.

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