sabato 9 maggio 2015

I sufi


I Sufi sono i mistici dell' Islâm, divisi in più confraternite a seconda delle correnti interpretative della mistica via dell' ascesa a Dio.
Il Sufismo è esistito fin dall'inizio della storia dell’uomo, essendo esso in ogni era e luogo, Dio ha inviato i Profeti per condurre l'umanità alla conoscenza di Lui, e il Sufismo è la Via dei Profeti. Il grande Maestro del 9° secolo, Bayazid Bastami, descrive la storia del Sufismo affermando che, "I suoi semi furono piantati al tempo di Adamo, germogliarono sotto Noè e fiorirono con Abramo. Si fecero uva al tempo di Mosè e maturarono al tempo di Gesù. Al tempo di Mohammad, si sono trasformati in puro vino”.
La parola "Sufi" ha una triplice etimologia:
1) gli "ahl us-Suffa" erano "quelli della veranda", i Compagni del Profeta Maometto, che avevano lasciato tutto pur di vivere quanto più vicino al Profeta. Risiedevano sotto una veranda fuori della casa di Aisha. Quando il Profeta usciva erano i primi ad incontrarlo, quando riceveva un dono lo divideva con loro. Il Profeta mostrò per loro i suoi poteri miracolosi facendo moltiplicare il contenuto di un bicchiere di latte che fu sufficiente per tutti.
Vivevano senza possedere nulla ed in continui digiuni e devozioni.
2) "Suf" vuol dire lana. I Sufi dei primi secoli erano asceti che vivevano nei deserti vestiti di una lunga tunica di lana, loro unica proprietà, insieme al secchiello per l'acqua. Questa tunica era ovviamente logora e rattoppata. Queste toppe, cento come i nomi di Allah menzionati nel Corano, in epoca più tarda divennero colorate, fino a diventare il "costume" tipico del "Dervish" (poverello) del medioevo.
3) "Safa" vuol dire purezza: i Sufi sono i Puri. Per questo se chiedete a uno se é un Sufi, non sentirete mai dire di sì, perché chi lo é, per modestia non lo dice. I Sufi quindi sono parte integrante della Storia delle religioni, nati al tempo del Profeta. 




mercoledì 8 aprile 2015

La Moschea di Hassan II a Casablanca



Opera dell’architetto francese Michel Pinseau, la Moschea di Hassan II è un tempio grandioso che sembra galleggiare sulle onde. Nella realizzazione di questa opera colossale hanno partecipato più di 6000 artigiani marocchini che, venuti da tutto il paese, hanno prestato la loro opera per i lavori di intaglio, dei rilievi in stucco, delle decorazioni zellij, delle tessiture di tappeti, ecc.. Le misure sono di per sé eloquenti: dall’ingresso principale, alleggerito da raffinate decorazioni, si accede ad un complesso architettonico di ben 90.000 metri quadrati. La sala della preghiera può ospitare ventimila fedeli, altri ottantamila possono riunirsi sul piazzale e dal minareto, alto duecentocinquanta metri, un laser visibile da 35 chilometri indica La Mecca. Nella sua costruzione sono state utilizzate notevoli innovazioni tecnologiche; per esempio è stato realizzato un riscaldamento a pavimento che dona ai fedeli scalzi una piacevole sensazione di calore nei periodi invernali ed un immenso tetto scorrevole apribile costituito da 1100 tonnellate di legno di cedro, che nei periodi caldi, durante i grandi assembramenti religiosi, permette un’areazione naturale. All’interno della moschea giochi di luce esaltano gli intarsi e gli ornamenti realizzati dai più qualificati artigiani marocchini. Il marmo bianco di Carrara e i ricchissimi lampadari di Murano ne accentuano la bellezza.
Il tempio, oltre alle grandi sale per la preghiera e per le abluzioni, ospita una biblioteca, un museo e un garage sotterraneo.
La moschea fortemente voluta dal sovrano di cui porta il nome, fu inaugurata il 30 agosto 1993. I lavori iniziati nel 1980, terminarono infatti 13 anni più tardi e furono finanziati da una sottoscrizione nazionale. L’idea di costruire questa moschea venne al re negli anni ’80 pensando di voler costruire un edificio che rappresentasse l’Africa del nord, come la Statua della Libertà rappresenta gli Stati Uniti.

giovedì 12 marzo 2015

Il velo islamico


Il velo islamico o hijab, non può considerasi un simbolo religioso ma un oggetto di manifestazione di appartenenza al credo musulmano. Il velo assume il significato di esprimere, persino nell’abbigliamento, la propria vocazione religiosa. Quando parliamo del velo, hijab, intendiamo quel foulard, di vari colori e grandezze, che copre il capo nascondendo i capelli. L’obbligo di portare il velo è legato ai momenti rituali e all’ingresso nei luoghi sacri. La scelta di estendere questo obbligo a tutti gli altri aspetti dell’esistenza è un fatto personale che riguarda esclusivamente la donna. L’atto simbolico di velarsi, così come per l’uomo quello di portare l’abito tradizionale, rappresenta la volontà di esprimere anche esteriormente la propria vocazione religiosa. L’abbigliamento è quindi un simbolo e ha una precisa corrispondenza con la propria disposizione interiore. Il velo fu introdotto durante il regno di Habibullah, che lo impose alle duecento donne del suo harem, in modo tale da non indurre in tentazione gli uomini quando esse si fossero trovate fuori dalla residenza reale. Divenne così un capo indossato dalle donne dei ceti superiori, ma successivamente, quando le più abbienti smisero di farne uso, si diffuse e divenne un capo ambito nei ceti più poveri. La “velatura” della donna, finalizzata al non indurre in tentazione gli uomini, è prevista dal Corano: "O Profeta, di' alle tue spose, alle tue figlie e alle donne dei credenti di coprirsi dei loro veli, così da essere riconosciute e non essere molestate . Allah è perdonatore, misericordioso" (Sura 33:59). Non si parla esplicitamente della copertura del capo o del viso ma di coprire i propri “ornamenti” cioè le bellezze femminili, le forme del corpo:
"E di’ alle credenti di abbassare i loro sguardi ed essere caste e di non mostrare, dei loro ornamenti, se non quello che appare; di lasciar scendere una copertura (hijab ) fin sul petto e non mostrare i loro ornamenti ad altri che ai loro mariti, ai loro padri, ...... "  “Sura XXIV An Nur (La Luce).
Anche nell'ambito cristiano si parla del velo delle donne. L'apostolo Paolo infatti prescrive:
"Ma ogni donna che prega o profetizza senza avere il capo coperto fa disonore al suo capo, perché è come se fosse rasa. Poiché, quanto all'uomo, egli non deve coprirsi il capo, essendo immagine e gloria di Dio; ma la donna è la gloria dell'uomo; perché l'uomo non viene dalla donna, ma la donna dall'uomo.” (1Corinzi 11:6)
In termini più semplici: la chioma viene considerata un attributo di bellezza femminile e come tale deve essere per modestia coperta anche per non distrarre gli uomini dal raccoglimento religioso. Non viene però prescritto al di fuori della pratica religiosa. Nell'ambito islamico invece si è diffuso generalmente il suo uso anche perché la donna n on doveva mostrarsi in pubblico e quando lo faceva si doveva coprire il più possibile. Abbiamo però una varietà di veli: alcuni coprono semplicemente i capelli, altri che coprono anche il corpo (chador iraniano) e altri ancora coprono completamente tutto il capo (burqa afgano). Il problema è nella interpretazione del significato del velo: per alcuni la prescrizione coranica viene interpretata come un semplice invito alla modestia del vestire delle donne e non propriamente come una tassativa prescrizione religiosa e il velo viene visto semplicemente come una tradizione ormai da superare. Per altri invece il velo è una prescrizione fondamentale.

http://host.uniroma3.it/progetti/cedir/cedir/Relazioni10/Simboli%20Islam.pdf

martedì 10 febbraio 2015

Matrimonio in Pakistan



In Pakistan il matrimonio è considerato l’evento cardine della vita sociale degli individui, soprattutto per le donne: “sistemare” adeguatamente le proprie figlie è il principale assillo per i padri pakistani. L’età media delle spose si aggira sui vent’anni e l’unione è quasi sempre combinata dalle famiglie. La scelta del coniuge viene fatta preferibilmente tra cugini di primo grado poiché si ritiene che la parentela possa cementare il legame offrendo maggior garanzie in caso di eventuali controversie o incompatibilità. E’ importante sottolineare che alcune usanze seguite nei matrimoni pakistani non hanno alcun fondamento nell’Islam ma provengono da tradizioni della cultura indù. Durante la cerimonia di fidanzamento (mangni), che segna l'impegno formale della coppia , si decide la data delle nozze. Da 8 a 15 giorni prima del rito matrimoniale, la sposa entra in stato di isolamento (mayun); non le è più permesso lasciare la sua casa né vedere il futuro marito, ma iniziano per lei i rituali di abbellimento. Sulle mani e sul viso della ragazza si applica ogni giorno, fino al matrimonio, una pasta(uptan) a base di curcuma, polvere di sandalo, erbe e oli aromatici, portata in dono dalla madre dello sposo. Il giorno prima del matrimonio si svolge il rasm e mehndi (henna party) cerimonia tra donne dove si applica il mehndi (henna), si canta, si balla e si fanno riti per allontanare il male (sadka). La sera viene organizzata una cena per gli ospiti, ma alla sposa non è permesso prendere parte alle celebrazioni e deve mantenere il viso nascosto dal velo. La cerimonia  ufficiale di matrimonio inizia con il baraat, processione di familiari, parenti e amici dello sposo che accompagnano lo sposo a casa della sposa. Lo sposo( groom) percorre la strada in sella ad un cavallo riccamente bardato o su una macchina seguito da tutti i parenti e viene accolto dalla famiglia della sposa con ghirlande di fiori e petali di rosa. La cerimonia ufficiale di nozze (neekah) si svolge a casa della sposa e qui la nuova coppia suggella con la propria firma il contratto di matrimonio (neekah-naama). Il neekah-naama contiene tra l’altro le condizioni che devono essere rispettate da entrambe le parti come il diritto della sposa di divorziare dal marito e l'importo monetario che lo sposo dovrà versare alla sposa (meher). Il meher comprende due importi, uno dovuto prima che il matrimonio sia consumato e l'altro in un tempo stabilito; questo garantisce una certa sicurezza per la sposa all'interno del matrimonio. I padri dello sposo e della sposa (walis) agiscono come testimoni di nozze. Se il padre non è disponibile, il maschio più anziano della famiglia prende il suo posto. Il quazi, cioè l’autorità religiosa, legge versi scelti dal Corano e attende il Ijab-e-qubul (proposta e accettazione) di matrimonio. Dopo la formula “qabool Kiya” (accetto e firmo) pronunciata da entrambi gli sposi e le firme dei testimoni, il quazi recita la Fatihah, il primo capitolo del Corano, che segna la fine della cerimonia. Ora la coppia può vedersi allo specchio e la sposa svela il suo volto che ha tenuto nascosto durante il neekah ( Mooh dikhai). Agli invitati viene offerto un magnifico banchetto. Nel frattempo la sposa attende, lontano dai festeggiamenti il momento del ravanghi (la partenza) che rappresenta il momento culminante di tutta la cerimonia nuziale: lo sposo entra nella stanza dove la sposa, che indossa ricchi abiti di colore rosso, sta aspettando e in questo modo, sotto gli occhi di tutte le persone presenti, gli sposi diventano ufficialmente marito e moglie. Verranno quindi scortati in una stanza appositamente addobbata (sag) dove passeranno la loro prima notte di nozze (basarti). Il giorno successivo (valima) i festeggiamenti riprendono a casa dello sposo. Ruksati è la cerimonia per salutare la sposa prima della sua partenza per casa dello sposo. Chauthi è l'usanza di riportare la sposa a casa dei suoi genitori alcuni giorni dopo il matrimonio. Di solito sono i fratelli della sposa che eseguono questa tradizione.



martedì 6 gennaio 2015

Burj al Arab



Il Burj Al Arab, ossia "Torre degli Arabi”, è considerato "l'albergo più lussuoso del mondo". Situato su una isola artificiale nei pressi della spiaggia di Jumeirah a 280 metri dalla costa è collegato alla terra ferma tramite un ponte che permette il passaggio delle auto. Con la sua inusuale forma “a vela” è il successo di una equipe di architetti che aveva il compito di progettare uno dei migliori alberghi del mondo per lo sceicco Mohammed bin Rashid Al Maktoum e con i suoi 321 metri di altezza, attualmente il Burj al Arab è la più alta costruzione al mondo completamente dedicata ad hotel. La sua costruzione che iniziò nel 1994 e finì nel 1999 non fu certo libera da difficoltà progettuali e di realizzazione. Ci sono voluti tre anni solo per bonificare la terra dal mare, ma meno di tre anni per costruire l'edificio stesso che contiene oltre 70.000 metri cubi di calcestruzzo e 9.000 tonnellate di acciaio. La facciata principale del Burj Al-Arab è fatta in materiale tessile rivestito di teflon, inoltre l’ hotel è provvisto di un eliporto  dove nel febbraio del 2005,
a scopo pubblicitario, si è disputato un particolare incontro amichevole tra Andre Agassi e Roger Federer sul campo da tennis allestito per l'occasione sulla piattaforma dell'eliporto, all'altezza di 211 metri sul mare. Tutte le camere sono suite e hanno superfici variabili tra i 170mq e i 780mq producendo una rendita annuale di circa 100 milioni di euro; le stanze vengono a costare da un minimo di 600 euro a notte fino ai 9.000 euro per la royal suite. Oro 22 carati, stoffe preziose, marmi di Carrara e brasiliani, rivestono ogni angolo di questo meraviglioso edificio. La notte, a intervalli di 15 minuti, l’albergo cambia colore attraverso un sofisticatissimo sistema di illuminazione studiato per creare un effetto scenico, ma in modo da non infastidire gli ospiti che soggiornano all’interno. L’albergo è dotato anche di un ristorante al livello del mare circondato da un acquario immenso. Oltre ai vari record il Burj Al-Arab vanta anche quello dell’atrio più alto del mondo, ben 181 metri. Una curiosità: 90 delle 200 suite dell’hotel furono prenotate dalla modella Naomi Campbell per ospitare gli invitati al suo compleanno. Durante la sua costruzione ha totalizzato ben 3 record: il primo è quello dell’edificio con il più grande atrio del mondo, poi quello dell’edificio ricoperto dalla tela più grande al mondo mentre il terzo record è quello dell’unico hotel a poter vantare ben sette stelle.



venerdì 12 dicembre 2014

Il tappeto da preghiera


La preghiera quotidiana è uno degli obblighi fondamentali nella vita del musulmano, il quale può pregare all'aperto o dentro una casa purché il terreno sia delimitato da qualche oggetto (tappeto, stuoia, mantello, sassi) e sia puro. Questo perché, come d'altronde per tutti gli atti previsti dalla Legge islamica (Sharia), è richiesto lo stato di purità legale (Tahra), ottenibile con lavacri parziali o totali del corpo, mentre il luogo della preghiera deve essere esente da evidenti sporcizie che potrebbero contaminare chi col terreno debba aver contatto, come appunto accade nella Salāt. I pavimenti delle moschee sono interamente coperti di tappeti (il fedele entra scalzo nella moschea). Una delle massime manifestazioni artistiche del mondo musulmano è rappresentato dal tappeto(sajjāda) che ha un particolare utilizzo, infatti il tappeto riveste un ruolo fondamentale nel mondo islamico: il suo compito è quello di impedire il contatto diretto tra il suolo impuro, e il fedele impegnato nella preghiera. L'impiego dei tappeti per questo uso risale ai primi tempi dell'Islam, ed è sempre di quei tempi la tradizione di donare tappeti alle moschee. 
I tappeti da preghiera riprendono, nel loro impianto grafico, i principali elementi architettonici delle moschee: in particolare non può mancare il Mihrab, che rappresenta la piccola nicchia coperta da un arco che, proprio nelle moschee, indica la direzione della Mecca, la lampada, sempre accesa nei luoghi di culto per indicare l'immortalità del divino, il simbolo del tempio di fuoco, che rappresenta un tempio poligonale con ben 20 o 28 lati, secondo una complessa tipologia edilizia impiegata nella Persia e adottata anche in epoca islamica. Ricorrente è infine l'ascia bipenne cioè a doppio fendente, dal significato simbolico con valenza dualistica, poiché comunica la dicotomia del potere in grado al contempo di promuovere il bene e di distruggere. Tra le diverse rappresentazioni grafiche che caratterizzano questi manufatti una citazione particolare merita la cosiddetta "Mano di Fatima", che spesso compare in forma stilizzata e indica la posizione del tappeto sulla quale il fedele si appoggia durante la preghiera. La mano di Fatima ha nel mondo islamico un preciso significato: le cinque dita aperte richiamano infatti i cinque pilastri fondamentali dell'Islam. Spesso nei tappeti da preghiera di trovano anche decorazioni floreali e vasche d'acqua, tutte riconducibili al tema del giardino. 

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lunedì 10 novembre 2014

Jeddah



Per alcuni il nome di Jeddah (scritta anche Gidda, Jedda, Jiddah, Jidda o Judda; italiano: Gedda), seconda città più grande dell’Arabia Saudita dopo la capitale Riyad, significherebbe “spiaggia”, essendo situata lungo le sponde del Mar Rosso e costituendo uno dei maggiori porti commerciali del paese. Tuttavia, secondo i più, il nome sarebbe dovuto a un’antica leggenda, che affonda le radici in lontane tradizioni popolari ancora narrate, nelle sere magiche d’oriente, dagli anziani del luogo. Pare che la tomba di Eva, nonna dell’umanità intera, si trovi proprio a Jeddah: ecco giustificata l’etimologia derivante da “jadda”, parola araba che significa “nonna”. La leggenda ha preso piede a un punto tale che le autorità religiose, nel 1975, si sono viste costrette a sigillare con il calcestruzzo l’ipotetica tomba, per proteggerla dai fedeli wahabiti che si ritrovavano in grandi folle a pregare presso di essa.



giovedì 23 ottobre 2014

25 ottobre 2014 : capodanno islamico



Benvenuto anno 1436!
Il 25 ottobre ha inizio il mese di Muhàrram, primo mese dell’anno per il calendario islamico. È uno dei quattro mesi sacri dell’anno. Il suo nome è connesso con la parola ḥaram che significa “proibito, tabù” e difatti in questo mese era considerato tabù fare la guerra, e si rinunciava a combattere per rispetto dell’Islam. Dal momento che il calendario islamico è rigidamente lunare, il mese di Muhàrram non ha una posizione fissa rispetto al calendario gregoriano. 
Il capodanno islamico celebrato dai musulmani è una festa tranquilla e sobria, durante la quale la gente si riunisce nelle moschee e celebra delle preghiere speciali affinché il nuovo anno cominci nella gioia e nella pace. Questo è il giorno in cui si commemora l'Egira, cioè la fuga di Maometto dalla Mecca, da cui il mondo musulmano comincia a contare gli anni. Nonostante non sia una festa ricca e “di gala”, come siamo abituati a pensare noi, la tendenza più recente che si sta sviluppando in questa parte del mondo include lo scambio di biglietti di Capodanno e di regali, tuttavia, il modo di affrontare il capodanno musulmano cambia a seconda del tipo di religione in cui si crede. Ad esempio, i musulmani sciiti non prendono parte alle festività del Capodanno, ma preferiscono commemorare la battaglia di Karbala e osservare un mese di lutto. In ricordo di Muhàrram, gli sciiti celebrano e rievocano delle scene della battaglia di Karbala, nelle proprie moschee. Addirittura ci sono molti uomini che si battono il petto o camminano a piedi nudi sui carboni per ricordare le sofferenze passate. La commemorazione si conclude con il decimo giorno di Muhàrram, chiamato Ashurah. Neanche i musulmani sunniti partecipano alle tradizioni di Capodanno, dato che in questo primo giorno dell'anno, Abu Bakr, primo califfo islamico, morì. 


venerdì 3 ottobre 2014

Eid al- Adha è il 4 ottobre 2014



Eid al - Adha, in India, si chiama Bakr Id, a causa del sacrificio tradizionale di una capra che in urdu si dice bakri. Questa festa religiosa musulmana è conosciuta con nomi diversi a seconda del paese dove si celebra e così abbiamo Eid ul Zuha, Greater Eid, Qurbani Eid, Eid al- Kabir ( Festa Grande) e altri ancora…
La parola Eid in arabo vuol dire festa mentre Qurbani e Zuha significano entrambi sacrificio. Eid al- Adha o Bakr Id si celebra alla fine dell’Hajj ( pellegrinaggio annuale alla Mecca) e  70 giorni dopo l’Eid al Fitr ( festa che segna la fine del Ramadan). 
Viene festeggiato sia dai sunniti che dagli sciiti.

sabato 20 settembre 2014

Il matrimonio in Medio Oriente


Il matrimonio tradizionale, in Medio Oriente, e' una festa vissuta dall'intera comunità. A differenza di quanto accade in Occidente, infatti, ai festeggiamenti partecipano non soltanto i parenti e gli amici, ma tutti i conoscenti, i vicini di casa e frotte di bambini alla perenne ricerca di feste cui partecipare. I festeggiamenti di matrimonio durano, di norma, tre giorni. Durante I primi due, gli sposi partecipano a feste separate, ciascuna organizzata in casa dei propri genitori. Le donne ballano e cantano canzoni folkloristiche al ritmo del tamburo tradizionale, gli uomini s'intrattengono conversando e bevendo tè o caffè. Nel pomeriggio del secondo giorno di festa, lo sposo, accompagnato dagli amici e dai parenti, che, per strada danno vita allo zaffe, corteo augurale con canti tipici, va ad incontrare la futura moglie, cui porterà in dono oggetti d'oro (bracciali, collane, anelli, orecchini) che lui stesso aiuterà ad indossare. La sposa, vestita con un abito colorato di rosa, azzurro o dorato, l'attenderà, circondata dalle sorelle e dalle amiche. In tale occasione vengono offerte dolci e bibite, oltre all'immancabile tè. Quella sera stessa, in casa della sposa, si svolge il rito dell' henna. Vi partecipano tutte le donne della famiglia e le amiche della sposa, che la aiuteranno ad abbellirsi e prepararsi per il giorno dopo, quando avverrà il matrimonio vero e proprio e la ragazza lascerà la casa paterna per unirsi al marito. La sposa viene aiutata a lavarsi, e le vengono spalmate addosso oli e crème profumate. In ultimo viene preparata la pasta di henna, colorante naturale, con la quale la sposa si tingerà i capelli e con la quale le donne si tingeranno, reciprocamente, il palmo delle mani con disegni augurali. Il giorno seguente, di solito il venerdì - giorno festivo nei paesi islamici - e' la giornata finale dei festeggiamenti. In casa dei genitori dello sposo si prepara il pranzo di nozze, cui vengono invitati a partecipare tutti, anche i semplici passanti. Vassoi colmi di cibo vengono inviati ai poveri dei dintorni ed ai vicini che non sono intervenuti al pranzo di nozze; solitamente vengono preparati piatti a base di agnello. Dopo il pranzo, lo sposo, accompagnato dai familiari e dagli amici (che per l'occasione addobbano macchine e speciali pullman dove prendono posto gli ospiti - e dove, immancabilmente, la festa prosegue al ritmo delle canzoni popolari), si reca a casa della sposa, vestita questa volta col tradizionale abito bianco e con indosso i gioielli dono di nozze, e, insieme a tutti gli ospiti, termineranno la serata nella sala dell'ultimo festeggiamento, dove si canterà e danzerà fino a notte inoltrata. I festeggiamenti per il matrimonio sono molto importanti, in Medio Oriente, e coinvolgono tutta la comunità, secondo il detto del Profeta : "Partecipate alle feste di matrimonio e onoratele in maniera conveniente. La differenza tra un'unione lecita e una illecita risiede nei festeggiamenti”. Dal punto di vista legale, il matrimonio e' un contratto civile che viene firmato dai due sposi, consenzienti e liberi, alla presenza di un talib, uomo pio che ricorda agli sposi gli impegni ed il profondo significato religioso del matrimonio e della formazione di una nuova famiglia, nucleo basilare della società. Presenti alla firma devono essere due testimoni, I quali giurano davanti a Dio che l'assenso dei due sposi al matrimonio e' spontaneo, pena l'annullamento dello stesso. Al termine del rito civile, e prima dei festeggiamenti, lo sposo e' tenuto a corrispondere alla sposa il mahr, dono di nozze o dote, liberamente scelto dalla donna e di sua esclusiva proprietà.

mercoledì 3 settembre 2014

Una danza chiamata dabka


La dabka (in arabo: دبكة) è una danza folkloristica popolare prevalentemente maschile diffusa nei paesi del Medio Oriente, soprattutto in Libano, Siria, Palestina e Iraq. Il nome deriva dal verbo arabo yadbuk che significa battere i piedi per terra; i danzatori infatti battono i piedi per terra con marce e ritmi che cambiano al variare del ritmo della musica. La danza rappresenta l'amore per la propria terra e soprattutto l'unione tra le persone; esprime sentimenti di gioia e viene praticata in occasioni felici, come matrimoni, ma anche nascite e giornate di raccolta.
Si danza sempre in gruppo e i danzatori disposti in cerchio o semicerchio, procedono in fila indiana, ognuno con la mano destra nella mano del danzatore precedente e la sinistra tenuta di solito dietro la schiena del danzatore seguente.  Il primo della fila (di solito il più esperto nella danza) è il conduttore del ballo e tutti gli altri lo seguono al ritmo della musica, sempre accompagnata da strumenti a percussione classici arabi, come la darbouka. La danza non ha regole precise: l'improvvisazione è molto praticata, ma quando si gira in tondo bisogna sempre ruotare in senso antiorario. La dabka non è soltanto accompagnata dalla musica, ma anche da canzoni e le danze sono spesso precedute da particolari poesie, le mawwal, caratterizzate da rime e parole con doppio o triplo senso. Tra i palestinesi si ballano  soprattutto due tipi di dabke, il shamaliyya e il sha’rawiyya, mentre il niswaniyyah è ballato soprattutto dalle donne. 
Ci sono sei tipi principali di dabke:
-Al-Shamaliyya (الشمالية): è probabilmente il più famoso tipo di dabka. Si compone di un lawweeh (لويح) a capo di un gruppo di uomini che si tengono per mano e ballano formando un semicerchio. Il lawweeh deve essere particolarmente abile nella precisione e nella improvvisazione. In genere, la dabka inizia con un un assolo per poi continuare con due cantanti che accompagnano la musica. Questa è la forma più popolare di dabka ballata per feste in famiglia come matrimoni, circoncisioni, il ritorno di viaggiatori, il rilascio dei prigionieri, e anche per le festività nazionali.     
-Al-Sha’rawiyya (الشعراوية): è ballata esclusivamente da uomini ed è caratterizzata da ritmi forti. Il lawweeh è l'elemento più importante in questo tipo di dabka.
-Al-Karaadiyya (الكرادية): è caratterizzata dalla mancanza del lawweeh e da un movimento lento con un azif (عازف) (flautista) al centro del cerchio.
-Al-Farah (الفره): è uno dei tipi di ballo più attivi e richiede un alto livello di forma fisica.
-Al-Ghazal (الغزل): è caratterizzata da tre forti calpestii del piede destro ed è di solito faticoso per chi danza.
-Al-Sahja (السحجة): è una danza popolare palestinese e giordana che si balla soprattutto nel nord e centro Israele e nei Territori palestinesi. Nel sud invece si hanno altri due tipi di dabka: As-Samir (السامر) e Al-Dahiyya (الدحية). As-Samir coinvolge 2 file di uomini che si fronteggiano, in competizione con la poesia popolare, a volte le rime sono improvvisate e si scambiano anche insulti, gareggiando in bravura. 
Al-Dahiyya è una versione beduina dello stesso tipo, in cui vi è un ballerino professionista che danza tra due pareti opposte di uomini che sono in competizione per attirare  la sua attenzione. Al-Sahja di solito si balla la sera prima della festa di nozze dello sposo (zafat al-'arees), con la partecipazione della maggior parte degli uomini del villaggio.
La Oxford Encyclopedia Internazionale di Danza menziona anche altri due tipi di dabka: 

Il Murdah originariamente eseguita dalle donne nel Golfo, mentre gli uomini della comunità erano in mare per la pesca. Qui vi sono due linee di ballerini che si muovono l'uno verso l'altro con piccoli passi per poi ritirarsi. La musica è accompagnata da distici in rima che sono, in gran parte, lamenti per i propri cari assenti.
Il Ahwash (fr. ahouache) eseguita dalle tribù berbere marocchine dell’Alto Atlante. I ballerini formano un cerchio o un’ellisse  comprendenti una o più linee curve di uomini e una o più linee curve di donne, intorno a batteristi maschi. Una linea recita una poesia e l'altra linea risponde con un altro poema; poi tutti si muovono al ritmo dei tamburi. Una danza simile in Marocco è il Dukkala. Un uomo e una donna uno di fronte all'altro gareggiano per vedere chi riesce a ballare più a lungo.

video: https://www.youtube.com/watch?v=46Hiz0j-XB0

venerdì 8 agosto 2014

La mezzaluna islamica


bandiera turca

La luna con una stella è il simbolo internazionalmente riconosciuto per la fede islamica ed è presente su alcune bandiere di stati musulmani come Azerbaigian, Turchia, Maldive, Pakistan, Turkmenistan, Uzbekistan, Algeria, Mauritania e Tunisia.  Il simbolo che ha un'origine molto antecedente alla nascita dell'Islam, risale al IV secolo a.C., quando Filippo II di Macedonia, nell'anno 340 o 341 a.C. mise sotto assedio la città di Bisanzio. Favorite da una notte particolarmente scura, le truppe macedoni si avvicinarono silenziosamente alle mura della città, con l'intenzione di scalarle e cogliere il nemico di sorpresa. Mentre attuavano il piano, un vento improvviso disperse le nuvole e la luce diffusa dalla luna crescente bastò alle sentinelle per rendersi conto dell'attacco e dare l'allarme.La reazione immediata e vigorosa dei difensori e l'ormai troppa vicinanza alle mura degli assalitori causò forti perdite nelle file dei Macedoni che furono costretti a desistere e togliere l'assedio. Il simbolo della luna crescente fu quindi scolpito in moltissimi manufatti in pietra della città, quale ringraziamento alla divinità. I Turchi Ottomani che diciotto secoli più tardi conquistarono Bisanzio, dopo l'assedio del 1453, videro questo simbolo impresso in ogni parte della città e lo adottarono, supponendolo dotato di grande potenza magica. Fu con l'Impero Ottomano che la Mezzaluna divenne uno dei simboli della cultura islamica ma essendo un’antica icona pagana, molti stati, ancora oggi, si rifiutano di riconoscerlo come emblema della fede islamica. Non a caso la mezzaluna non compare nella bandiera dell'Arabia Saudita, stato islamico per antonomasia e nemmeno in quella dell'Iran, stato teocratico ispirato all'islamismo sciita. Bisogna comunque sottolineare che le prime  comunità musulmane non avevano simboli definiti. Al tempo del Profeta Maometto, le armate islamiche utilizzavano bandiere colorate (solitamente nere, verdi o bianche) per identificarsi. La mezzaluna, intesa come la nuova luna crescente, sta ad indicare la luce che illumina le oscurità di ogni tipo come l'ignoranza e la miscredenza. La stella a cinque punte invece é stata introdotta nelle bandiere dopo l'impero ottomano, perché il nome del Profeta Muhammad scritto in arabo appare proprio come una stella a cinque punte inoltre  si dice anche che le cinque punte rappresentino i Cinque pilastri dell’Islam. Vi sono comunque diverse leggende che narrano l’origine della mezzaluna come simbolo religioso per i musulmani: si racconta infatti che la notte in cui Istanbul fu conquistata dal sultano Muhammad nel 1453, una luminosa stella apparve fra le punte della falce di luna. Per questo si scelse la mezzaluna con la stella come simbolo della conquista turca e come tale fu aggiunta alla bandiera nazionale. Un'altra leggenda narra che il sultano ottomano Murad I, dopo aver battuto le armate cristiane nei Balcani nel 1389, camminando nel campo di battaglia rimase impressionato da una tavola gettata al suolo e completamente ricoperta di sangue. Su di essa si rifletteva la falce di luna e Murad decise che quel quadro, una luna crescente in un campo rosso, diventasse la bandiera turca.Un'altra spiegazione, stavolta "scientifica" vuole che la falce e la stella rappresentino la congiunzione fra Luna e Venere che si verificò all'alba del 23 luglio 610. Alcuni ritengono che sia esattamente la notte in cui il Profeta Maometto ricevette la sua iniziale rivelazione da Dio.

martedì 22 luglio 2014

Esplorando le antiche tradizioni della Palestina

Ciò che i nostri nonni ci hanno raccontato di come era la loro vita in Palestina prima dello sradicamento


Le condoglianze 

Quando una persona moriva, la vita nei villaggi si fermava. Uomini e donne ricevevano le condoglianze in stanze diverse della casa. Agli uomini si serviva caffe' nero, mentre le donne si lamentavano ed intonavano canti tradizionali in memoria del defunto. Durante il periodo del lutto stretto, che durava normalmente tre giorni, il cibo veniva offerto dai parenti, gli amici ed i vicini di casa della persona deceduta, ma tutti gli abitanti del villaggio erano tenuti a partecipare al lutto, portando in dono ai familiari del morto riso e caffe'. Questi ultimi di solito indossavano abiti bianchi, il colore tradizionale del lutto e, per tutta la durata del periodo, evitavano di cucinare cibi "delle feste", come torte, biscotti e il kobbe, un piatto augurale a base di carne e grano.

Il fidanzamento 

Nei tempi passati, il fidanzamento veniva di solito "combinato" dalle famiglie, anche se era comunque necessario il consenso dei due giovani coinvolti. Le iniziali richieste di fidanzamento avvenivano, di norma, tra le donne delle famiglie. Solo se le donne trovavano un'intesa, entravano in campo gli uomini. Di solito il padre e gli zii del ragazzo chiedevano ufficialmente la mano della giovane ambita e, se la richiesta era accettata, si concordava l'ammontare della dote (dono nuziale in oro che lo sposo era tenuto a versare alla sposa) e, dinanzi ad almeno due testimoni, la lettura del primo capitolo del Corano sanciva l'avvenuto fidanzamento.

Il matrimonio

Nei matrimoni, la sposa e le donne della sua famiglia indossavano i thobe, bellissimi abiti tradizionali ricamati a mano secondo l'antica arte del punto a croce palestinese. L'abito della sposa veniva immerso in acqua profumata, le sue mani ed i suoi piedi decorati con henna. Le celebrazioni del matrimonio duravano di norma un'intera settimana, durante la quale tutti, conoscenti, amici, concittadini e parenti, partecipavano alle feste in onore degli sposi. Amici e vicini di casa offrivano in dono sacchi di riso, agnello e caffe', mentre i parenti donavano oro, denaro e pezzi di mobilio alla nuova coppia. Le canzoni matrimoniali, tradizionalmente, contenevano una nota di tristezza, come quella cantata dalle giovani spose che lasciavano le proprie madri per una nuova casa:
"Mamma mamma, conserva il mio cuscino per quando tornerò
 Mamma, mamma, non piangerò baciando i miei fratelli e le mie sorelle
 Mamma, mamma, conserva il mio fazzoletto per me
 Per quando andrò a salutare tutti i miei amici".
La notte delle nozze, lo sposo e la sposa, a cavallo, facevano un giro augurale per il villaggio, fino a raggiungere la piazza principale, dove i ragazzi cominciavano a ballare il debki (o dabka). I giovani formavano due file opposte, mentre le ragazze danzavano al centro delle file. Era d'obbligo che la madre e le sorelle dello sposo danzassero il debke.
Infine, veniva preparato uno speciale piatto per gli sposi: agnello ripieno di riso e noci, di solito offerto dalle nonne o, comunque, dai membri anziani della famiglia. La mattina successiva, la colazione per gli sposi veniva preparata dalle madri e consumata insieme ai quattro genitori.

Fonte: http://www.arabcomint.com/

venerdì 27 giugno 2014

Ramadan nel mondo: Egitto


Un proverbio egiziano dice: 'Se non avete visto il Ramadan celebrato in Egitto, allora non avete visto le celebrazioni!’  e questo per sottolineare quanto siano speciali le tradizioni che accompagnano il mese sacro in questo paese.
Pochi giorni prima l'inizio del Ramadan, e fino alla fine del mese, le strade si riempiono di persone indaffarate per i preparativi. Dolci, biscotti e torte, come konafah, basbousah, e katayef si preparano ovunque. Il qamar eldin (succo di albicocca) lo si trova su ogni tavola assieme al medamis (fave), allo zabadi (yogurt) e ai deliziosi e colorati vasetti di torshi baladi (sottaceti fatti in casa). In alcune parti del paese, soprattutto nelle grandi città come Il Cairo, la solidarietà sociale è espressa sotto forma di "banchetti di carità". Ricchi uomini d'affari pagano il loro zakat (elemosina annuale) acquistando cibo per i poveri che non possono permettersi i mezzi per rompere il digiuno. Quasi in ogni angolo di strada si trovano tavoli e sedie, dove viene distribuito il cibo gratuito per chi è nel bisogno. 
Prima dell'alba, per tutto il mese, il Musaharti (Al-Mesarahaty) inizia il suo lavoro. Il Musaharati è colui che sveglia la gente per avvertirla che è l’ora del Sahour (pasto pre-alba). Camminando per le strade batte su un piccolo tamburo, a volte cantando e gridando. In alcuni piccoli villaggi egli può anche stare di fronte a ogni casa e chiamare ogni abitante con il loro nome, per svegliarli. Una delle sue canzoni tradizionali è "Suhur, suhur / Es ha ya Nayem / Wahed el Dayem / Ramadan Kareem / Es ha ya Nayem, wahed el Razzaq", "Svegliatevi voi che dormite, pregate per l'eternità, felice Ramadan , Dio è Colui che vi manda il vostro sostentamento ". Il Mesarahaty non prende alcun compenso per questo lavoro notturno, ma è consuetudine alla fine del Ramadan dare del denaro o un regalo per i suoi sforzi. 
Lo sparo di un cannone , noto anche come 'Haja Fatemah', segna l'alba e il tramonto e segnala quindi il tempo per iniziare e terminare il digiuno. Si racconta che, quando il sultano mamelucco Al-Zaher Seif Al-Din Zenki Khashqodom ricevette in regalo un cannone da un conoscente tedesco, i suoi soldati lo testarono sparando un colpo al tramonto. Essendo nel mese di Ramadan  lo sparo coincise con il momento della rottura del digiuno e gli abitanti del Cairo pensarono che il Sultano li stesse avvertendo per l’ iftar. I dignitari di corte, rendendosi conto che una tale usanza avrebbe potuto aumentare la popolarità del Sultano, gli suggerirono  di continuare la pratica.
Si racconta anche che fu la moglie del sultano, Haja Fatemah, a ricevere i tedeschi venuti a consegnare il dono,  dato che il Sultano non era in casa, ed è  per questo che il cannone porta il suo nome.
Per tutto il mese, ogni moschea, edificio, strada e vicolo si illuminano decorati con le fanous (lanterne). Dopo 30 giorni di digiuno, i musulmani egiziani festeggiano l’ Eid al-Fitr in grande stile. E’ ancora un colpo di cannone sparato al crepuscolo a dare il via a tre giorni di festa in cui le persone indossano vestiti nuovi, visitano parenti e amici e si preparano grandi feste. Gite sul fiume Nilo con le feluca(barche a vela)  sono una caratteristica speciale di queste celebrazioni nei pressi del Cairo.

                                               
 

venerdì 6 giugno 2014

Egitto: l'oasi di Siwa.



Conosciuta anche come la "città da un milione di palme", la grande oasi di Siwa si trova nel deserto egiziano nord-occidentale, nella profonda depressione di Qattarah, vicino al confine con la Libia ed è una delle ultime oasi al mondo rimaste incontaminate. Migliaia di anni di isolamento in un vasto e spietato deserto hanno permesso alla comunità Siwa di sviluppare tradizioni uniche culturali, tecniche costruttive, stili di ricamo e di sistemi di produzione agricola che sono notevoli per la loro bellezza e armonia con l'ambiente naturale. Gli abitanti di questa oasi parlano il dialetto berbero e possiedono una cultura diversa da quella del resto del Paese. In questa città è impossibile avvicinarsi ad una donna. Siwa infatti è rinomata come una delle città più tradizionaliste dell’Egitto. La vita delle donne qui è regolata da tradizioni molto rigide che gestiscono ogni aspetto della loro vita, dall’abbigliamento, diverso a secondo del proprio stato civile, alla possibilità di avere qualsiasi tipo di contatto con uomini esterni alla propria famiglia, o tribù,  alla possibilità di muoversi autonomamente fuori casa. Un piccolo Museo, detto Casa di Siwa, contiene una modesta esposizione di indumenti e utensili tradizionali.