martedì 5 luglio 2011

I nomi arabi


Un aneddoto racconta che, un inviato mamelucco declinando la sua identità ad un principe mongolo, si sentì rispondere: "Voi altri, avete almeno tre nomi ognuno, per far credere di essere numerosi!".
Infatti, nella società araba tradizionale ciascun individuo è distinto da un insieme di nomi che determinano con precisione la sua identità. Il "nome proprio", ricevuto alla nascita, è solo il primo degli elementi costitutivi del suo nome. Le parole bint (figlia di) o ibn (figlio di), possono essere inclusi per indicare il tipo di parentela. Ad esempio, una ragazza di nome Haifa bint Abdullah Al-Ashari sarà Haifa, figlia di Abdullah (nome del padre), della tribù o famiglia chiamata Al-Ashari.
I principali elementi del nome sono:
Il nome proprio (ism), come'Alî, Fâtimah ……
Il nome di paternità (kunya): composto dalla parola abû (padre) o umm (madre) seguito dal nome del primogenito: Abû-l-Hasan (il padre di Hasan), Umm Salama (la madre di Salama). Il nome di una figlia è menzionato solo raramente nella kunya.
Il nome di filiazione (nisba), indicante l'appartenenza tribale o il luogo di origine, di soggiorno o di decesso (città, regione, paese); per esempio: at-Tirmidhî (originario della città di Tirmidh). Una stessa persona può avere più di una nisba: al-Qushayrî an-Nîsâbûrî (della tribù di Qushayr e della città di Nishapûr).
Il soprannome (laqab), che può essere onorifico, legato alla religione o al potere (es.: 'Imâd ad-Dîn = il Pilastro della Religione). L'Islam vieta di imporre nomi o soprannomi peggiorativi, empi o ridicoli. 
A questi elementi si può ancora aggiungere la designazione del rito religioso, ad esempio: al-Mâlikî (della scuola giuridica malikita); oppure l'indicazione del mestiere esercitato:Farîd ad-Dîn 'Attâr (= il profumiere).
Si ricorda che il nome completo del Profeta è: Abû-l-Qâsim (kunya) Muhammad (ism) ibn 'Abd-Allah ibn 'Abd al-Muttalib (nasab) al-Hâshimî (nisba).
Il fatto di portare una kunya è visto come un segno di onorabilità, di rispetto o di affetto. Chiamare una donna con la sua kunya, piuttosto che col nome proprio, significa rispettare la sua intimità, onorandola al tempo stesso in quanto madre.
Purtroppo, oggi il nome di filiazione (nasab) e il nome di paternità (kunya) sono sempre meno utilizzati, anche negli stessi paesi arabi. L'uso di un semplice nome proprio seguito dal cognome, si va generalizzando negli "stati moderni", nel tentativo di uniformare gli individui.
Un'altra usanza copiata dall'occidente consiste nel prendere, da parte della sposa, il cognome del marito. Nell'Islam la donna conserva la sua identità di nascita per tutta la vita, sia per preservare le sue origini che per salvaguardare il suo statuto personale.
E' per questo motivo che l'adozione (tabanni) non è riconosciuta dall'Islam. L'orfano gode nel diritto islamico di una protezione particolare, tuttavia non è equiparato al figlio biologico, e non gli viene imposto il nome della famiglia che lo accoglie, perché questo cancellerebbe le sue origini, e denaturerebbe la sua identità.
E 'vietato nell'Islam dare al proprio figlio un nome disonorevole. I nomi consigliati sono quelli che denotano il culto di Allah.
Dare un nome che abbia un senso significa indicare al neonato una direzione, un ideale da raggiungere. Ad esempio un bambino di nome Karîm (nobile e generoso) saprà che, nella sua essenza, vi sono queste qualità e cercherà di mostrarsene degno.
      Il nome del convertito
La conversione all'Islam è considerata come una nuova nascita, quindi l'adozione di un nuovo nome è un atto naturale. La nuova identità, data dal nome arabo scelto, viene utilizzata soprattutto all'interno della Ummah, mentre per la "burocrazia" del proprio paese rimane in uso il nome precedente. Il nome può essere scelto dal convertito stesso oppure può essere suggerito da qualcuno che è stato spiritualmente vicino al convertito. Si può scegliere un nome arabo che abbia una corrispondenza di senso con l'originale (Nûrah per Lucia; Karîma per Adele = nobile), oppure in funzione del suono (Safiyya per Sofia, Farîd per Alfredo). Naturalmente si può scegliere anche un nome assolutamente diverso da quello di nascita.

sabato 18 giugno 2011

Il Cairo:"Umm el Dounia", la madre del mondo.


Il Cairo, che gli arabi chiamano “Umm el Dounia” (la madre del mondo), è la capitale più antica del mondo. Pare che esistesse ancora prima della costruzione delle piramidi. Nel 3000 a.C. circa, il primo faraone di un Egitto noto come “Le due terre”, (Basso e Alto Egitto), re Narmer (chiamato anche Menes) fondò la prima capitale del paese, 15 km a sud dell’attuale città del Cairo. La chiamò “Ineb Hedj”, il Muro Bianco, passata alla storia come Memphis. Oggi l’antica Memphis praticamente non esiste più; scomparsa quasi del tutto sotto uno spesso strato di limo trasportato da secoli di inondazioni del Nilo e a causa del saccheggio e della distruzione da parte dei cristiani dopo l’Editto di Teodosio I (379-95) il papa bizantino che ordinò la chiusura di tutti i templi “pagani” in Egitto. Il colpo di grazia arrivò poi nel 641 AD con l’invasione araba capeggiata dal generale Amr Ibn el Ass che conquistò i Romani in Egitto e stabilì i confini di una nuova città cui diede il nome di Fustat, oggi nota come “Vecchia Cairo”. Fustat prosperò, grazie alle pesanti tasse imposte sulla navigazione del Nilo e al commercio di carovane di merci in arrivo dall’est, fino a quando nel X secolo, arrivarono dalla Tunisia i Fatimidi, diventando i nuovi governanti.  Questi rinnegarono Fustat e fondarono una nuova città. Secondo la leggenda, gli astrologi che calcolarono l’oroscopo per la nuova città osservarono la nascita del pianeta Marte, Al Qāhir in arabo (“Il Vittorioso”) e di conseguenza la città prese il nome di Al Qāhira. Il nome al-Qāhira è ancora in uso in Egitto, ma gli Europei lo trasformarono in “Cairo”. Oggi il Cairo è una enorme metropoli con oltre 18 milioni di abitanti, centinaia di moschee e chiese, oltre a palazzi orientali, il museo di antichità più grande del mondo e i maggiori bazar orientali.



lunedì 30 maggio 2011

Marocco in festa : i moussem



Innumerevoli sono le feste che scandiscono le stagioni in Marocco; da nord a sud, ogni anno,  si celebrano  tra i sei e i settecento moussem, grandi raduni popolari che riuniscono pellegrini e viandanti. I moussem possono protrarsi per una settimana, durare pochi giorni o in certi casi esaurirsi in una giornata. Alcuni conservano il loro carattere strettamente religioso come le feste dell’Eid, altri hanno fama soprattutto per il suq, le fantasie o l’animazione. Con la Festa delle rose, in primavera, si celebra la raccolta dei fiori che crescono spontanei a migliaia nella regione di El Kelaa M'Gouna. Sullo sfondo di tappeti variopinti e di enormi rose di carta, ragazze dai capelli intrecciati con fili di lana multicolori danzano al ritmo del bandir, il tamburo della tradizione. La Festa delle ciliegie a Sefrou in estate, dei datteri a Erfoud in autunno, dei mandorli a Tafraoute e del miele a Immouzer des Ida Outanane sono  occasioni per riunire gruppi di musicisti e danzatori abbigliati nei più sfolgoranti abiti tradizionali. I moussem hanno rappresentato a lungo, momenti di scambio tra le diverse regioni. Ancora oggi il "moussem delle nozze" che si tiene nei pressi di Imilchil raduna, ogni anno, le tribù Hit Haddidou disperse sugli altipiani dell’Atlante. Durante questa festa si firmano “gli atti di fidanzamento” ossia le promesse di matrimonio tra i giovani e nell’ immenso suq i partecipanti colgono l’occasione per fare provviste e rinnovare bestiame e utensili prima dell’arrivo dell’inverno quando la neve isolerà la vallata per lunghi mesi.
Venditori e compratori di cammelli si ritrovano in estate a Guelmin per tre giorni, nel gigantesco mercato dei cammelli; qui, le danzatrici di guedra, inginocchiate e ricoperte di drappeggi, ondeggiano agitando le dita ornate di henné al ritmo di una musica sincopata , fino allo sfinimento. In occasione delle abbaglianti fantasie berbere (che si tengono su un campo delimitato lungo circa 200 metri) squadre di cavalieri allineati si lanciano all’assalto in un assordante scalpiccio di zoccoli. I partecipanti, tutti vestiti di bianco, fanno volteggiare i fucili in aria con una mano, al di sopra delle loro teste. A qualche metro dall’arrivo il capo grida un brusco comando e tutti i “moukhala” (vecchi fucili a polvere da sparo) vengono scaricati in aria in un’ unica fragorosa detonazione. Un secco colpo di redini fa arrestare i cavalli. Il buon esito di una fantasia dipende dalla precisa disposizione dei partecipanti e dalla simultaneità delle mosse.
Le feste familiari sono legate alle tappe importanti del ciclo della vita, come la nascita, la circoncisione e il matrimonio.
Non si deve dimenticare poi, la festa civile più importante in Marocco e cioè la “ Festa del Trono”. Ogni anno, il 30 luglio,  si celebra l’anniversario dell’ascesa al potere del re Mohammed VI. Durante il regno di questo sovrano, la festa fu istituita per celebrare l’indipendenza da poco riacquistata, ancora oggi si festeggia con cortei, danze ricevimenti e fuochi d’artificio.
Il calendario dei festival del Marocco
Festa dei mandorli – Tafraout – Febbraio
Festa delle Rose – El Kelaa M’Gouna – Maggio
Festa dei Ceri – Salè – Maggio
Festival delle Musiche Sacre – Fès – Maggio
Sinfonia del Deserto – Ouarzazate – Giugno
Festa delle Ciliegie – Sèfrou – Giugno
Festival delle Arti Popolari – Marrakech – Giugno
Festa del Cammello – Guelmin – Luglio
Festival culturale d’Asilah – Agosto
Festa dei Fidanzati – Imilchil – Settembre
Festa del Cavallo – Tissa (Fès) – Settembre
Festa dei Datteri – Erfoud – Ottobre
Festival d’Agadir – Dicembre
Moussem più importanti
Moussem Moulay Abdallah – El Jadida – Agosto
Moussem Moulay Idriss a Zerhoun (vicino a Meknès) – Agosto

mercoledì 11 maggio 2011

La Moschea


Con il termine “moschea” si definisce nel mondo islamico, ogni luogo destinato alla preghiera. La parola araba “masjid”, da cui deriva quella italiana, significa letteralmente “ luogo di prostrazione”. La prima moschea venne costruita da Maometto. La storia narra che appena il Profeta  arrivò a  Medina, dove si rifugiò per fuggire dai suoi concittadini Meccani che lo volevano uccidere, fece iniziare la costruzione della moschea che divenne il centro dell'attività sociale, politica e religiosa. In questo luogo, infatti, i primi musulmani potevano riunirsi non solo per pregare, ma anche per discutere e trattare i loro affari e in generale per organizzare tutta la parte civile della loro vita.  Questa prima moschea, costruita in mattoni d'argilla con  il tetto in foglie di palma e con una pietra che indicava la direzione della preghiera,  rappresentò  lo schema di riferimento per la costruzione di tutte le moschee del mondo che ancora oggi sono il centro dell'intera vita della comunità nelle quali si trovano. Ci sono due principali tipi di moschee, le jama'a e le masjid. Le jama'a,dove  si tiene la preghiera del venerdì, che è per i musulmani,  la principale ricorrenza religiosa settimanale, sono spesso riccamente adornate, mentre  le masjid sono solitamente più semplici e piccole, ma per entrambe  la loro costruzione deve rispettare regole ben precise. Nel cortile a cielo aperto cinto da portici, il fedele compie le abluzioni rituali presso fontane di acqua corrente. Un lato del cortile dà sulla sala di preghiera, di forma rettangolare allungata, suddivisa in più navate  sostenute da numerose colonne. Essa è assolutamente priva di qualsiasi arredamento all'infuori dei  tappeti, che ricoprono il pavimento. Inserita nel muro orientato verso la Mecca troviamo il mihrab, una nicchia semicircolare molto decorata che indica la qibla ovvero l’esatta direzione in cui si deve rivolgere la preghiera. Alla sua  destra , c'è quasi sempre il minbar ,un piccolo pulpito, cui si accede attraverso dei gradini, ed è il luogo dal quale l'Imam guida la preghiera e altresì quello dal quale il predicatore(khatib), pronuncia il sermone  khutba ( o hutba),  spesso trasmesso all’esterno per mezzo di altoparlanti. Decorazioni in mosaico, marmo colorato, metallo o legno scolpito, abbelliscono le moschee, ma sono  rigorosamente vietate le raffigurazione di uomini e animali, perché solo Allah può infondere ad essi "la vita". All’ esterno dell’ edificio, si innalza il minareto, al –manarah ( torre lucente ), una torre che   sovrasta la moschea, la rende riconoscibile anche da lontano e  che serve al muezzin per il richiamo alla preghiera ( salat) cinque volte al giorno . Ogni moschea deve avere almeno un minareto, ma  può averne anche due o più, fino a un massimo di sei,  l'unica eccezione e' la Moschea alla Mecca che ne ha sette. Il muezzin è l’ incaricato di effettuare il richiamo (adhan) per la preghiera.  Il primo muezzin della storia fu  Bilal Habashi,  uno schiavo etiope liberato, convertito all’Islam , scelto dallo stesso Profeta per la voce bella e melodiosa. Bilal fu così il primo a salmodiare quello che tutti oggi conoscono come il canto del muezzin. 
Ecco il canto del muezzin:
Dio e' il piu' grande (4 volte). (Allahu akbar) 
Sono testimone che non vi e' alcun dio all'infuori di Iddio (2x). (Ashhadu an la ilaha ill-Allah) 
Sono testimone che Muhammad e' il Profeta di Allah (2x). (Ashhadu anna Muhammadan Rasalu-Llah) 
Affrettatevi alla preghiera (2x). (Hayya ‘ala s-salah) 
Affrettatevi al successo (2x). (Hayya ‘ala l-falah) 
Dio e' il piu' grande (2x). (Allahu akbar) 
Non vi e' alcun dio all'infuori di Iddio. (La ilaha ill-Allah)


domenica 17 aprile 2011

Mondo cinema: "La sposa siriana"

Titolo Originale: The syrian bride
Anno: 2004
Regia: Eran Riklis
Sceneggiatura: Suha Arraf, Eran Riklis
Interpreti: Hiam Abbas, Makram J. Khoury, Ashraf Barhoum, Eyad Sheety


Il Golan, che è una piccola striscia di terra (meno di duemila Kmq) tra il lago Tiberiade e il monte Hermon,  è sempre stato fin dall'antichità un punto nevralgico di passaggio trovandosi sulla via carovaniera che portava da Gerusalemme a Damasco e per le sue abbondanti fonti idriche  , centro di continue contese. L'offensiva israeliana del 1967 aveva tolto alla Siria le alture di questa zona e quando nel ’73 la Siria di Hafez Assad, padre dell’attuale presidente, tentò di riprenderne il controllo, il risultato del conflitto fu l’annessione da parte di Israele dell’intera regione (1982), abitata ancora da alcune decine di migliaia di arabi (in prevalenza drusi) che ricevettero così la cittadinanza israeliana. Il  regime siriano non ha mai riconosciuto lo stato di fatto (il confine è sotto il controllo delle truppe dell'ONU) e la regione è in stato permanente di pace armata.
È in questo contesto che il regista ambienta “La sposa siriana”
Mona è infatti una ragazza che vive a Majdal Shams sulle alture del Golan siriano, sta per sposare Tallel, popolare attore di sit-com siriane, che vive a Damasco e che lei conosce soltanto sul teleschermo . Per salutarla sono arrivati da lontano due fratelli e tutto il paese è in festa: per lei invece, il giorno delle nozze è uno struggente lungo addio perché sa che  una volta varcato il confine Israele – siriano non potrà più tornare indietro né rivedere i suoi cari. Un imprevisto burocratico rende ancora più complicata una storia già assurda....


venerdì 25 marzo 2011

"La piazza metà del mondo" di Esfahan



La Piazza Imam Khomeini, chiamata ufficialmente Meydan Naqsh-e Jahān (ovvero "Piazza Metà del Mondo") con i suoi 8 ettari abbondanti, pari a 2 volte la Piazza Rossa di Mosca, è una delle piazze urbane più grandi del mondo. Fu costruita oltre 300 anni or sono (ai tempi si chiamava  Meydan-e Shah "Piazza dello Scià")  come campo da polo, dal decadente scià Abbas che poteva così seguire la partita dal balcone del suo palazzo. Lo scià aveva anche un harem con donne bellissime e un gruppo di musicisti per intrattenerlo durante il tempo libero, ma fare il musicista nell’harem non era scelta facile dato che comportava evirazione e cecità. Due volte l’anno, nel gran bazar di Esfahan, che è lungo ben 4 km e mezzo e la cui entrata è situata su un lato della piazza, veniva proibito l’accesso agli uomini per permettere alle donne dell’harem dello scià di fare acquisti al riparo da occhi indiscreti.. .. In quei tre giorni, la gestione delle botteghe veniva affidata  alle mogli e alle figlie dei mercanti, e tutte le donne , le venditrici come le clienti, avevano il permesso di circolare nel bazar senza i loro pesanti chador. Su questa piazza si affacciano anche la Moschea dell’Imam, la Moschea delle Donne e la Moschea del Venerdì, ma di questo parleremo un’altra volta...

domenica 6 marzo 2011

Zellij



Gli zellij sono i tasselli di ceramica multicolore che tappezzano i muri dei palazzi, delle moschee e delle madrase, pavimentano i cortili, rivestono le colonne e i pilastri delle gallerie, sottolineano i contorni delle fontane. Questo rivestimento ceramico protegge i muri dall'umidità e tiene fresche le stanze in estate. Benchè utilizzati in tutto il mondo musulmano, in Marocco godono di una notevole importanza. A partire dal quadrato, dal rombo, dal triangolo, sapienti composizioni geometriche, delineano rosoni, semicerchi, intrecci di linee, poligoni stellati, scacchiere, fregi a fioroni, infatti  essendo vietato ai musulmani la raffigurazione delle persone, queste composizioni si avvalgono di  figure geometriche astratte, dai colori variegati e ben assortiti. La loro disposizione segue criteri di simmetria e movimento e tende a generare illusioni ottiche. 
Il minuzioso assemblaggio dei tasselli di terracotta smaltata, richiede all'artigiano anni e anni di apprendistato tecnico, buona memoria e uno spiccato senso del disegno da realizzare. A ogni forma di zellij corrispondono un colore e un nome specifici. Sui quadratini smaltati grezzi, l'artigiano traccia i contorni delle varie forme aiutandosi con sagome; poi con un martello affilato ai lati, sgrossa tutti i pezzetti. Gli zellij vengono messi assieme come i tasselli di un puzzle, con la parte smaltata verso il basso; una volta composto il motivo, vengono cosparsi di gesso e cemento,  incollati tra loro e infine il pannello viene fissato al muro.





venerdì 11 febbraio 2011

Iran - Il matrimonio temporaneo (sigheh)


Il «matrimonio temporaneo» (in farsi sigheh) è una pratica propria dell'islam sciita. E' un contratto di matrimonio in cui i contraenti stabiliscono la durata che può variare «da un minuto a 99 anni». In questo caso, l’uomo (sposato o no), e la donna non sposata (vergine, divorziata o vedova) possono concordare la durata del rapporto e l'importo della compensazione da versare alla donna. Questa disposizione non richiede testimoni e non richiede alcuna registrazione. Un uomo può avere un numero illimitato di sigheh e contemporaneamente può avere anche uno o più ( fino a quattro ) matrimoni permanenti, mentre la donna  può essere coinvolta solo in un matrimonio e al termine non ne può contrarre uno nuovo prima di un periodo di attesa (edda) di tre mesi o di due cicli mestruali. Questo periodo obbligatorio di attesa si applica anche alle donne divorziate nel matrimonio permanente ed è destinato a determinare la paternità nel caso in cui la donna dovesse rimanere incinta. Per le donne è sempre meglio un matrimonio in piena regola e per molte il sigheh è un compromesso nella speranza di trasformare questa unione in un contratto a tempo indeterminato, infatti il sigheh è rinnovabile. La condizioni di moglie temporanea è in genere tenuta nascosta agli estranei soprattutto tra i ceti più popolari, dove le tradizioni sono più radicate.  Il matrimonio temporaneo garantisce maggiori libertà alla donna: “vive a casa propria, esce senza chiedere il permesso e può lavorare, ma deve essere disponibile quando il marito la cerca”. Negli anni passati erano soprattutto motivi finanziari che spingevano la donna ad accettare il sigheh, ai nostri giorni, il matrimonio temporaneo viene utilizzato dai giovani per raggirare tutti i divieti delle leggi islamiche iraniane sui rapporti tra i ragazzi e ragazze.

Differenze dal matrimonio permanente

Caratteristica imprescindibile del sigheh è la stipulazione di un contratto in cui viene fissata la durata e i termini dell’unione.
Per far si che il matrimonio temporaneo sia valido è necessario stabilire un mahr , cioè una quantità di denaro, proprietà o gioielli che il marito deve donare alla sposa. Il matrimonio permanente è valido anche senza mahr.
Non esiste il divorzio. Tra gli  sciiti il divorzio è visto come un processo complesso che coinvolge mediatori e un periodo volto a dare alla coppia la possibilità di conciliare. Ciò non è necessario nel sigheh, dal momento che il matrimonio non finisce a causa di disarmonia, ma a causa della scadenza del contratto. 
Il marito può invalidare  il sigheh prima di quanto concordato. In tal caso deve versare l’intero compenso alla donna se hanno avuto rapporti sessuali, in caso contrario dovrà versare solo la metà dell’importo. 
I coniugi non sono eredi l’uno dall’altro, ma i figli nati dal matrimonio ereditano da entrambi i genitori, avendo davanti alla legge gli stessi diritti dei figli nati da un matrimonio permanente. 
Il marito è finanziariamente responsabile di eventuali bambini derivanti dal matrimonio anche se molte volte questa regola non viene rispettata.
La moglie può uscire di casa senza chiedere il permesso al marito e non è obbligata ad obbedirgli.
Il marito può non farsi carico delle spese della moglie. 
Il marito può sposare un’altra donna 
Le mogli non possono essere più di quattro, ma dato che il marito non è tenuto a sostenere la moglie, e il matrimonio non è permanente, le circostanze che determinano la limitazione di non avere più di quattro mogli, non si applica. Tuttavia, molti studiosi sciiti hanno stabilito che non si può avere più di quattro mogli temporanee.

domenica 16 gennaio 2011

La leggenda della Moschea di Bibi Khanum e la nascita del chador


La Moschea di Bibi Khanum tutta blu e turchese, è la più grande Moschea dell'Asia Centrale. Si trova a Samarcanda in Uzbekistan e  il suo nome sembra derivi da quello della moglie preferita di  Amir Temur (Tamerlano), il conquistatore più feroce della storia.  Sulla sua costruzione sono nate diverse leggende e una di queste la lega alla nascita del chador.

«Tamerlano voleva fare di Samarcanda la città più bella del mondo e, prima di partire per una nuova spedizione militare, ordinò che durante la sua assenza venisse costruito un grande complesso religioso con due moschee, una scuola coranica e un ostello per i pellegrini. Il tutto doveva essere fatto in onore della sua moglie preferita, una delle nove che aveva, una principessa mongola, appunto Bibi-Khanum.L’architetto incaricato della costruzione era un persiano della città di Mashad, come lo erano allora la maggior parte dei maestri e degli artigiani che lavoravano a Samarcanda. L’architetto si innamorò perdutamente di Bibi-Khanum e minacciò di non finire in tempo la costruzione se lei non gli avesse almeno permesso di darle un bacio su una guancia. Bibi-Khanum era assolutamente contraria a questa intimità e per toglierselo dai piedi offrì all’architetto spasimante le donne più belle della città. Ma quello insisteva. “Forse che un bicchiere di vino è come uno d’acqua?” le mandava a dire.Preoccupata che Tamerlano tornasse e che la costruzione a cui tanto teneva non fosse finita a causa dei ricatti dell’architetto, Bibi-Khanum finì per cedere alle sue voglie… e si lasciò baciare. Terribile errore! Quel bacio fu così focoso che sulla guancia di Bibi-Khanum rimase come una grande bruciatura. Così conciata non poteva certo presentarsi a Tamerlano! Bibi-Khanum ebbe allora un’idea brillante: si coprì la faccia con un velo e ordinò a tutte le donne della città di fare lo stesso.
Tornato a Samarcanda, Tamerlano non volle storie, tolse il velo alla moglie, vide quello scempio, si fece raccontare la verità e andò su tutte le furie. Ordinò che una parte della moschea, appena finita, fosse trasformata in una tomba e vi fece seppellire viva la moglie infedele. Poi mandò i suoi uomini a tagliare la testa al fedifrago. L’architetto però era andato a nascondersi in cima al minareto che aveva appena finito di costruire e, proprio mentre i soldati lo stavano per acchiappare, mise le ali e volò via, per tornare a casa sua nella città di Mashad. A Tamerlano non rimase che imporre a tutte le donne del suo regno di portare per sempre un velo sulla faccia. Da qui, secondo la leggenda, l’origine del chador». 

Tratta da "Buonanotte, signor Lenin"  di Tiziano Terzani (1992 )

giovedì 30 dicembre 2010

Il narghilè o shisha


Sono tanti i nomi attribuiti alla pipa d’acqua: in Turchia è chiamata narghilè, in India hookah e in molti paesi orientali, shisha, mentre gli inglesi delle colonie la chiamavano hubble bubble,  per il gorgoglio prodotto quando è accesa.
Pare che la prima pipa ad acqua sia nata in India e fosse ricavata dal guscio di una noce di cocco. Piuttosto rozza e molto semplice incontrò però il favore dei persiani e poi dei turchi, che  nel XVI secolo la trasformarono nella sontuosa pipa che da allora  non cambiò più la sua forma. 
Generalmente alti dai 60 ai 90 centimetri circa, i narghilè sono fatti di vetro e ottone  decorati, incisi con caratteri dell'alfabeto arabo ed hanno un fascino particolare che rievoca atmosfere da “ mille e una notte”. Racconti antichi narrano che alcuni sultani usavano fumare una speciale  miscela  di oppio, profumo e perle frantumate, ma è sbagliato associare i narghilè all'uso di droghe illecite come hashish  e oppio. La storia, infatti, racconta che non tutti i tabacchi erano adatti  e soltanto un tipo di tabacco scuro, importato   dall'Iran, trovò il favore dei fumatori turchi. Questo tabacco  veniva lavato molte volte prima dell'uso, era molto forte e per  bruciarlo si adoperava soltanto carbone di quercia. Alcuni fumatori usavano mettere ciliegie aspre o acini di uva nell’acqua, per rilassarsi con il loro movimento nel liquido , altri invece aggiungevano succo di melagrana o olio di rosa per dare aroma. Ancora oggi viene utilizzato un tipo di tabacco che può essere aromatizzato alla mela, all’albicocca, alla fragola, alla cannella o alla menta ed è noto con il termine arabo di "marsaal". Per  creare questo tipo di tabacco, le foglie vengono immerse in uno sciroppo  di frutta  oppure in un liquido con il sapore preferito fino a che l’aroma non è assorbito.
Il narghilè è formato da quattro parti distinte.
Il govde è la base di vetro o cristallo che contiene l'acqua, questa assicura che il fumo  prodotto dal carbone rovente sia filtrato  fuori per dar modo al fumatore di godere soltanto del sapore del  tabacco. 
Dalla base parte il marpuc, il tubo di ottone che forma la parte  media. Segue il tubo flessibile che  comincia dal marpuc e si  chiama agizlik, mentre il piccolo vaso di terracotta, chiamato  lule e posto in cima, fa da contenitore del tabacco.  Quando il  fumatore inala attraverso l'agizlik l'aria che va dal  basso in alto del morpuc crea il tipico suono gorgogliante. Sul lule viene  posto anche un pezzo di carbone rovente isolato  dal tabacco per  mezzo di una piastrina di alluminio bucherellato. Il bocchino è quasi sempre d'ambra pregiata perché nei tempi remoti si riteneva che l'ambra allontanasse  i germi e potenziasse la virilità.
Note le sue virtù; pare infatti che sia molto rilassante dopo una giornata di stress  o un pasto copioso, che tolga la tensione ai muscoli del tratto cervicale  ed a quelli delle spalle, che prepari al sonno senza produrre cattivi  odori nella camera e al risveglio la bocca sia fresca come una rosa. 

https://www.youtube.com/watch?v=18-8IO1vk-I   (come preparare un narghilè)

giovedì 2 dicembre 2010

La cittadella di Bam


Era la notte del 26 dicembre 2003 quando un sisma  di forte intensità scosse la Repubblica Islamica dell'Iran , devastando la storica città di Bam (nella regione di Kerman), patrimonio dell' UNESCO e mietendo decine di migliaia di vittime. 
Arg-e-Bam ( in persiano "la cittadella di Bam"), era una grande fortezza nel cuore della città stessa.  Costruita più di 2000 anni fa, con mattoni di fango, argilla, paglia e tronchi d'albero di palma, era un vero e proprio gioiello architettonico.
Per la sua posizione sulla Via della Seta, al confine orientale della Persia, fu continuamente soggetta ad aggressioni, tuttavia nessuna di esse ebbe successo. L'unico ad arrivare ad un soffio dalla conquista fu Mahmoud, re afgano, che nel sedicesimo secolo cinse d'assedio la fortezza senza alcun risultato, sino al tradimento di uno degli abitanti che gli suggerì di deviare il fiume e di portare l'acqua intorno alle mura, queste fatte di fango si sarebbero sciolte consentendogli l'accesso. Così avvenne, ma dopo l'attacco l'esercito afgano si trovò davanti ad altre due cinta di mura e così scoraggiato abbandonò l'impresa. 
A quell'epoca la città, con i suoi 10.000 abitanti, spaziava su una superficie di 6 km quadrati ed era fortificata da possenti mura congiunte da 38 torri. Rimase in uso fino al 1850 e non si conosce con certezza il motivo per il quale venne poi abbandonata.

Curiosità
Secondo la mitologia iraniana, il nome Bam deriverebbe da “Bahman”, un antico re mitologico di cui parlò Ferdowsi nel suo lavoro più famoso “Il libro dei re”( Shahnameh). In questo poema Bahman, figlio di Esfandiyar, lottò contro Faramarz, figlio di Rostam, e riuscì a sconfiggerlo grazie ad una tempesta di sabbia che ostacolò il rivale. Bahman per festeggiare la vittoria costruì una fortezza sulla stessa collina dove ora si trova la cittadella.
In questa città è stato girato il film di Valerio Zurlini ispirato al romanzo "Il deserto dei tartari", di Dino Buzzati.

 
   La cittadella prima e dopo il sisma   L'ingresso principale "Porta di Narmashir"

domenica 14 novembre 2010

Aid Al-Adha Mubarak

Aid  al- Adha  1431/2010        16/11/2010

L’ Aid al- Adha, conosciuta anche come Festa del Sacrificio o Aid al-Kabir (festa maggiore) è sicuramente la festa più importante dell’Islam.Si può ritrovarla anche in alcuni paesi dell’Africa musulmana, con nomi diversi come Tabaski, o Tafaska, ma in ogni caso è la commemorazione della sottomissione di Abramo (Ibrahim) a Dio, quando Egli gli ordinò di sacrificare suo figlio Ismaele. All’ultimo momento Allah fermò la mano di Abramo sostituendo ad Ismaele un montone. Il montone diventa così il protagonista di questo giorno. L’animale da sacrificare , che deve essere fisicamente sano, non troppo vecchio, e può essere soltanto un ovino, un caprino, un bovino o un camelide  non deve essere ucciso all’istante ma dissanguato. Secondo la legge islamica, questa operazione spetta al capofamiglia, che puo’ delegare un sacrificatore riconosciuto, e deve essere compiuta dopo la preghiera dell’Aid, venti minuti circa prima dell’alba, chiamata da un Imam. Mentre l’animale viene ucciso è importante pronunciare il takbir, cioè declamare la grandezza di Dio attraverso le parole “Allahu Akbar”, (Dio è grande). L'animale, deve essere poi diviso in tre parti uguali; una per la famiglia, una per i vicini e amici e l’ultima, composta dai pezzi più prelibati, deve essere donata i poveri. Il giorno di festa inizia all'alba con una speciale preghiera nella moschea poi si festeggia con un grande pranzo. E’ usanza in questo giorno di festa, mangiare e offrire agli ospiti dolci tradizionali ripieni di datteri chiamati appunto ka’ek al Aid.

sabato 30 ottobre 2010

Mondo cinema:" Il tempo dei cavalli ubriachi"

Titolo originale: Zamani baraye’ masti ashba
Un film di Baham Ghobadi. Con Nezhad Ekhtiar-Dini, Amaneh Ekhtiar-Dini, Ayoub Ahamadi, Jouvin Younessi
e gli abitanti della città di Sardab e Banè.  (Kurdistan, 2000)


“Il tempo dei cavalli ubriachi” è un film che mostra, in modo estremamente spiazzante, la vita di un popolo al limite della sopravvivenza. Siamo nel Kurdistan iraniano, in prossimità del confine con l'Iraq,  dove non si lotta per avere una vita migliore, ma solo per avere un pezzo di pane o per comperare un quaderno. Qui si contrabbanda alcool ma si beve the, secondo i precetti islamici che vietano di bere alcolici, un divieto non prescritto ai muli (i cavalli del film), ai quali è fatto bere mischiato con acqua per sopportare il carico e il freddo della montagna. Ma, a volte, queste bestie, stordite e stremate dall’intruglio bevuto e dalla stanchezza, affondano nella neve e rimangano inermi e sfiancate a terra.
In questo luogo gelido, inospitale e punteggiato di campi minati vivono, in condizioni di estrema povertà, cinque tra fratelli e sorelle. Incartano bicchieri al mercato affinché non si rompano durante il trasporto o caricano sulla schiena enormi fagotti per poter guadagnare qualche soldo. Ayoub è il fratello su cui ricade la responsabilità della famiglia, subito dopo la morte del padre . Amaneh, la sorella minore, lo aiuta come può. C’è anche Madi, un ragazzo di quindici anni gravemente malato e menomato che gli altri fratelli adorano e proteggono. Secondo il medico che si reca al villaggio di tanto in tanto, Madi deve necessariamente subire un intervento chirurgico che gli permetterebbe di sopravvivere ma l’operazione costa molto. Ayoub allora decide di lavorare con i contrabbandieri per racimolare il denaro necessario all’intervento, ma nonostante i sacrifici e pur mettendo in pericolo la sua stessa vita, non riesce ad aiutare Madi. Una nuova speranza arriva da un iracheno che vuole sposare Rojin, la sorella maggiore. Pur di contrarre il matrimonio con la ragazza, l’uomo è disposto a contribuire economicamente permettendo a Madi di essere operato ma la sua promessa, non verrà mantenuta…....
Il regista Bahman Ghobadi, già assistente di  Abbas Kiarostami e attore nel film di Samira Makhmalbaf “Lavagne”, in questa sua opera prima ci propone una storia vera con attori che sono i reali abitanti del villaggio. Una storia che ha anche ottenuto un effetto straordinario. Un'equipe medica italiana, facente parte di un’organizzazione di volontariato denominata WOPSEC, si è offerta di recarsi nel Kurdistan per operare Madi e gli altri bambini bisognosi.
Il film ha vinto la  Camera d’Or al festival di Cannes 2000. 



domenica 10 ottobre 2010

Il Profeta Maometto


“Tu sei l’eletto di Allah”.
Sono queste le parole pronunciate dall’arcangelo Gabriele nella "notte del destino", quella in cui, secondo la tradizione islamica, Maometto scopre di essere stato scelto da Dio come Profeta. Fino a quel momento la sua vita non è molto diversa da quella degli altri bambini della Mecca. Nato intorno al 570 dopo Cristo, orfano di padre e madre, cresce nella città araba sotto la custodia di uno zio paterno che a 12 anni lo porta con sé, per la prima volta, in una spedizione commerciale. In quello che avrebbe dovuto essere un viaggio di iniziazione ad una vita da mercante, Maometto incontra alcuni monaci eremiti cristiani che gli predicono la missione profetica. A 26 anni, afflitto da difficoltà economiche, viene assunto come cammelliere da Khadijah, una facoltosa vedova quarantenne che pochi mesi più tardi diventa sua moglie, la prima di nove. E’ un matrimonio felice che dà al Profeta quattro figlie ed un numero imprecisato di maschi.
La prima rivelazione è durante il mese di Ramadan nel 610. Nella “notte del destino” Maometto si trova poco distante dalla Mecca, nella grotta dove è solito ritirarsi per meditare , dorme , ma una luce abbagliante lo sveglia. Gli appare l’arcangelo Gabriele che gli porta una stoffa con incisi caratteri d’oro e gli ordina di leggere. Maometto, che è analfabeta, si scusa dicendo di non saperlo fare, ma l’angelo ripete l’ordine. E infatti il Profeta legge: “ Annuncia il nome del Signore che creò l’uomo…e gli insegnò ciò che ignorava”. Per qualche tempo Maometto diffonde il messaggio divino con prudenza e solamente tra i famigliari, poi, dopo un ammonimento di Gabriele, inizia la predicazione pubblica. I suoi primi seguaci sono poveri e schiavi della Mecca e i suoi discorsi scatenano l’ostilità dei capi tribali che vedono nelle parole di Maometto un terribile pericolo per la tradizione politeista e gli interessi di casta di cui sono custodi. Minacciato di morte nel 622, Maometto decide di fuggire nella più ospitale Medina, dove riesce ad imporsi come capo politico e militare. L’anno di questa emigrazione viene fissato come inizio dell’Era islamica. Negli ultimi decenni della sua vita il Profeta può assistere alla definitiva affermazione dell’Islam. Il suo trionfo si compie nel 630, quando a capo di 13mila uomini, Maometto torna alla Mecca e distrugge i 360 idoli preislamici. Il Profeta muore a Medina, dove ancora oggi si trovano le sue spoglie. 



Ricostruzione immaginaria della originaria Moschea del Profeta, attraverso le informazioni provenienti da Medina Ricerca & Study Center, Medina

mercoledì 22 settembre 2010

L'oasi di Ghadames

In un giorno lontano del VII secolo a. C. il conquistatore Sidi Ocba Nafa viaggiava attraverso il "Grande Nulla" ormai privo di acqua e di speranze. In un punto sperduto al confine tra le attuali Libia, Algeria e Tunisia, la sua giumenta si imbizzarrì e batté disperata gli zoccoli sulla sabbia. Avvenne il miracolo: il liquido più prezioso d'Africa prese a sgorgare limpido dal suolo del Sahara.
Con questa leggenda nasce il mito di Ghadames, la perla del deserto, l'oasi più celebre d'Africa che sorge proprio intorno ad una sorgente visibile ancora oggi; "Ain el Faras", in libico: la sorgente della giumenta.

Ghadames rappresentava un tempo la prima o l’ultima tappa per le carovane che attraversavano il deserto. Cinta da mura, la città vecchia, è considerata un vero capolavoro di edilizia ed è sotto la tutela dell’UNESCO, che l’ha restaurata. La sua bellezza deriva, oltre che dal florido palmeto che si insinua dentro all'abitato e a cui si devono i migliori datteri libici, alla peculiarità urbanistica della medina. Nei vicoli coperti regna l’ombra e la frescura, anche quando la temperatura esterna si avvicina d’estate ai 50 gradi. Le sette porte d'accesso, che venivano chiuse al tramonto, dividono la città in sette quartieri ognuno autonomo con propri pozzi, piazze, mercati, moschee e madrase raccordati da un labirinto di stradine coperte e non, dove l'ombra e i percorsi tortuosi consentono la circolazione dell'aria fresca, ma non quella della sabbia durante le tempeste. Le case piene di nicchie, scale incrociate e dipinti naif gialli, verdi e rossi che abbelliscono le pareti, sono costruite interamente con fango e ricoperte di calce bianca. I tetti terminano con terrazze che unite le une alle altre, formano un percorso utilizzato unicamente dalle donne per spostarsi da una casa o da una zona all'altra.