In un giorno lontano del VII secolo a. C. il conquistatore Sidi Ocba Nafa viaggiava attraverso il "Grande Nulla" ormai privo di acqua e di speranze. In un punto sperduto al confine tra le attuali Libia, Algeria e Tunisia, la sua giumenta si imbizzarrì e batté disperata gli zoccoli sulla sabbia. Avvenne il miracolo: il liquido più prezioso d'Africa prese a sgorgare limpido dal suolo del Sahara.
Con questa leggenda nasce il mito di Ghadames, la perla del deserto, l'oasi più celebre d'Africa che sorge proprio intorno ad una sorgente visibile ancora oggi; "Ain el Faras", in libico: la sorgente della giumenta.
Ghadames rappresentava un tempo la prima o l’ultima tappa per le carovane che attraversavano il deserto. Cinta da mura, la città vecchia, è considerata un vero capolavoro di edilizia ed è sotto la tutela dell’UNESCO, che l’ha restaurata. La sua bellezza deriva, oltre che dal florido palmeto che si insinua dentro all'abitato e a cui si devono i migliori datteri libici, alla peculiarità urbanistica della medina. Nei vicoli coperti regna l’ombra e la frescura, anche quando la temperatura esterna si avvicina d’estate ai 50 gradi. Le sette porte d'accesso, che venivano chiuse al tramonto, dividono la città in sette quartieri ognuno autonomo con propri pozzi, piazze, mercati, moschee e madrase raccordati da un labirinto di stradine coperte e non, dove l'ombra e i percorsi tortuosi consentono la circolazione dell'aria fresca, ma non quella della sabbia durante le tempeste. Le case piene di nicchie, scale incrociate e dipinti naif gialli, verdi e rossi che abbelliscono le pareti, sono costruite interamente con fango e ricoperte di calce bianca. I tetti terminano con terrazze che unite le une alle altre, formano un percorso utilizzato unicamente dalle donne per spostarsi da una casa o da una zona all'altra.
Con questa leggenda nasce il mito di Ghadames, la perla del deserto, l'oasi più celebre d'Africa che sorge proprio intorno ad una sorgente visibile ancora oggi; "Ain el Faras", in libico: la sorgente della giumenta.
Ghadames rappresentava un tempo la prima o l’ultima tappa per le carovane che attraversavano il deserto. Cinta da mura, la città vecchia, è considerata un vero capolavoro di edilizia ed è sotto la tutela dell’UNESCO, che l’ha restaurata. La sua bellezza deriva, oltre che dal florido palmeto che si insinua dentro all'abitato e a cui si devono i migliori datteri libici, alla peculiarità urbanistica della medina. Nei vicoli coperti regna l’ombra e la frescura, anche quando la temperatura esterna si avvicina d’estate ai 50 gradi. Le sette porte d'accesso, che venivano chiuse al tramonto, dividono la città in sette quartieri ognuno autonomo con propri pozzi, piazze, mercati, moschee e madrase raccordati da un labirinto di stradine coperte e non, dove l'ombra e i percorsi tortuosi consentono la circolazione dell'aria fresca, ma non quella della sabbia durante le tempeste. Le case piene di nicchie, scale incrociate e dipinti naif gialli, verdi e rossi che abbelliscono le pareti, sono costruite interamente con fango e ricoperte di calce bianca. I tetti terminano con terrazze che unite le une alle altre, formano un percorso utilizzato unicamente dalle donne per spostarsi da una casa o da una zona all'altra.