sabato 25 gennaio 2014

Marocco: la medina

Medina di Fes

La città araba tradizionale, o medina, vista dall’alto assomiglia ad un labirinto, ad un mosaico di alveoli color ocra, beige, marrone scuro o rosa legati gli uni agli altri, dai quali emergono eleganti minareti e cupole rivestite di tegole verdi. La medina ha conservato la forma del XII secolo, ossia quello di un agglomerato chiuso in se stesso, al riparo dalle incursioni nemiche e dalle lotte dinastiche così frequenti in quel tempo ed è racchiusa entro spesse mura color sabbia interrotte da porte monumentali e scandita da massicce torri merlate. A Marrakech 200 torri quadrate punteggiano i 19 km della cerchia; a Meknes, nel ‘600, una tripla muraglia lunga 40 km, munita di cammino di ronda, piattaforme per i cannoni e 20 porte, circondava la medina e gli innumerevoli palazzi del sultano Moulay  Ismail. L’apparente disordine che si presenta come un garbuglio di stradine, vicoli ciechi, passaggi coperti e scalinate, cela in realtà un’organizzazione che risponde ad una logica. Strutturata intorno al centro religioso (la Grande Moschea, quella del venerdì, in cui tutti i credenti convergono per la preghiera comune) e ai suq, la medina tiene ben distinte vita privata e vita sociale. Nei pressi della Grande Moschea e del centro commerciale non ci sono abitazioni. E’ il luogo delle madrase, dei mausolei, degli hammam, dei fondouk ( eredi degli antichi caravanserragli, oggi ospitano laboratori artigianali). I quartieri residenziali formano nuclei a se stanti.
Gli assi stradali fondamentali collegano le porte della cinta lungo le direttrici nord- sud ed est- ovest, intersecando strette stradine che si ramificano a loro volta in vicoli, ciechi o non, di uso esclusivo degli abitanti. La medina è suddivisa in quartieri per gruppi sociali, confraternite e corporazioni. Vi regna il silenzio, in forte contrasto con l’attività animata e chiassosa dei suq. Ogni quartiere mantiene una propria autonomia e proprie strutture comunitarie: la moschea, il forno pubblico dove ogni famiglia si reca, al mattino presto, per portare a cuocere il pane, un hammam dove a uomini e donne è riservato un giorno della settimana, una drogheria fornita dei generi di prima necessità( olio, carbone, zucchero e spezie), una scuola coranica, una fontana a cui attingere l’acqua. 
Nelle abitazioni modeste, come nelle ricche dimore, l’intimità è preservata dietro facciate cieche ed austere, interrotte da pesanti portoni di legno ornati di chiodi forgiate e di mani di bronzo-unica concessione alla decorazione esterna- e ovviamente sbarrati. Rare finestre si celano dietro griglie di ferro a volute o a musharabiya. 
La casa marocchina è un universo chiuso, da cui non traspaiono lusso e confort. L’interno, invece, riflette lo spirito del padrone di casa: il numero di dependance, di logge, le dimensioni del riad e la profusione di arredi dipendono dalla ricchezza e dal rango sociale del proprietario. Modesta o agiata, la dar (“casa” in arabo) è l’abitazione più ricorrente nella medina. Si entra attraverso un piccolo corridoio sbieco che non rivela subito i segreti della casa: questa si articola attorno ad un patio, a un cortile squadrato a cielo aperto che lascia entrare l’aria fresca e su cui affacciano le stanze lunghe e strette. Il primo piano, quando esiste, è costituito da una galleria sovrastante il patio e da alcune stanze. Dal cortile, il riad, originariamente giardino chiuso d’ispirazione andalusa, prende nome per estensione la casa d’abitazione cittadina.

tratto da : "Marocco" di Marie - Pascal Rauzier 

domenica 15 dicembre 2013

Le fondamentali differenze tra islamismo e cristianesimo


L’islam ed il cristianesimo sono due religioni che hanno molti aspetti comuni, ma hanno anche fondamentali differenze. Ciò che le accomuna è il fatto che sono entrambe religioni monoteiste che fanno risalire le proprie radici ad Abramo. Ambedue credono nella rivelazione, nei messaggeri (apostoli), nelle scritture, nella profezia, nella risurrezione dei morti e nella centralità della comunità religiosa.  La dimensione comunitaria è molto importante sia per il cristianesimo, che ritrova questo elemento nella chiesa,  sia per l’islam  che lo ritrova nella “umma”, parola araba che significa appunto comunità ed in questo caso è intesa come comunità di fedeli. Detto questo è necessario fare un confronto con il cristianesimo scoprendo le principali differenze. 
Innanzi tutto i musulmani credono in un solo Dio (monoteismo assoluto) che è un'entità unica (cioè non c’è né il “Figlio” né lo “Spirito Santo”). I cristiani invece, credono in un Dio Uno e Trino, cioè nella Trinità: Padre, Figlio e Spirito Santo.
Per i musulmani
Gesù Cristo  non è non è il Figlio di Dio, non è Dio, non è la seconda Persona della Trinità, ma è un profeta, un uomo inviato da Dio. Gesù  è solo uno dei 25 profeti di cui parla il Corano, e non è il più importante, in quanto il più importante è Muhammad. Inoltre nel Corano si dice che Gesù non è morto in croce, perché Dio lo ha sottratto alla morte portandolo in cielo.
• Maria è la madre del profeta Gesù e non è riconosciuta come “Madre di Dio.”
Maria è una delle quattro donne elette, citata nel Corano assieme a Kadigia e A'isa (due delle mogli del profeta) e a Fatima (la figlia del profeta). E' particolarmente benedetta, scelta fra le donne e purificata sin dalla nascita. Vergine per eccellenza, è molto devota e credente in Dio. Riceve l'annuncio di un bambino che nascerà da lei senza concorso umano, per effetto della parola creatrice di Dio. 

sabato 16 novembre 2013

La moschea galleggiante di Malacca - Masjid Selat Melaka


Malacca o Melaka, capitale dello stato malese di Malacca, è una città ricca di architettura e di storia. Fondata da un principe rifugiato che si chiamava Parameswara, divenne in poco tempo un punto potente e nevralgico del commercio tra oriente ed occidente. Spezie, oro, seta, tè, oppio, tabacco e profumi attirarono l’attenzione degli imperi coloniali dell’occidente, e più tardi Malacca fu governata da portoghesi, olandesi e inglesi. In molte parti della città è ancora evidente l’atmosfera del passato, impressa nell’architettura e nei palazzi, ma Malacca è anche una città in rapido sviluppo che abbraccia nuove idee e tecnologie.
Un esempio è la Malacca Straits Moschea o Masjid Selat Melaka in malese, costruita su un'isola artificiale (Malacca Island o Pulau Melaka), a ridosso della città. Inizialmente il progetto incontrò molte difficoltà. Dapprima gli ambientalisti si opposero alla posizione dell’isola in quanto nella zona vi erano molti reperti storici sommersi, come relitti di navi portoghesi, ora sepolti per sempre sotto tonnellate di rocce e sabbia, poi l'ambizioso progetto di costruzione attraversò difficoltà finanziarie a causa della crisi economica globale. Così i lavori iniziati nel 1996 videro la fine solo nel 2006 quando la moschea fu inaugurata ufficialmente dal re della Malesia.
L’ edificio, che sorge direttamente sulla spiaggia, poggia su palafitte  ed è stato progettato in modo tale che, quando la marea è alta, si crea l’illusione che galleggi sull’acqua. Per questo motivo la moschea è anche conosciuta con il nome di moschea galleggiante di Malacca. Il suo stile architettonico è molto interessante, unico e molto diverso dalle antiche moschee dello stato di Malacca. La cupola dorata è in stile mediorientale mentre le quattro torrette angolari sono sormontate da tipici tetti malesi. La facciata è decorata con vetrate in stile islamico ed il minareto ha un design sorprendente e insolito molto simile ad un faro. La struttura può ospitare fino a 2.000 fedeli.


domenica 27 ottobre 2013

La jambiya


La jambiya è un pugnale con la punta ricurva che tutti gli uomini yemeniti sfoggiano infilato in un cinturone. Ha origini arabe pre-islamiche molto remote e la raffigurazione più antica risale al VII/VI sec. a.C.; si tratta di una statua del re imiarita Shebam, rinvenuta in una località della Penisola Araba chiamata Ma'di Karb.
Questo particolare tipo di pugnale è formato da una lama di acciaio lucidissima, affilata su entrambi i lati e con una linea centrale in rilievo, ma il vero capolavoro è costituito dall' impugnatura che spesso è prodotta con materiali rari e pregiati, come il corno di rinoceronte, l'avorio, l’alabastro, o particolari paste vitree ed è decorata molto finemente con oro ed argento, filigrana, pietre dure e monete a volte molto preziose. Il bel colore ambrato che assume il materiale utilizzato, con il passar del tempo, ne aumenta il pregio. Anche il fodero, che di solito è di legno ricoperto con vari materiali, è decorato con molta cura ed applicato ad un cinturone di cuoio alto 5/7 cm, generalmente foderato di tessuto, con una fibbia che si allaccia sulla schiena.
La jambiya si tramanda da padre in figlio e rivela informazioni sul suo proprietario. Si può capire se è ricco o povero e quale  posto occupa nella società: semplice cittadino, autorità religiosa, capo tribù, sceicco, fedele che ha effettuato il Pellegrinaggio alla Mecca. 
Un uomo senza la sua jambiya si sente incompleto, non a caso un antico proverbio yemenita dice che “un uomo senza jambiya è un uomo morto “, inoltre, colui che la perde o la abbandona è profondamente disprezzato; è un simbolo di virilità al quale non rinunciano neppure gli uomini più umili, come mendicanti e carcerati.
Le migliori jambiya vengono prodotte nel suq di Sa'na, dove si possono trovare accanto a semplici manufatti economici con l' impugnatura di legno, delle autentiche costosissime opere d' arte. La più costosa in assoluto è stata acquistata per oltre un milione di dollari dallo sceicco Naji Bin Abdulaziz Al Shaif; si tratta di un pezzo che si può ritenere "storico" in quanto, a sua volta, appartenne all' Imam Ahmed Hamid Al Din che guidò lo Yemen dal 1948 al 1962. In passato la jambiya simboleggiava l’ingresso nell’età adulta dell’uomo e veniva usata durante conflitti e duelli; oggi più che essere un’arma, è simbolo di virilità e di forza, portata con orgoglio dagli uomini yemeniti e quasi accessorio ed ornamento dell’abito tradizionale maschile. Anche se non mancano risse nelle quali si brandiscono i pugnali, ormai la jambiya viene sfoderata il più delle volte per accompagnare danze tradizionali in occasioni di feste e matrimoni. Al ritmo di tamburi, gli uomini danzano in cerchio sfoderando la jambiya che conferisce loro prestigio sociale.

http://granellidisabbia-najim.blogspot.it/p/video.html

sabato 5 ottobre 2013

Il caffè nel mondo arabo : curiosità

Beduino di Wadi Rum

Per i beduini  giordani del deserto di Wadi Rum, il caffè è un elemento essenziale della loro vita sociale e lo bevono nelle loro riunioni, nelle feste e durante i lutti.  Agli ospiti  ne offrono tre tazze, ciascuna sufficiente per un boccone. 
La prima è la coppa dell’ospite (in arabo: fonjan thaif al) che onora l’arrivo dell’ospite.La seconda tazza è la coppa della spada (in arabo: fonjan al saif), un calice che onora il coraggio degli uomini beduini e la terza è la coppa dell’ umore (in arabo: al fonjan kaif) che è segno di buonumore. Tra i beduini, il consumo di caffè segna anche il passaggio dalla fanciullezza all’età adulta e in tempi passati le tribù erano solite sanare i loro conflitti sotto la tenda di un mediatore che li invitava a bere il caffè e a fare la pace. Ancora ai giorni nostri,  la richiesta della mano di una donna da parte di un giovane beduino, prevede che questi visiti la tenda dei futuri suoceri per ottenere il consenso dal padre della ragazza e la preparazione e il servizio del caffè arabo accompagnano ogni momento della"trattativa". Anche in Siria, lontano dai grandi centri urbani, le promesse spose devono superare la prova del servizio del caffè per dimostrare a marito e suocera di essere delle brave mogli.
In Turchia c’è una tradizione molto simpatica: quando il pretendente, accompagnato dal padre, fa visita alla famiglia della promessa sposa per chiederne la mano, il rituale  vuole che prima di iniziare il discorso venga servito il caffè. Se la ragazza non ricambia l’interesse verso il pretendente, può decidere di evitare una situazione di imbarazzo con un chiaro segnale: un pizzico di sale nel suo caffè.

mercoledì 18 settembre 2013

I festival del Marocco

Festival del Gnaoua


In Marocco si tengono festival tradizionali e culturali che attraggono marocchini e turisti; alcuni sono molto antichi, altri sono più moderni, ma tutti sono da non perdere.
- Festival della fioritura dei mandorli ( febbraio)
Celebra l’inizio della stagione della fioritura primaverile e si tiene nella valle di Ameln vicino a Tafraoute.
Marathon des Sables (marzo/ aprile)
Una corsa a piedi di 7 giorni attraverso il deserto che parte e arriva a Ouarzazate.
Festival delle rose ( maggio)
Festeggiamenti per la raccolta delle rose nella valle di El-Keela M’ Gouna vicino a Ouarzazate.
Festival della musica sacra mondiale ( maggio/giugno/luglio)
Manifestazione di 9 giorni che ha luogo a Fès, attira visitatori anche da altri paesi.
Festival delle ciliegie ( giugno)
Tenuto a Sefrou, questo festival dura 3 giorni e offre musica e danza in quantità, culminando con l’incoronazione della regina delle ciliegie.
Festival del folklore nazionale ( giugno)
Una manifestazione che celebra la musica e la danza berbere e si tiene a Marrakech.
Festival del Gnaoua e delle world music (giugno)
Per questa manifestazione, considerata da molti il festival più popolare del Marocco, migliaia di visitatori confluiscono nella cittadina portuale di Essaouira. Nel 2004 si sono esibiti i Wailers( quelli di Bob Marley and the Wairles), attirando un numero record di turisti da tutto il mondo.
Festival internazionale di Rabat (giugno/ luglio)
Musicisti da tutta l’Africa convergono nella capitale per questa manifestazione, che fa anche da sfondo a un piccolo festival cinematografico.
Festival internazionale della cultura (luglio/ agosto)
Aslah, una cittadina portuale, è la sede di questo festival artistico che celebra sia l’arte contemporanea sia l’arte marocchina tradizionale e che è particolarmente adatto per le famiglie.
Festival del matrimonio ( settembre)
Un festival di 3 giorni che si tiene a Imilchil e che negli ultimi anni è stato molto sfruttato dall’ufficio nazionale marocchino per il turismo. Durante il festival le ragazze berbere scelgono i futuri mariti e firmano contratti di fidanzamento.
Festival cinematografico internazionale (date variabili) 
Manifestazione cinematografica, che attira molti attori, registi e cineasti; si svolge a Marrakech e sta diventando un evento d’elite. Dura una settimana e presenta film di varia provenienza, ma in particolare pellicole arabe e africane.

Tratto da “Marocco” di York Jillian


venerdì 23 agosto 2013

Buzkashi: lo sport dell'Afghanistan



Buzkashi, che tradotto letteralmente significa "acchiappa la pecora", è lo sport nazionale dell'Afghanistan.
Il gioco 
Si pratica su un grande campo quadrato il cui lato misura 400 metri. Qui, una carcassa di capra (boz) o di vitello senza testa è posta al centro di un cerchio e circondata dai giocatori delle due squadre opposte. Lo scopo del gioco, è ottenere il controllo della carcassa e portarla nella zona punti. Tradizionalmente il gioco veniva praticato come "tutti contro tutti", fu in un secondo tempo che si decise di suddividere i giocatori  in due squadre di chapandoz (cavalieri). Ci sono due versioni di Buzkashi: il Tudabarai e il Qarajai. Tudabarai è relativamente più semplice rispetto a Qarajai, anche se condividono gli stessi obiettivi. I premi per il vincitore consistono in denaro, abiti o turbanti. 
I giocatori
Di solito, in ogni squadra ci sono 10-12 giocatori. Per proteggersi dalle cadute indossano abiti pesanti: un lungo cappotto di pelle con pelliccia e  un cappello pure in pelliccia. Sono infatti frequenti gravi infortuni causati dagli urti e dalle cadute da cavallo. La maggior parte di loro continua a giocare la partita anche  con costole incrinate o con fratture perché per i giocatori è preferibile tornare a casa “macchiati  di sangue”, ma da coraggiosi, piuttosto che sani e salvi, ma da codardi. 
I chapandaz
I giocatori che hanno acquisito competenze elevate nel gioco sono chiamati chapandaz. Solo dopo un lungo periodo di difficile addestramento , si può diventare un bravi chapandaz  (di solito hanno un’ età superiore ai quarant'anni).
 La 'palla'
La “palla” del gioco è la carcassa di una capra o di un vitello. La testa e le interiora dell’animale vengono rimossi, e le gambe tagliate al ginocchio. La carcassa viene poi messa a bagno in acqua fredda per 24 ore per indurirla in modo che non si rompa facilmente.
Attrezzatura 
I giocatori utilizzano una piccola  frusta in pelle grezza che viene tenuta tra i denti quando non è usata. 
Cavalli
I giocatori non sono gli unici a dover seguire l’addestramento, anche i cavalli che partecipano al buzkashi devono allenarsi per cinque anni prima di avere risultati sul campo da gioco. Il cavallo deve sapere quando galoppare a tutta velocità e saper aspettare quando il giocatore cade da cavallo, dandogli il tempo di rimontare. Buzkashi, è uno sport pericoloso, ma un addestramento  intensivo e un’ottima comunicazione tra il cavallo e cavaliere possono aiutare a minimizzare il rischio di lesioni.
Regole 
Non esistono regole scritte, sono per di più tramandate oralmente e frutto di una lunga tradizione. È ad esempio concesso colpire con il frustino sia  il cavallo avversario che  il cavaliere, spingersi e strattonarsi. Inoltre, nessuno può legare la carcassa alla sua sella o colpire l'avversario sulla mano per strappare la capra. 
Origine
L'origine di questo gioco sembra risalire ai tempi della prima invasione dei Mongoli di Gengis Khan: si racconta che i prigionieri che venivano catturati in battaglia, venissero posti in mezzo ad uno spazio piuttosto vasto come oggetto di contenzioso da parte dei soldati; si aggiudicava il possesso del prigioniero, il cavaliere che riusciva ad afferrarlo dopo una sfrenata corsa a cavallo. Più avanti negli anni, l’oggetto della violenta contesa era la mandria del nemico.
Per molti afgani, il Buzkashi non è solo un gioco, ma un modo di vivere, un modo in cui il lavoro di squadra e la comunicazione sono essenziali per avere successo. 


domenica 28 luglio 2013

La Pietra Nera


Incastonata nell’angolo orientale della Ka 'ba, l’antica costruzione  di pietra, verso la quale i musulmani pregano, nel centro della Grande Moschea a La Mecca, c'è la Pietra Nera  ( Al-hajar Al –aswad), uno degli oggetti più sacri dell’Islam. Essa è costituita  da tre grandi pezzi e da alcuni frammenti  tenuti insieme da una cornice rotonda d’argento. Il culto di questo misterioso oggetto, che secondo gli studiosi occidentali è un meteorite, risale all’epoca preislamica, ma secondo una leggenda islamica altro non è che la pietra che fu data ad Adamo dopo la sua cacciata dal paradiso terrestre, come segno del perdurare della benedizione divina su di lui. Secondo un’altra leggenda, la pietra era in origine bianca e quando passò nelle mani del patriarca Abramo era di una bianchezza così abbagliante da essere visibile da ogni luogo della terra. La pietra sacra sarebbe diventata nera solo dopo , nel corso dei secoli, a causa dell’assorbimento dei peccati di tutti i fedeli che da allora l’hanno toccata e baciata, liberandosi così dalle conseguenze delle loro colpe.
Durante il pellegrinaggio che ha luogo ogni anno, tra l'ottavo ed il tredicesimo giorno del Dhul Hijjah, il 12esimo mese del calendario lunare musulmano,  i fedeli compiono il "tawaf" la circumambulazione, per sette volte ed in senso anti-orario, della Ka'aba, simbolo dell'unicita' di Dio e possono toccare o baciare la Pietra Nera.

lunedì 8 luglio 2013

Ramadan nel mondo: Tunisia

boutbila durante il Ramadan

Anche in  Tunisia, come in tanti altri paesi islamici, la gente inizia a prepararsi per il sacro mese del Ramadan, molti giorni prima del suo arrivo. Le case e le moschee vengono addobbate e le città illuminate a festa. Negozi e mercati sono aperti fino a tarda notte. Al mattino può succedere di svegliarsi al suono  dei tamburi boutbila (drummers) che girovagano per i quartieri ricordando a tutti, di mangiare e bere prima dell’alba in modo da poter essere preparati per le lunghe ore di digiuno.
In questo mese si respira un'atmosfera profondamente religiosa nelle più antiche moschee del paese, come la moschea Zaytuna e la Uqba Ibn Nafiee moschea di Kairouan dove sono migliaia i visitatori, provenienti da paesi arabi e islamici. Durante ogni Ramadan le autorità tunisine organizzano nelle moschee, più di 400 gare di recitazione del Sacro Corano che vedono la partecipazione di oltre 15 paesi arabi e musulmani. Queste gare si svolgono in diverse sezioni ed hanno come obbiettivo l’approfondimento della conoscenza della cultura coranica.
In questo mese si rafforza anche  la solidarietà e lo spirito di comunità della società tunisina. In varie parti del paese, si dà assistenza alle famiglie povere offrendo doni e denaro alle famiglie bisognose.

https://www.youtube.com/watch?v=gQ-iIUuLhqo


                                               Ramadan Kareem


martedì 25 giugno 2013

il suq marocchino

il suq di Fes

Il suq è il cuore commerciale della medina e si sviluppa attorno alla Grande Moschea secondo una precisa gerarchia. Nelle immediate vicinanze del luogo di culto hanno sede le corporazioni delle attività di maggior “lusso”: orefici, rilegatori, librai, cambiavalute; man mano che ci si allontana i prodotti esposti diventano di uso più corrente. A ridosso delle mura di cinta hanno sede le concerie e le fucine dei maniscalchi, le attività più invadenti anche quanto a inquinamento sonoro! Ogni singola categoria artigiana, dagli ottonai ai tessitori, dagli ebanisti ai calzolai, ha una sua propria strada bordata di minuscoli negozi ognuno dei quali, giunta la sera, chiude i battenti ( nel senso proprio del termine in quanto sono battenti di legno) per riaprirli il giorno seguente. Gli artigiani preservano con dedizione il proprio mestiere, ripetendo instancabilmente i gesti tramandati di padre in figlio o appresi sotto l’ala protettrice del maalem. Nei laboratori del suq dei tintori, i lavoranti rimestano la lana, il cotone e la seta nelle vasche variopinte; fuori, il cielo si intravede appena tra le matasse di lana e i tessuti già tinti messi ad asciugare su canne tese sulla strada. Il suq dei tappeti si anima tutti i giorni al momento dell’asta pomeridiana, allorché i venditori smerciano i tessuti prodotti dalle tribù berbere. Il rame, il bronzo e l’ottone vengono lavorati al suono incessante delle mazze nel quartiere degli ottonai; sotto i colpi ritmati degli artigiani nascono lanterne, vassoi, piatti e bollitori per il tè. Nel suq dei cestai gli uomini intrecciano con destrezza panieri e canestri di dum (foglie di palma nana) o di listelli di canna. I fabbricanti di babbucce non si limitano più ad offrire i tradizionali modelli in giallo o in bianco, come una volta: le versioni odierne sono vere e proprie opere d’arte, ricamate con fili d’oro,d’argento o di seta. Nel suq delle spezie ci si inebria degli aromi di cumino, zafferano, cannella, curcuma  e molti altri, venduti sfusi sui banchi, mentre in quello dell’ henné le erbe curative tradizionali sono esposte accanto ai prodotti di bellezza, al kohol e al ghassoul. Altro spazio odoroso è quello occupato dal suq degli ebanisti, pervaso dall’ essenza di cedro. Il legno viene trasformato in tavolini, bauli, scacchiere e suppellettili vari. Poco più il là altri artigiani squadrano con speciali scalpelli, i tasselli di terracotta smaltata che combinati tra loro formeranno mosaici multicolori, gli zellij. Nel suq dei conciatori gli uomini stanno immersi fino alla vita nelle fosse rotonde riempite di tannanti, a pestare instancabilmente pelli di pecora, montone o di vacca.
Nelle minuscole botteghe, poste una di fronte all’altra, l’affastellamento di mercanzie ha del vertiginoso: nel suq ogni minimo spazio è dedicato al commercio e i prodotti debordano ovunque dai baracchini.
Il mercato costituisce un polo d’attrazione sociale, un luogo oltre che di approvvigionamento, d’incontro e di scambio. È al suq che si saldano i debiti e si  contrattano i matrimoni. I commercianti sono riuniti per specialità e i contadini, raggruppati tra loro, espongono al suolo i prodotti del loro piccolo campo, pesando frutta e verdura su bilancine d’altri tempi.
Al calar del sole, pesanti portoni di legno si chiudono isolando il suq dal resto della città.

tratto da : "Marocco" di Marie - Pascal Rauzier  

https://www.youtube.com/watch?v=mxLYD7CLj3w


venerdì 7 giugno 2013

il Corano


Il Corano è il testo sacro dell’Islam, è la parola di Dio dettata alla lettera e senza intermediazione umana. In arabo “al-Qurʾān” significa “ recitazione”, “ lettura ad alta voce” e deriva dalla parola iqra (leggere). Il Corano è composto da 114 sure o capitoli (letteralmente “righe”), ordinati approssimativamente in ordine decrescente di lunghezza, da un massimo di 286 a minimo di 3 versetti. L’eccezione più importante è costituita dalla prima sura, al-Fātiḥa ( l’Aprente), un’invocazione di sette versetti ripetuta nel corso delle cinque preghiere che i musulmani devono recitare ogni giorno. I versetti sono chiamati āyāt ( segni).
“Iqra’ bi-smi Rabbika lladhi khalq: Leggi! In nome del tuo Signore che ha creato….”.secondo lo stesso Corano, questo è il primo versetto della più antica sura dettata a Maometto dall’arcangelo Gabriele sul monte Hira nei pressi della Mecca. Era l’anno 610 e per Maometto, che a quel tempo aveva 40 anni, iniziava la missione profetica  durata ben 23 anni. Il testo del Corano è stato rivelato passo dopo passo, affrontando i bisogni immediati della popolazione e dando loro il tempo di crescere e sviluppare la  fede. Secondo i musulmani, il Corano contiene la rivelazione definitiva e completa di Dio. Infatti Allah si sarebbe rivelato prima attraverso la Torah (libro sacro degli ebrei), poi attraverso i Vangeli (cristiani), ma ebrei e cristiani avrebbero falsificato questi libri e così quello che è scritto nel Corano va a correggere il contenuto dei libri precedenti. Il Corano non è stato scritto da Muhammad (la tradizione islamica afferma che non sapeva né leggere né scrivere), ma i suoi seguaci  impararono a memoria le rivelazioni che il profeta recitò loro e talvolta le trascrissero su oggetti come foglie di palma, ossa e pelli di animale. Solo dopo la morte di Maometto ,avvenuta nel 632, i suo fedeli iniziarono a scrivere redazioni complete del Corano, senza più tenere conto dell’ordine cronologico delle rivelazioni che il profeta aveva avuto. Quindi le prime redazioni erano moltissime e molto spesso discordanti tra di loro, ma la versione più famosa è dovuta a Zayd ibn Thābit che costituì il testo ufficiale diffuso in tutto il mondo musulmano, e non più modificato. Il Corano è stato scritto in arabo, la lingua ufficiale in cui pregano tutti i musulmani del mondo e  le sure sono da recitare con voce lenta e melodiosa in  modo che  si possa riflettere sul significato delle parole. Il Libro stesso deve essere trattato con rispetto e attenzione. Si tocca il testo solo quando si è in uno stato di purezza rituale, come per la preghiera. Prima e dopo la lettura si ricorda Dio e si cerca la protezione dal male.
Le decorazioni delle pagine del Corano non prevedono mai immagini di Dio per il divieto di raffigurare Allah, gli esseri umani e gli animali nei luoghi di preghiera. La bellezza della pagina è data quindi dalla qualità della calligrafia.
Milioni e milioni di musulmani e musulmane in tutto il mondo imparano a memoria le centinaia di pagine in arabo che costituiscono il libro. Questo processo è noto con il nome di 'Hifz', che significa 'conservazione'. Una persona che ha memorizzato l'intero Corano si chiama 'Hāfiz' (masch.) e 'Hāfiza' (femm.). Memorizzare il testo del Corano è un modo per garantirne la preservazione nella sua forma autentica nel corso dei secoli.

lunedì 20 maggio 2013

La danza cabila


Originaria della Turchia, la musica cabila ha attraversato tutto il Medio Oriente sino a giungere in Algeria, tra le montane della Cabilia, regione abitata prevalentemente da berberi, da cui ha preso il nome. E’ proprio da questa musica che nasce una danza gioiosa e coinvolgente la cui esecuzione è riservata alle donne. La danza cabila, così si chiama questo ballo, è legata alla celebrazione della raccolta delle olive. Accompagnate dai ritmi ossessivi dei  “tbal” ( tamburi di pelle di pecora) e dei “bendir” ( tamburelli), dal suono un po’ stridente delle “irette” (sorta di trombette) e dai richiami gioiosi delle donne (youyou), le danzatrici sembrano scivolare sul pavimento spinte dal ritmo cadenzato del bacino e da movimenti  rapidi e secchi dei fianchi. Anfore portate in equilibrio sulla testa o foulard dalle frange folte e colorate accompagnano la danza sottolineando il movimento dei fianchi, supplendo allo scarso uso delle braccia proprio di questa tradizione.  E’ una danza molto difficile da eseguire in quanto richiede un totale controllo dei muscoli inferiori e allo stesso tempo lo sforzo di apparire leggere e armoniose. Affascinano e colpiscono gli ampi e coloratissimi costumi tradizionali utilizzati per la danza: la djebba, la foudha, vera e propria divisa delle donne berbere, l’h’zam, una cintura composta da fili di lana intrecciati e culminanti in variopinti pon pon che valorizzano e amplificano il movimento dei fianchi e il mharma, foulard triangolare, nero o a motivi floreali, che copre i capelli ed incornicia il viso. Non mancano, per finire, i gioielli in argento e corallo (o a volte monete e conchiglie) che ornano il corpo della danzatrice.

http://granellidisabbia-najim.blogspot.it/p/video.html


mercoledì 1 maggio 2013

Khan-e Borujerdi


Secondo la leggenda, quando Sayyed Jafar Natanzi, un mercante noto con il nome di Borujerdi, incontrò Sayyed Jafar Tabatabei, per parlare del suo matrimonio con la figlia di quest'ultimo, Agha Tabatabei pose una condizione: sua figlia doveva vivere in una casa bella come quella nella quale era cresciuta. Il risultato, completato circa 18 anni dopo, fu Khan-e Borujerdi ( Kashan, Iran). In origine la casa era divisa in due parti, un *andaruni e un biruni, ma oggi solo l'andiruni è aperto al pubblico. Qui si può ammirare un cortile riccamente decorato con una fontana nel centro. Alla sua estremità splendidi motivi decorano l'arcata d'ingresso **iwan alla sala di ricevimenti, disposta su due piani e arricchita di vetrate, specchi e affreschi eseguiti da Khamal ol - Molk, il principale artista iraniano dell'epoca. In una stanza adiacente, più piccola, il soffitto è decorato con un motivo realizzato a imitazione di un tappeto. Se lo si chiede gentilmente, sarà permesso salire sul tetto per ammirare dall'alto il cortile e i caratteristici "badgir"( torri del vento), dalla cupola esagonale, che hanno reso famoso il palazzo.

Tratto dal libro "Iran" di Andrew Burke,Mark Elliott

* Tradizionalmente le case iraniane avevano un andaruni e un biruni. L'andaruni era la zona più segreta, quella in cui gli estranei non erano ammessi e le donne erano libere di muoversi senza essere viste da persone che non facevano parte della famiglia,   il biruni era la parte più esterna in cui accogliere i visitatori. 

** L'īwān è un elemento tipico dell'architettura islamica. In linea di massima  è un ambiente chiuso e coperto - posto ad un'estremità di una qualsiasi costruzione  (in genere moschea, madrasa o mausoleo) - che si apra verso l'esterno e il cui ingresso sia per lo più sormontato da un arco.


domenica 21 aprile 2013

Sofreh-ye Aghd: il banchetto di nozze iraniano


Una delle principali caratteristiche della cerimonia nuziale persiana è il Sofreh-ye Aghd (banchetto di nozze), un tavolo molto basso e riccamente imbandito la cui preparazione è particolarmente accurata in quanto si  crede, e si spera, che sia di buon auspicio per la vita della coppia. Come altre popolari tradizioni persiane questo evento non ha radici islamiche, bensì nell’antica fede zoroastriana (basata sui quattro elementi della natura: terra, fuoco, acqua,  vento) e proprio per questo è presente in ogni matrimonio iraniano indipendentemente dalla fede degli sposi. Generalmente si imbandisce  il “banchetto” a casa della sposa sul pavimento della camera dove si ufficia la cerimonia, rivolto verso est , dove nasce il sole, in modo tale che gli sposi guardino verso la luce. Sul sofreh, rivestito di un tradizionale panno bianco, non possono mancare :
un grande specchio (ayne-ye bakht), posizionato al centro del tavolo,  per portare luce e luminosità al futuro. Quando la sposa e lo sposo si siedono e la sposa si toglie il velo, la prima cosa che lo sposo deve vedere nello specchio è il riflesso della sua futura moglie.
Due candelabri ( sha’am) ai lati dello specchio, che rappresentano il fuoco e l’energia. 
Un vassoio di spezie (sini-ye aatel-o-baatel) , sette tipi di spezie per proteggere dal malocchio. Questi includono: semi di papavero "khash-khaash", riso selvatico "berenj", angelica "sabzi khoshk", sale "namak" (per accecare il malocchio), semi di nigella "raziyaneh", tè nero "chaay" e incenso "kondor " (per bruciare gli spiriti maligni).
Pane tipo focaccia e formaggio feta (naan-e sangak). Il pane a volte è decorato con scritte di congratulazioni per la coppia "Mobarak Baad" .
Uova decorate, noci, mandorle e nocciole (tokhm-e morgh (uovo) ajil (frutta secca) che simboleggiano la fertilità.
Melograni e mele (anar-o-sib), per un futuro gioioso. I melograni sono frutti del paradiso e le mele simboleggiano la creazione divina del genere umano.
Acqua di rose Gol-Ab per profumare l'aria.
Zucchero cristallizzato (kaas-e nabaat o shaakh-e nabaat), per addolcire la vita della sposa.
Monete d'oro (sekeh). Ricchezza e prosperità.
Una tazza di miele che consumato  subito dopo la cerimonia assicura dolcezza nella vita. La sposa e lo sposo tuffano un dito mignolo nella tazza di miele e si alimentano l’un l’altro.
Il Corano o altre Sacre Scritture a seconda della fede (Ghoraan-e Majid) . Simboleggiano la benedizione di Dio per la coppia. Alcune famiglie aggiungono anche un libro di poesia persiana di Hafez o Rumi.
Dolci e pasticcini (shirini) da dividere con gli invitati. L'assortimento di solito comprende: noghl , baklava , toot (marzapane persiano), naan-e bereneji (biscotti di riso), naan-e badami (biscotti alle mandorle) e naan-nokhodchi (biscotti di ceci) .
Termeh (termeh) seta o stoffa ricamata in oro, tramandata da generazioni, a rappresentare la famiglia e la tradizione.
Due coni di zucchero (kalleh ghand)canditi che vengono sbriciolati, durante la cerimonia,sul telo  tenuto sopra la testa degli sposi  da parenti di sesso femminile non sposate mentre una parente felicemente sposata grattugia lo zucchero come auspicio di una vita piena di dolcezza.
Un braciere "Manghal" con carboni ardenti cosparsi di ruta selvatica "esphand". La ruta selvatica è utilizzato in molte cerimonie zoroastriane, rituali e riti di purificazione. Si crede che tenga lontano il malocchio e che porti  tanta salute.
Il telo di seta o di qualsiasi altro tessuto sottile che viene tenuto sopra la testa degli sposi durante la cerimonia.
Chi vuole può mettere sul sofreh anche un ago e sette fili colorati per cucire figurativamente le labbra delle madri degli sposi  in modo che non possano dire parole sgradevoli o intromettersi nel matrimonio. Per coloro che desiderano mantenere questa usanza rendendola meno offensiva, il significato diventa “cucire le labbra dei pessimisti". 
Un kit da preghiera "jaa-namaaz" per ricordare alla coppia la loro fede. Questo kit comprende un tappeto di preghiera piccolo "sajjaadeh" da stendere sul pavimento, al momento della preghiera, un piccolo cubo di argilla modellata con preghiere scritte su di esso "mohr" e un filo di perle da preghiera "tasbih". 
In una cerimonia nuziale non può mancare neppure la musica e la canzone che tradizionalmente viene suonata quando la coppia entra nella stanza, è un motivetto allegro dal titolo “ Bada Bada Mobarak”.

lunedì 8 aprile 2013

Marocco: le case dell'Alto Atlante


Le case di pisé (terra cruda) dell'Alto Atlante, costruite sui versanti montuosi, sembrano sorgere direttamente dalla terra e s’ incastrano le une alle altre formando un tutt'uno di tetti e terrazzi rivolti a levante. Costruite per fronteggiare i rigori dell'inverno, le case montane vengono costruite con cura. Il pisé, materiale da costruzione più diffuso in questa zona, serve da copertura per muri e tetti delle case ed è un impasto di terra cruda più o meno argillosa e acqua con l'aggiunta facoltativa di paglia e brecciame. Si inizia a costruire usando per le fondamenta pietroni di calcare estratto direttamente dal monte. Il pisè viene poi versato in una cassaforma di legno, fatta di grosse assi legate da traverse. All'interno di questa forma un operaio comprime la terra pestandola con i piedi e poi la batte con un pesante maglio di legno. Quando la terra è secca , la forma viene rimossa e appoggiata accanto al blocco precedente. L'operazione viene ripetuta fila dopo fila. Il tetto è la parte della casa che richiede più cura. Di forma piatta viene utilizzato come terrazza, essicatoio per mais o noci, cortile o cucina. Una volta eretti i muri in pisé  vi si dispongono sopra in orizzontale, nel senso della lunghezza, grosse travi di quercia e di pioppo rozzamente sgrossate e sopra ancora, perpendicolarmente, pertiche di ginepro ben strette tra loro. Dopo aver creato un'intercapedine compatta di sterpaglie, si copre il tutto con terra battuta argillosa a garanzia della tenuta stagna del tetto. Lo spesso strato di erba secca che sporge vistosamente dal perimetro dei muri serve ad impedire che l'acqua grondi sul muro sottostante.
L'acqua piovana e la neve sono infatti i peggior nemici del pisé e vanno costantemente eliminati. Normalmente ogni 4 o 5 anni il tetto viene rifatto. Un tempo le finestre delle case erano poche e chiuse dall'interno con scuri di legno, ovvero schermate da trafori di musharabiya. Le abitazioni più recenti presentano maggiori aperture e sono più frequenti i telai muniti di vetri alle finestre. Le porte d'ingresso piccole e basse, sono tenute sempre chiuse a protezione dell'intimità della casa.