venerdì 17 aprile 2009

Sahara : l'origine del nome

Leggenda berbera

Quando il buon Dio ritenne fosse giunto il momento di realizzare questa nostra valle di lacrime, radunò tutto il suo staff e buttò giù un badget ben preciso per stabilire come organizzare il mondo. Tra le tante dicisioni prese vi fu quella di ricoprire di una lussureggiante vegetazione tutta l'Africa. Quando vide realizzata l'opera, si rese conto dello sproposito che gli sarebbe costata la manutenzione di un così vasto territorio verde. Fece due conti e si accorse che sarebbe inevitabilmente finito fuori preventivo. chiamò il suo funzionario addetto alle ristrutturazioni (l'aveva scelto tra il personale francese), tracciò un ampio cerchio con il pennarello rosso, in corrispondenza della zona sulla quale intervenire e disse: "Coupe mois ca à ras!" Vale a dire, radimi a zero tutto questo. Ora estrapolando dalla frase l'espressione "ca à ras" (foneticamente Sa-a-ra ) ecco ottenuto, con un pizzico d'immaginazione, il Sahara. Qualcuno potrebbe obiettare che il significato della parola Sahara, ha delle basi un pò meno fantasiose. Vogliamo dire che ha origine da un sostantivo arabo che significa semplicemente terra sterile o morta?. Diciamolo pure, ma che cosa c'è di meglio di una favola per rendere l'incanto e la magia di questi luoghi?

sabato 14 marzo 2009

L'olio d'argan


L'argan è un albero molto longevo (può arrivare fino a 150-200 anni di età)simile all'olivo ed esiste soltanto sulla costa meridionale del Marocco, tra Safi (a nord) e Goulimime (a sud), in una zona arida, povera e d'estate caldissima
Il frutto che produce è una bacca di colore verde, simile ad un oliva ma di dimensioni maggiori. Al suo interno contiene una nocciolo particolarmente duro che a sua volta racchiude due o più mandorle da cui si estrae il famoso olio d'argan.
Sono necessari cinquanta chili di bacche per produrre mezzo litro di olio; una resa bassissima, a fronte di una lavorazione lunga e laboriosa. La produzione è compito prevalentemente femminile: di madre in figlia le donne si tramandano saperi e gesti antichi. Con movimenti ripetitivi e rapidissimi e con l'aiuto di un sasso rompono i gusci duri dei noccioli, estraggono le armelline e poi le tritano. Alla pasta ottenuta aggiungono una piccola quantità di acqua tiepida per facilitare l'estrazione dell'olio quando la miscela sarà pressata in un piccolo mulino casalingo fatto di due pietre rotanti. Il colore dell'olio d'argan è dorato intenso, il sapore è netto, di nocciola, con uno spiccato aroma tostato. Se ne aggiungono poche gocce al termine della cottura del "cuscus", nelle "taijne" di pesce e di carne e nelle "crudités". Può essere consumato anche crudo, su di una semplice fetta di pane.
Unito alle mandorle e al miele, è ingrediente dell'"amlou beldi", la crema tradizionale che ancora oggi si offre ai visitatori, assieme al pane e al tè alla menta, come segno di benvenuto. Nelle campagne è usanza dare ai neonati, come primo alimento, poche gocce di questo olio. E poi, con l'argan, si idrata la pelle, si ungono i capelli, si curano le cicatrici.

curiosità

Gli alberi di Argan piacciono molto anche alle capre marocchine e nonostante siano protetti da spine, permettono a questi animali di arrampicarsi anche sui rami più sottili per brucare le foglie più tenere e gustose.

domenica 22 febbraio 2009

Il rituale del pasto




Se dovessimo scegliere due aggettivi per definire la tavola e l'accoglienza araba useremmo generosità e prodigalità. Un detto del Profeta Muhammad diceva :”Cibo di due è sufficiente per tre, e cibo di tre è sufficiente per quattro” ciò riassume la filosofia che sta alla base dell’ospitalità tipica degli arabi: offrire cibo all’ospite è parte integrante della loro vita. L’ospite viene trattato come uno di casa e viene messo il più possibile a suo agio. Costume delle donne arabe è nutrire l’invitato prima e più di se stesse. Rifiutare qualche portata della cena è un’offesa verso i padroni di casa, che lo interpretano come un mancato apprezzamento dell’ospitalità. Prima di mettersi a tavola è importante lavarsi le mani e, prima di iniziare il pasto, pronunciare le parole di rito " bismi Allah " ( in nome di Dio) con cui si invoca la benedizione del cibo; alla fine del pasto per ringraziare si dirà “al-hamdu li-llah ( grazie a Dio). Il pasto tipico tradizionale viene consumato stando seduti su dei cuscini o sul tappeto, intorno ad un tavolo basso attingendo da un grande vassoio posto al centro tavola (siniyyah). Non esiste il primo e il secondo, ma un pranzo con diverse portate servite nello stesso momento sul tavolo. Il cibo si prende e si mangia usando le proprie mani, più precisamente utilizzando tre dita della mano destra, e aiutandosi con del pane tipicamente arabo, non si usano posate. Il pane è l’elemento base di ogni pasto, mangiarlo in compagnia è simbolo di amicizia. All’ospite viene offerto del o del caffè ma mai il vino perché proibito dalla religione. Il buon musulmano anche a tavola deve rispettare alcune regole:
• Ricordarsi sempre che Dio è il dispensatore
• Essere soddisfatti di ciò che Dio ha dispensato
• Mangiare dal piatto di fronte a sé

• Prendere dei pezzi minuti

• Masticare bene

• Non fissare gli altri commensali, sarebbe maleducazione

La cena si termina con l’esclamazione della parola “sahteyn” che significa “due volte la salute a voi”.


domenica 25 gennaio 2009

La Catena montuosa dell'Atlante

La Catena dell'Atlante è un sistema montuoso dell'Africa del Nord che si estende tra il Marocco, l'Algeria e la Tunisia. Il suo nome berbero è Adrar n Dern ( il Monte dei Monti).
La leggenda narra che nei tempi antichi, Atlante era un dio greco che viveva nel mar Mediterraneo; era un titano che si batteva contro altri giganti, e un giorno, dopo aver perso un'importante battaglia, venne a nascondersi sulle sponde dell'Africa: quando si distese per dormire, posò la testa in Tunisia e allungò i piedi fino a Marrakech. Il "letto" era così comodo che non si svegliò mai più e diventò una montagna. La neve visitava Atlante regolarmente ogni anno per mesi e lui pareva felice di sentirsi i piedi bloccati nelle sabbie del deserto e ammiccava i passanti dalla sua regale prigione.


giovedì 1 gennaio 2009

Strumenti musicali arabi


Nella danza orientale, inizialmente erano il battito delle mani, lo schioccare delle dita e il canto, gli unici accompagnamenti musicali. In seguito nacquero strumenti a percussione seguiti da quelli melodici , dapprima suonati dalle stesse danzatrici, poi quando questi divennero più complessi fu necessario ricorrere a un gruppo di suonatori. In questa danza diversi sono gli strumenti usati.
LAUD (Al Ud) ( fig 1) é lo strumento più noto ed importante della musica Araba. Di derivazione del più antico strumento persiano,chiamato "Barbat", l’ "Ud" che letteralmente significa legno, assume questo nome quando fu adottata la tavola armonica in legno in sostituzione di quella originaria in pergamena. Tra l’VIII ed il X secolo aveva solo quattro corde che rappresentavano i quattro elementi fondamentali della natura: fuoco, acqua, terra e aria. Nel XV secolo il numero delle corde aumentò a sei. Conosciuto anche dagli antichi Egizi, Assiri, Cinesi e Persiani, oggi è l’unico strumento capace di seguire tutte le melodie è’ il principe degli strumenti musicali e simbolo della musica araba moderna e tradizionale. Preferito dai compositori, accompagna normalmente i cantanti solisti.
ZAGAT o cimbali ( fig 2) è uno strumento formato da due paia di piattini metallici, ciascuno di 6 cm. di diametro che si mettono sul dito medio e sul pollice di ciascuna mano e si usano come accompagnamento alla musica.
QANUN ( fig 3 ) discende della antica arpa egiziana, ha un ruolo importante nella musica araba già dal X secolo. E’ uno strumento di ottone e legno a forma trapezoidale che possiede 72 corde accordate a gruppi di tre, le modulazioni e i cambi di tono sono dovute a piccole alette di bronzo che si stringono quando si vuole aumentare il suono di una nota. Lo strumento viene poggiato orizzontalmente sulle ginocchia o sul tavolo del musicista che lo suona pizzicando le corde con le dita o con plettri applicati agli indici.
REQ ( fig 4 )significa “delicato”. La cornice circolare in legno è costituita da piattini di metallo e ricoperta su un lato da pelle di capra o di pesce. Il suono di questo strumento a percussione tiene il ritmo nella musica araba, specialmente nelle esecuzioni di brani classici.Conosciuto anche come tamburello egiziano.
DUFF ( fig 5 ) è simile al “req” ma non possiede piattini e ha un diametro tra i 30 e i 50 centimetri. La cornice circolare è ricoperta da un lato con pelle di capra. Utilizzato nella musica popolare e religiosa, è conosciuto anche con il nome di ADUFE.
NAY ( fig 6 )è lo strumento musicale più antico creato dagli Egizi nell’epoca faraonica con il gambo della canna (pianta selvatica che cresce ai margini degli innumerevoli canali che affluiscono al Nilo).La lunghezza oscilla tra i 37 e gli 80 cm. - minor lunghezza corrisponde a suono più acuto - e ha 7 fori, di cui uno nella parte inferiore. Il suo timbro poetico si adatta ad effetti melanconici che possono esprimere sia gioia che disperazione.Fin dai tempi antichi gli arabi hanno utilizzato il flauto per accompagnare recite di poesie.
DARBUKA o tabla ( fig 7) strumento a percussione utilizzato nella musica classica, popolare e moderna araba. Anticamente la forma cilindrica veniva fatta con terracotta e sulla bocca superiore veniva tesa pelle di pesce. Attualmente si trova più facilmente in alluminio e plastica perchè più resistente all’umidità. Chiamato anche "iI cuore della musica araba".
RABAB ( fig 8) viene utilizzato nella musica popolare in Egitto e, in Iraq, nella musica classica. Strumento composto di un manico largo di legno che termina con due tasselli laterali. La cassa di risonanza è piccola, ricavata dall’armatura del cocco e ricoperta di pelle animale. Dotato di due corde di crine di cavallo accordato in casa, si suona con l’aiuto di un arco.
ZURNA o Mizmar ( fig 9) è una specie di oboe tradizionale che possiede 7 fori nella parte frontale e uno nella parte posteriore. Strumento comune nei paesi arabo-islamici, viene utilizzato in tutta la musica folcloristica dell’Egitto. Lo troviamo anche nella musica popolare del Magreb con il nome di “Mizud”.

testo e immagini tratti da http://www.salua.it/

lunedì 1 dicembre 2008

Le concerie di Fes

Showara, la più importante, si trova tra le casupole della casbah. Si tratta di un vasto spazio dove sono state scavate tante vasche rotonde, affiancate le une alle altre come la superficie di un alveare. E' divisa in due aree:
- quella della vasche bianche, colme di calce, dove il pellame grezzo viene ammorbidito
- e quella delle vasche colorate, che contengono tra l'altro guano di piccione ( aiuta a fissare i colori) usate per tingere le pelli lasciate in ammollo per 4 giorni.
Gli operai lavorano le pelli stando immersi con i piedi e le gambe.
Ai turisti viene dato un rametto di menta da annusare per resistere al nauseabondo odore che si sprigiona.

lunedì 3 novembre 2008

Tuareg: gli ultimi uomini liberi



Detti "uomini blu" dal caratteristico turbante blu scuro che indossano e dal velo che copre sempre il loro viso (litham), vivono nella desolata distesa del Sahara centrale. Discendenti dei berberi, hanno mantenuto inalterata o quasi, la purezza della razza, rimanendo fedeli a tradizioni e culture vecchie di secoli. Il nome Tuareg, al singolare Targhi, è stato dato loro dagli arabi e sta a significare "gli abbandonati da Dio ", per via della loro opposizione alla dottrina di Maometto. Convertiti all’Islam 1200 anni fa dagli arabi, i Tuareg hanno mantenuto intatte credenze pagane, o quantomeno, pre-musulmane:
- è l’uomo e non la donna a tenere il volto coperto
- non sono soliti pregare cinque volte al giorno rivolti verso la Mecca
- sono monogami
- sono convinti che gli alberi e le pietre possiedano un'anima e realizzano amuleti per tenere lontani i "jinn", gli spiriti maligni che abiterebbero il Sahara.
Un tempo predoni feroci oggi vivono di pastorizia praticata dai loro servi. L'ordinamento sociale dei Tuareg si basa sulla distinzione di quattro classi: i nobili, i vassalli, i servi e gli operai. I nobili costituiscono la classe più pura ed eleggono il re. Se un uomo possiede più schiavi di quanti gliene occorrano, concede loro la libertà, ma solo se sono giovani e forti abbastanza per provvedere al proprio sostentamento. Schiavi vecchi e malati non vengono mai liberati e il loro padrone li deve mantenere.
I Tuareg che posseggono terre, vivono in villaggi dove le case sono rettangolari con tetto a terrazza, costituite da mattoni e da pietre; le abitazioni dei nomadi invece, sono le tende o le capanne montabili. Generalmente la tenda è formata da una copertura fatta da numerose pelli di muflone o di pecora cucite tra loro ed è sostenuta al centro da un alto palo; i lati estremi vengono fissati a tanti pali più corti, infissi saldamente a terra.
La società è di tipo matriarcale: le donne Tuareg, vanno a volto scoperto, godono di molte libertà e prendono parte alle decisioni che guidano le comunità. La tradizione vuole che siano state proprio loro a introdurre tra gli uomini l'uso del "taguelmust". Sono le depositarie principali della scrittura e quindi responsabili dell'educazione dei figli. Circa la metà di tutti i bambini sono orfani di madre, infatti, più di 2/3 delle donne muoiono dando alla luce i propri figli. Se un bambino perde la madre, viene accolto subito da un'altra famiglia ed allevato con lo stesso amore che si ha per un figlio proprio. L'unico mezzo di educazione è una parola di rimprovero o di monito. Battere un bambino è considerato crudele.
La rapina non è calcolata come delitto ma atto eroico. Il ladrocinio è invece ritenuto infamante e perfino gli schiavi non rubano. Un assassinio si vendica con un assassinio.
La maggior ricchezza di questo popolo è costituita dal bestiame ovino e dai cammelli, anche il sale è molto importante per l'economia dei tuareg, con esso barattano tè, zucchero, stoffe, saggina, stuoie, sorgo. I Tuareg sono gente molto sana e difficilmente si ammalano. La sera, si ritrovano seduti intorno ai fuochi raccontando storie per grandi e piccoli.



mercoledì 15 ottobre 2008

La mano di Fatima


Simbolo comunemente usato per tenere lontano il malocchio è la mano di Fatima, la figlia prediletta del Profeta Maometto. La leggenda racconta che Fatima, stava preparando la cena quando arrivò il marito Alì in compagnia di una bella e giovanissima concubina. Fatima ne fu addolorata al punto che si confuse nei movimenti e mise la mano nell'acqua bollente; era talmente dispiaciuta e assorta nei suoi pensieri, che non sentì alcun dolore, ma Alì accortosi si gettò su di lei urlando per salvarla. Da allora la mano di Fatima divenne un simbolo di serietà e autorevolezza. Si ritiene inoltre che la raffigurazione della sua mano o del numero cinque abbiano un effetto analogo al protendere metaforicamente le dita contro il malocchio, pronunciando le parole "khamsa fi ainek "(cinque nel tuo occhio)

venerdì 26 settembre 2008

Le festività islamiche


Le festività più importanti nel mondo islamico sono di natura religiosa e sono stabilite dal calendario islamico

Il capodanno islamico in arabo ra's al-ssanat, si festeggia il 1° giorno del mese di muharram ed è la commemorazione dell’Egira, migrazione del profeta Muhammad dalla Mecca a Medina , segna l'inizio dell'anno lunare islamico ed ha il senso di abbandonare l'idolatria e iniziare una nuova vita

L’Ashura, il 10 di muharram, (arabo:عاشوراء , da ashara, "dieci") è una festività celebrata in modi diversi e con motivazioni diverse, nel modo islamico. Per i sunniti è un giorno di festa, ricorda il passaggio del Mare Rosso da parte delle tribù d'Israele, guidate dal profeta Mosè. Per gli sciiti è un giorno di lutto in ricordo della morte dell' Imam Hussein (nipote del Profeta Muhammad e figlio di Ali ibn Abi Talib) , che secondo la tradizione fu ucciso e decapitato nel settimo secolo.
Uomini e bambini in camicia nera sfilano in corteo al suono ossessivo dei tamburi e si autoflagellano in segno di lutto e di espiazione, per non aver mantenuto la promessa di aiutare Hussein, lasciandolo solo, con 72 compagni, a soccombere all'armata del califfo omayyade Yazid nella piana di Kerbala, nel 680.

Il Mawlid An- Nabi(arabo:مولد , mawlid ), si celebra nel mese di Rabì al-àwwal ( il 12 per i sanniti e il 17 per gli sciiti).E’la ricorrenza della nascita del profeta Maometto che avvenne nell’anno 570 d.C. da Abdallah ed Amina, facenti parte della tribù dei Coreisciti.

Isra’a wal mi’raj (Lailat al Esraà ua al Miraj). Si commemora il ventisettesimo giorno di Rajab e si celebra l’ascensione del Profeta fino al trono di Dio, passando per Mecca e Gerusalemme, in una sola notte.

Ramadan .Il primo giorno di Ramadan è l’nizio del digiuno di 30 giorni dall’alba al tramonto durante il quale si ricorda la rivelazione del Corano al profeta Muhammad. Il digiuno (sawm) è il quarto "pilastro" della fede musulmana.

Laylatul-qadr (la Notte del Destino), parte dell’umma islamica ritiene che essa cada nel 27° giorno del mese di Ramadan, quello che si sa con certezza è che cade sicuramente negli ultimi 10 giorni del mese ed è la notte in cui è scesa la prima rivelazione del Corano, una notte che “è migliore di mille mesi” (Corano, Sura XCVII, v. 3) In questa notte santa gli angeli scendono sulla terra con le benedizioni del Signore, portando ad ogni cosa il suo destino.

Aid al- fitr, (arabo: ﻋﻴﺪ ﺍﻟﻔﻄﺮ) costituisce la seconda festività religiosa più importante della cultura islamica è la festa della rottura del digiuno, detta “la piccola festività”, segno di gioia per la fine di un lungo periodo penitenziale. Inizia con una preghiera congregazionale di ringraziamento .

Dhu l-hìjja,( arabo:ذو الحجة) Il primo giorno del mese dà inizio al pellegrinaggio alla Mecca (Hajj) Nel nono giorno si commemora Al waqfa ala Arafah (la sosta su Arafah), ricorrenza della sosta dei pellegrini nella pianura di Arafah (una montagna ad est della Mecca), momento culminante del pellegrinaggio che è il quinto pilastro della fede islamica.

Aid al-Adha detta anche “festa grande” Aid al-kabīr (عيد ﺍﻟﻜﺒﻴﺮ ) o "festa del sacrificio", si festeggia il decimo giorno del mese di dhu l-hijja. Questa festa ricorda la sottomissione di Abramo che, messo alla prova da Dio, è disponibile a offrire in sacrificio il figlio Ismael. È anche la conclusione del pellegrinaggio che si svolge nei primi giorni del mese. Per la comunità musulmana è la festa più importante, inizia con una grande preghiera pubblica e ogni famiglia sacrifica un montone che divide eventualmente con i poveri. È anche un momento di riconciliazione.


QQQ

lunedì 1 settembre 2008

Ramadan رمضان



Il Ramadan, nell'Islam, è il mese dell'anno deputato al digiuno; ogni giorno inizia all'alba e finisce al tramonto. Tutti i musulmani in grado di digiunare, sono tenuti a rispettarlo per tutta la durata del mese.
L'inizio del digiuno dovrebbe coincidere con il primo giorno di luna nuova del mese lunare, mentre l'ultimo giorno dovrebbe essere determinato dalla luna nuova di Shawwal che è il mese che segue il Ramadan.
Ogni giorno si inizia il digiuno dopo un pasto particolare (detto al-suhur), prima dell'alba, con la dichiarazione dell'intenzione di digiunare; dopo questo pasto ci si astiene dall'assunzione di qualsiasi cibo o bevanda fino al richiamo della preghiera del maghrib ( tramonto), quando il digiuno viene interrotto da un pasto chiamato iftar (alla lettera, colazione). I giorni di digiuno non rispettati, a causa di una temporanea malattia, di un viaggio o di ogni altra ragione, dovrebbero essere riparati a discrezione dell'individuo. Durante il digiuno, i fedeli sono tenuti a prendersi cura dei poveri e a fare atti di carità. Se, per qualsiasi ragione, non si ha la possibilità di digiunare, il Corano chiede di dar da mangiare ad un povero per ogni giorno saltato. Le notti del Ramadan, fra l'iftar e il suhur, riuniscono famiglie e amici e sono caratterizzate, per tradizione, da un clima di festa e allegria che varia da cultura a cultura. Al di là del digiuno, il Ramadan nell'Islam è considerato un mese di particolare sacralità perchè è il mese in cui il Profeta Maometto ebbe la sua prima rivelazione del Corano.


sabato 23 agosto 2008

Il matrimonio berbero

Il tradizionale matrimonio arabo si svolge tipicamente d’estate e tutte le cerimonie che lo precedono, per ovvie ragioni climatiche, hanno luogo di sera o di notte. Il vestito, impreziosito da fini e ricercate decorazioni, e i gioielli d’oro, sono a spesa della famiglia della sposa, mentre spetta ai familiari dello sposo provvedere alla casa della futura coppia, compresi il mobilio e gli irrinunciabili tappeti.
Bienna è il nome del terzo giorno che precede il matrimonio. Gli uomini della famiglia dello sposo si recano in visita alla famiglia della sposa e il padre “compra” dal futuro suocero, con una simbolica cifra di denaro, la figlia che gli sta portando via. Due giorni prima delle nozze si tiene la cerimonia dell’henné. Le mani e i piedi della futura sposa vengono tatuati con i tradizionali disegni rituali di buon auspicio. Il numero delle applicazioni del colore cambia a seconda delle diverse consuetudini e si ottengono quindi tatuaggi più o meno intensi. Rimane costante però il colore rosso, tradizionale in molti paesi islamici e dominante anche nel vestito della sposa. In questo giorno vengono ufficializzati gli inviti alle nozze.
Kessoua è il giorno prima del matrimonio, la sposa entra in possesso dell'abito nuziale e dei gioielli; poi il corteo dello sposo parte e raggiunge la casa dei genitori della sposa. Hanno così inizio le celebrazioni, ma i due gruppi di invitati festeggiano separatamente. La sposa, la cui tradizione vuole rimanga nella propria casa per quaranta giorni precedenti il matrimonio, nel giorno effettivo delle nozze detto Djefa, raggiunge l'abitazione dei genitori dello sposo in sella ad un cammello, su cui è stata sistemata una poltroncina decorata con foglie di palma e simboli ben auguranti come l'occhio o la mano di Fatima. In questa casa trova una specie di trono sul quale sedendosi sancisce la sua ammissione nella nuova famiglia. Il corteo poi riparte e raggiunge la casa della coppia, casa che la sposa non ha mai visto prima dato che la tradizione glielo impedisce. Qui trova un altro trono, simile al precedente dove si siederà per sancire il suo nuovo status di padrona di casa. Fino ad una ventina di anni fa, i matrimoni erano tutti combinati dai genitori e dopo le nozze i novelli sposi non lasciavano la camera da letto per almeno otto giorni e qui ricevevano anche le visite di amici e parenti. Oggi, la progressiva occidentalizzazione del paese, ha fatto scomparire usanze come queste. Resistono però altre regole come quella di ospitare per le prime notti successive al matrimonio la madre di lui e il “rito dell'unghia” che si svolge tre giorni dopo le nozze davanti alle donne del villaggio. Per l'occasione, la moglie, secondo un antico copione, fa l'atto di puntare un'unghia nella terra del cortile, quale rinnovato segno della propria permanenza.

giovedì 17 luglio 2008

Ksar



Ksar (plurale Ksour) è un termine che indica costruzioni fortificate berbere dell'entroterra sub-sahariano. Chiamati anche "castelli del deserto" sono granai costituiti da tante ghorfas ( camere in arabo), cioè un insieme di alveoli, sovrapposti o meno, che servivano agli abitanti per occultare i loro raccolti difendendoli dalle razzie. Queste costruzioni assunsero poi anche una valenza abitativa e furono utilizzate come dimore da parecchie tribù locali. (Nella foto: Ksar Ouled Soltane in Tunisia)

venerdì 4 luglio 2008

La creazione dei deserti


Molti secoli fa, che ci crediate o no, la terra era verde e fresca, migliaia di ruscelli la percorrevano, gli alberi erano ricchi d'ogni genere di frutta e gli uomini, che ignoravano il male, vivevano felici senza farsi la guerra. Allah aveva detto agli uomini: "Questo bel giardino è vostro e vostri sono i suoi frutti, dovete però sempre agire con giustizia, altrimenti lascerò cadere un granello di sabbia sulla terra per ogni vostra azione malvagia e un giorno tutto questo verde e tutta questa frescura potrebbero anche sparire. Per molto tempo tutti si ricordarono di questo monito, ma un brutto giorno due uomini litigarono per il possesso di un cammello e appena la prima parolaccia fu pronunziata Allah fece cadere sulla terra un granello di sabbia così minuscolo che nessuno se ne accorse. Ben presto i due litiganti dopo le male parole vennero alle mani e gli uomini si accorsero che un mucchietto di sabbia stava crescendo lentamente. Chiesero allora ad Allah di cosa si trattasse e Allah rispose che era il frutto della loro cattiveria e che ogni volta si fosse verificata una cattiva azione, un granello di sabbia sarebbe sceso ad aggiungersi agli altri e forse un giorno la sabbia avrebbe coperto la terra. Gli uomini si misero a ridere e pensarono: "Anche se fossimo estremamente malvagi ci vorrebbero milioni e milioni di anni prima che questa polvere leggera copra la nostra terra e ci possa danneggiare. Così iniziarono a combattersi gli uni contro gli altri, tribù contro tribù finché la sabbia seppellì campi e pascoli, cancellò i ruscelli e spinse le bestie lontano in cerca di cibo. In questo modo fu creato il deserto e da allora le tribù andarono vagando tra le dune, vivendo in tende, aiutate solo dai cammelli per i lunghi spostamenti, e si portarono nel cuore l'immagine delle terra perduta. Anzi, perché non dimenticassero, Allah volle che ogni tanto si presentasse ai loro occhi l'immagine delle piante e delle acque scomparse. Per questo ogni tanto chi cammina nel deserto, vede cose che non ci sono tende le braccia per toccarle, ma la visione subito svanisce. Sono come i sogni ad occhi ad aperti e la gente li chiama miraggi. Solo dove gli uomini hanno osservato le leggi di Allah ci sono ancora ruscelli e palmeti, e la sabbia non può cancellarli ma li circonda come il mare l'isola. Questi luoghi si chiamano oasi e là gli uomini si fermano per trovare acqua, cibo, riposo ricordando ogni volta le parole di Allah: "Non trasformate il mio mondo verde in un deserto infinito".